Politiche e strategie per l’integrazione degli immigrati nel sistema di istruzione statunitense: ep.5 Salt lake city
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Il sistema educativo e la disuguaglianza sociale
Quando ero bambino mio padre non mi faceva bere la Coca Cola ne mangiare da McDonald perché, a suo avviso, erano simboli dell’imperialismo. Come spesso accade, il risultato di questa sua scelta educativa è stato di generare un comportamento oppositivo e sono quindi cresciuto con una forte avversione nei confronti di qualsiasi rigidità ideologica e con una grande curiosità verso gli Stati Uniti, un Paese in cui – più che in altre realtà – sono presenti elementi socio-culturali contraddittori, se non marcatamente conflittuali.
E durante la prima giornata a Salt Lake City ho avuto modo di constatare di persona alcune di queste contraddizioni.
Invitati ad assistere all’esibizione (trasmessa da circa 2000 canali TV e radio) dei Mormon Tabernacle – un coro composto da 360 membri famoso nella comunità mormone a livello mondiale – inaspettatamente, all’inizio della funzione a cui erano presenti oltre 1500 persone, ci hanno presentati come membri del programma IVLP, facendoci addirittura alzare per ricevere l’applauso di rito.
E dietro l’angolo eccola, la contraddizione, la realtà che non ti aspetti. Certo non appena uscito da una cerimonia mormone.
Appena usciti dalla coinvolgente manifestazione corale ci incamminiamo verso l’albergo e un paio di isolati più in la incontriamo una allegra e variopinta manifestazione per il gay pride: un evento annuale, vengo a sapere. Credetemi, davvero l’ultima cosa che ci si aspetterebbe nello Utah, rinomato per essere uno Stato fortemente conservatore ma che da qualche anno a questa parte ha idee più moderate legate alla presenza di un’amministrazione comunale molto aperta sul piano dei diritti civili.
Il giorno successivo, guidati da Beth Martial, cominciamo il nostro giro di incontri, partendo dall’Università statale dello Utah, dove, presso il Centro di ricerca per l’integrazione di Migranti e Rifugiati, incontriamo le direttrici Caren Frost e Lisa Green. Il Centro esiste da un anno e tra le sue attività ha sviluppato delle App per l’integrazione nella comunità attraverso la geo localizzazione – dei servizi fondamentali presenti nel territorio e spesso sconosciuti ai migranti arrivati da poco, in particolare rifugiati. Ogni anno lo Utah accoglie circa 1000 migranti (su 40.000 rilevati negli USA) e si tratta soprattutto di asiatici e africani. Questi ultimi vengono collocati in alcune cittadine nei dintorni di Salt Lake City, raggruppati per aree di provenienza ma distribuiti in piccoli gruppi a stretto contatto con la popolazione locale. I minori non accompagnati spesso prendono la strada dell’adozione. Impressionano i numeri nel confronto con il nostro Paese che, sebbene con una tradizione migratoria ben diversa da quella americana, accoglie circa 200.000 rifugiati l’anno. Eppure, qui come negli USA, uscendo dalle contrapposizioni politiche, il tema è non tanto se, ma come, fare integrazione, per lasciare ai nostri figli un Paese coeso e inclusivo.
Ci spostiamo nel palazzo del Dipartimento di Educazione e Politica dove incontriamo il prof. Gerardo Lopez che basa le sue teorizzazioni sulla Teoria critica della razza. Il tema di fondo di questa teoria è che le condizioni di segregazione razziale hanno basi ideologiche e conseguenze pragmatiche che si riversano contro alcuni gruppi sociali. La razza è un costrutto sociale prodotto dalla cultura e il razzismo è invece un vasto sistema di pratiche istituzionalizzate che strutturano solo in alcune mani l’assegnazione del potere sociale, economico e politico.
Nel suo libro “Diseguaglianza Persistente”, Lopez si pone il problema di eliminare gli svantaggi sistemici che compromettono le possibilità di vita della popolazione americana non bianca, in particolare dei clandestini. Partendo da una sentenza della Corte Suprema riferita al caso Plyer vs Doe (iniziato in Texas nel 1982), che ha previsto per tutti i minori non regolari la possibilità di frequentare la scuola dell’obbligo, Lopez ci spiega il Dream Act proposto da Obama che prevedrebbe l’ottenimento prima della residenza legale e poi della cittadinanza (agganciandola al percorso lavorativo dopo la laurea o al servizio militare). Il suddetto provvedimento non è mai stato approvato dal Parlamento, soprattutto a causa di chi ha usato l’incertezza provocata dalla crisi per soffiare sul fuoco delle paure. Nel 2012 è stato invece approvato il DACA (Deferred Action for Childhood Arrivals) che sospende la deportazione dei clandestini che frequentano l’università. Con il DACA le tasse universitarie sono parametrizzate a quelle dei residenti e non maggiorate, come accade per chi proviene da un altro Stato. La Persistente Ineguaglianza è quella per cui la condizione di clandestinità viene di fatto continuamente sospesa, oggi solo per chi ha un percorso di studi, senza essere mai definitivamente sanata. Ogni passo compiuto non fa altro che spostare il problema, senza mai affrontarlo davvero.
La risposta però non è solo legislativa, ma risiede nel sistema educativo: preparare i docenti alla società multietnica, alla sua complessità, al fatto che la migrazione è un fenomeno che va compreso fino in fondo. La costruzione sociale dell’ineguaglianza, secondo Lopez, è il risultato di pregiudizi che animano anche i più bendisposti, quindi per preparare gli insegnanti bisogna capire qual è il concetto che sta dietro al loro modo di affrontare l’Intercultura in classe. Un modo a volte inadeguato, perché si fonda sulla persistenza di un pregiudizio e non sull’evidenza empirica dei bambini presenti in classe.
Nel pomeriggio ci portano vedere Mountain View, una scuola primaria pubblica con 650 studenti dove il 65% è di origine latina, il 6% sono bianchi ed il resto polinesiani. Il tenore di vita della popolazione del quartiere è molto basso, tanto che quasi l’85% degli studenti ha il pranzo gratuito pagato con i fondi federali. È una scuola con un programma english-spanish molto avanzato dove c’è uno scambio continuo di lingue nell’insegnamento delle materie curricolari.
“Come nelle scuole dei ricchi” sorride il preside Kenneth Limb, che ironizza sul fatto che nelle scuole private per un programma così pagano fior di quattrini, mentre da loro lo fanno gratis agli studenti migranti.
Chiudiamo il nostro lunedì con l’incontro con la Coalition of Dreamers: una associazione creata da alcuni studenti universitari di origine centroamericana entrati nel Paese come clandestini. Glenda e Heraldo ci raccontano come, una volta finito il liceo, la loro organizzazione offre ai giovani uno spazio sicuro dove poter condividere la propria condizione e dove vengono forniti servizi agli studenti. La clandestinità non solo espone a rischi continui di deportazione ma impedisce anche di uscire dal Paese per andare a trovare familiari e amici. Glenda ci racconta anche che grazie al DACA ha ottenuto borse di studio private che le hanno permesso di coprire metà degli 8000 dollari di tasse annuali dell’Università.
Conclusi i nostri incontri decidiamo di prendere un aperitivo e per fortuna ci siamo ricordati di portare con noi i passaporti, perché – politiche di apertura o no – nello Utah conservatore non ti fanno neppure entrare in un locale dove servono alcolici se non esibisci un documento!
Fabio Rocco