Home » Racconti ed esperienze » C'era una volta la guerra: una vecchia favola imbarazzante

C’era una volta la guerra: una vecchia favola imbarazzante

Pubblicato il: 29/10/2013 18:21:28 -


La guerra continua a essere proposta e giustificata per la risoluzione di questioni internazionali. La scuola non può restare fuori dalla sensibilizzazione: oggi non sono solo i pacifisti a dirlo, ma voci autorevoli del mondo sia militare sia scientifico.
Print Friendly, PDF & Email
image_pdfimage_print

Ha senso oggi la didattica della pace?
È giusto parlare della guerra, conoscerla analizzarla, accettando di discutere posizioni contrastanti?

Ormai tutti sanno che se si dice: “C’era una volta la guerra” si sta parlando di una favola e per di più di una vecchia favola che imbarazza trattare a scuola come si faceva una volta.

Eppure la scuola ci credeva in questa favola tanti anni fa, e anche il sottoscritto assieme a tanti ragazzi della sua età.

Ma le guerre si fanno ancora e si facevano ancora nel periodo successivo la fine della seconda guerra mondiale.

Anche per chi crede abbastanza ingenuamente che le guerre alla fine si fanno per fabbricare, collaudare e vendere armi rimane abbastanza inspiegabile come gli uomini vengano tuttora convinti a combatterle e a credere che si tratti di una pratica utile e saggia.

La pace e la guerra ci interpellano, pongono domande ai cittadini di ogni età, e si sintetizzano in una frase: “perché si continua a combatterle”.

Si manifesta il dubbio che si tratti non tanto di una questione attinente la divisione del potere e della ricchezza nel pianeta o del perpetuarsi della legge della jungla e del più forte.
Si tratta, forse, di una costante della natura umana, come tale insuperabile e addirittura indiscutibile.
La scuola deve poter parlare e approfondire la storia contemporanea sulle questioni che insidiano la pace in Palestina, in Israele, in Libano, in Libia, in Siria, come pure in Afghanistan e in Iraq.

La scuola è la seconda più grande agenzia di formazione in Italia.

La guerra s’insegna e si giustifica apoditticamente con i mezzi di comunicazione di massa e con altre forme d’informazione. La scuola, quindi, non può tacere.

A scuola certi silenzi, omissioni e imbarazzi, comportano violazioni implicite dell’art. 33 della Costituzione italiana, volto a fornire ai discenti l’esame equilibrato delle diverse posizioni politiche, culturali e ideologiche sulle questioni più rilevanti o sulla capacità di farsene personalmente un’opinione.

Parliamone. Studiamo. Raccontiamo. Confrontiamoci e valutiamo.

Perché, a parte i talebani della pace, ci sono molti esperti militari che considerano certi tipi d’intervento militare non più adeguati “né alle nuove minacce né alle esigenze di sicurezza degli Stati”? (Fabio Mini, “La guerra spiegata a…”, Torino, Einaudi, 2013, p. 157).

Lo stesso Fabio Mini, generale dell’esercito italiano, scrive: “Ritengo che la ragione principale di questo atteggiamento sia una pericolosa miscela di analfabetismo di ritorno, di carattere tecnico-militare, di odio passionale spinto da ragioni ideologiche e religiose di natura fondamentalista, e di paura.” (Op. cit., Ivi)

In tutta la sua produzione di saggista il generale Mini diffonde informazioni preziose e riflessioni condivisibili che forniscono materiale d’importanza inestimabile per un approfondimento didattico. “Non sono un pacifista”, chiarisce Mini, “ma vorrei la pace senza rinunciare alla libertà, alla giustizia e all’intelligenza; per questo ammetto anche la guerra, in nome di valori che valga veramente la pena di difendere e secondo metodi compatibili con la legalità, la civiltà e l’umanità.” (Op. cit., p. 160)

Gli scritti del generale Mini forniscono informazioni preziose per un docente che vuole, per conto suo, trovare materiali pacifisti (ci permettiamo di segnalare uno degli autori più autorevoli: Johan Galtung, “Pace con mezzi pacifici”, Milano, Esperia, 2000).

