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Tecnologie nella scuola: il progetto di Profumo

Pubblicato il: 27/09/2012 16:33:20 -


Dalla proposta del Ministro dell’Istruzione parte una riflessione sull’utilizzo delle tecnologie a scuola. Il dovere degli educatori è formarsi e “dare senso” ai nuovi media, riempiendoli di cultura.
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Il Ministro Profumo ha aperto l’anno scolastico, con la sua conferenza stampa del 12 settembre, nel segno dell’innovazione tecnologica, annunciando alcune iniziative. L’attenzione dei giornali si è naturalmente concentrata sulle due iniziative più destinate a colpire l’immaginazione: il registro elettronico e la consegna di tablet a docenti del Sud.

In effetti il MIUR adotta diverse linee di azione già attive da tempo, raccolte nel Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD):
– LIM in classe, che prevede una LIM in ogni aula;
– Cl@ssi 2.0, che prevede la dotazione di un tablet per ogni studente;
– Centri scolastici digitali, che prevedono lezioni a distanza dove non si possono aprire istituzioni scolastiche tradizionali, ma si possono creare scuole online, via satellite;
– Scuole 2.0, il cui scopo è la dematerializzazione della documentazione scolastica, inclusa quella didattica.

Sui progetti del Piano Nazionale Scuola Digitale è previsto un piano di investimenti grazie a un accordo Stato-Regioni. Questo è anche alla base dell’accordo fra lo Stato e dodici Regioni del Centro-Nord del 25 Luglio 2012, accordo che prevede investimenti dall’uno e dalle altre.

Nell’immediato il MIUR ha deciso finanziamenti destinati a scuole del meridione, con fondi europei:
– 31,8 milioni di euro per l’assegnazione di un tablet personale al 64% dei docenti di scuola secondaria del meridione;
– 24 milioni di euro per fornire almeno un computer a circa 97.000 classi di scuola secondaria.

Queste misure sono finalizzate anche alla dematerializzazione della documentazione didattica: emblematicamente il registro, ma non solo. È chiaro che aprono molte prospettive di innovazione nella gestione della didattica.

Naturalmente, come sempre a ogni annuncio di questo genere, si è aperta la polemica generale sui danni delle tecnologie per la crescita culturale e per le abitudini cognitive dei giovani (incapacità di concentrarsi e quindi di approfondire e ragionare ecc.). Su questo è bene aprire un discorso circostanziato e articolato, che esamini vari aspetti, anche su questa rivista. Per il momento mi fermerei alle due osservazioni di Umberto Eco in “Apocalittici e Integrati” (1964) che, nonostante il panorama dei media sia radicalmente diverso, mi sembrano ancora abbastanza conclusive:
– i mezzi di comunicazione di massa non sono dannosi o benefici in sé, dipende da come e perché si usano;
– il dovere dell’intellettuale è quello di “dare senso” all’uso di questi mezzi, riempiendoli di cultura.

La scuola può dare senso all’uso delle tecnologie, al servizio delle pratiche e delle conoscenze di tutti gli ambiti culturali (delle quali, d’altra parte, l’uso delle tecnologie è, in vari modi, parte costitutiva). Quindi, reciprocamente, le tecnologie aggiungono senso al loro apprendimento sensato.

Una tipica obbiezione contro queste misure è: le tecnologie non risolvono il problema della scuola. Questa osservazione, se ci si ferma a questo enunciato secco, ha poco senso. La scuola ha bisogno di molte cose diverse: edifici adeguati, curricoli moderni, docenti preparati e ben pagati, un’organizzazione efficiente, rapporti con il resto della società, rapporti con la ricerca ecc. Alcune di queste cose sono più importanti di altre, tutte sono necessarie, ma nessuna da sola risolve il problema della scuola, così che il miglioramento della scuola richiede il miglioramento (progressivo e inevitabilmente lento) di ciascuna di esse. Le tecnologie sono una di questa cose. Quindi, chi pensasse che una forte iniezione di tecnologie, da sola, risolve il problema della scuola sarebbe un temerario. Può, se mai, in certe circostanze, funzionare da catalizzatore. Chi pensa, invece, che sia possibile avere una scuola dotata di senso senza l’uso di tecnologie ha bisogno di visitare il mondo. Si applica bene, solo rovesciando i termini, la tipica locuzione dei matematici: condizione non sufficiente ma necessaria.

Dal punto di vista delle singole scuole, ognuna di esse deve valutare se le condizioni date sono tali da rendere utile l’uso delle tecnologie e in quale direzione. Dal punto di vista dell’amministrazione centrale, si tratta di valutare se le condizioni generali sono tali da garantire un investimento proficuo, tenendo conto che una buona decisione amministrativa non deve avvenire troppo presto perché possa essere compresa ed elaborata ma neanche tanto tardi da bloccare processi maturi: comunque, se mai, meglio un poco prima. Un buon indizio a favore dell’iniziativa è che tutti i modelli del PNSD, dalle LIM ai tablet per gli studenti al registro elettronico, sono già stati adottati, in modo convincente, in molte scuole senza attendere le iniziative ministeriali. Questi sono i casi da studiare e il prossimo convegno di Education 2.0 a Firenze ci potrà aiutare.

Estremamente seria è l’obbiezione sulla non preparazione dei docenti, sia sul piano tecnico sia sul piano didattico. Quella che convince di meno è la proposta che viene spesso fatta: bisogna “prima” formare tutti i docenti e “poi” investire in tecnologie. Certo, una cultura generale sulla natura e sugli effetti delle nuove tecnologie, non fatta di giudizi a priori ma di ragionamenti circostanziati e indagini empiriche, dovrebbe far parte della preparazione dei docenti (per inciso, speriamo che ne tengano conto i nuovi percorsi di formazione di base). A ogni generazione tecnologica, tuttavia, cambiano sia le pratiche specifiche e le loro possibili applicazioni scolastiche, sia, in parte, il panorama culturale. Il problema è che, a ogni svolta, non c’è nessuno che possiede già tutto il patrimonio di esperienza e di ricerca che basterebbe trasferire ai docenti, neanche l’Università. Inevitabilmente si tratta quindi di un processo dinamico, che è alla base della crescita professionale continua dei docenti e deve far interagire la formazione mirata a richiesta su singoli aspetti, teorici e pratici con la ricerca, la sperimentazione, la diffusione e discussione di esempi.

Un’ulteriore riflessione riguarda il fatto che mentre alcune misure riguardano direttamente la didattica in classe (o a distanza), altre riguardano la sua organizzazione. Si può usare la metafora dello sportello e del retro-sportello di un servizio. Le due fasi, il cui rapporto nella tradizione della scuola è spesso connotato come “cultura vs burocrazia”, sono in realtà destinate, grazie alla Rete, a una forte sovrapposizione: basta pensare, per rimanere alle cose più tradizionali, alla sostituzione del registro e della relazione finale con diari di bordo, archivi di lezioni, tracce di lezioni, compiti, lavori degli studenti, fino alla creazione di “community sistems” di docenti e studenti.

Mario Fierli

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