Un solo esempio, seppur ce ne sarebbero tanti.
H. H. Gaffney del “Center for Naval Analyses” ha esaminato i 9 conflitti nei quali sono stati coinvolti gli Stati Uniti dal 1989 al 2003. L’autore ha scoperto che esiste un modo americano di “fare la guerra” che persiste a prescindere dalle situazioni e dalle motivazioni della guerra stessa. Un modo indipendente sia dagli strumenti disponibili sia dalle esigenze di sicurezza: “American way of war”.

L’American way of war (Aww) è anche l’asse portante del futuro impiego della forza e, se non vi saranno cambiamenti di politica e di strategia, l’Aww tenderà a essere il modello ispiratore della guerra del futuro, almeno per i prossimi vent’ anni.

Le caratteristiche principali dell’Aww, riscontrate da Gaffney, sono:
1. le guerre vengono affrontate per ragioni sempre particolari e non sono mai legate a una grande strategia;
2. le operazioni sono pianificate dai militari sotto l’influenza politica del momento e sono condotte con la costante interferenza della politica;
3. è sempre ricercato un avallo internazionale, anche soltanto da parte degli alleati o delle coalizioni di volenterosi;
4. si conducono sempre operazioni congiunte (joint) e a comando unificato, contando sulla professionalità e sul networking;
5. le operazioni hanno bisogno di basi avanzate, sulle quali far appoggiare le successive proiezioni di forze;
6. gli Stati Uniti riescono a sfruttare facilmente basi avanzate, concesse dai vari paesi, anche a prescindere dai loro orientamenti politici (questo rende inutile la costruzione delle piattaforme mobili pensate negli anni ‘90 per sostenere le operazioni all’ estero);
7. si fa molto affidamento sulla tecnologia, sulla multidimensionalità e sulla precisione delle armi, anche a grande distanza;
8. le guerre servono a sperimentare nuove armi, procedure e dottrine;
9. viene data la priorità alle operazioni aeree, anche se non sono mai risolutive;
10. il disimpegno militare è sempre più difficile, le forze e i materiali impiegati sono sempre in eccesso rispetto al reale fabbisogno bellico.

Gaffney ritiene che l’Aww induca a tentazioni unilaterali e imperialistiche, ma la caratteristica più eclatante è la sua “inefficacia nelle small wars”.
Vale a dire che il metodo è stato applicato in tutte le guerre intraprese nonostante fosse inefficace, e lo strumento militare, la dottrina e i mezzi sono rimasti immutati.

L’osservazione di Gaffney è un’evidente critica nei confronti del sistema americano ed è un implicito stimolo a cambiare paradigma tenendo conto delle reali condizioni ed esigenze di sicurezza: “Paradossalmente, l’Aww potrebbe essere rassicurante per chi teme il ritorno a uno scontro globale tra blocchi: gli alleati e i potenziali avversari. Se l’America, nonostante i colossali preparativi bellici, si riduce sempre a schiacciare mosche con un martello e a impantanarsi come ha fatto con l’Aww, inciderà sempre meno sulla politica internazionale e lascerà sempre più spazio a chi vuole trarre vantaggio dalla sicurezza o insicurezza che comunque viene creata.” (Op. cit., pp. 132-133)

Diverso è il discorso per il modo di guerra dei cinesi…

Note biografiche dell’autore:
per ulteriori informazioni si può consultare
http://it.wikipedia.org/wiki/Luigi_Calcerano
http://www.luigicalcerano.com
– GLI EBOOK DI CALCERANNO E FIORI SU PINOCCHIO 2.0
http://www.descrittiva.it/calip/ebook-pinocchio2punto0.htm

***
Immagine in testata di pixabay (licenza free to share)

Luigi Calcerano

35 recommended

Rispondi

0 notes
577 views
bookmark icon

Rispondi