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Investire in conoscenza conviene

Pubblicato il: 17/11/2009 17:32:26 -


Istruzione e formazione non sono spese ma investimenti, la scuola costa, ma l’ignoranza costa di più.
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Investire in conoscenza conviene, il tasso di rendimento privato è superiore a quello ottenibile da investimenti finanziari alternativi, il rendimento sociale è superiore a quello derivante dall’investimento in infrastrutture. Arriva a questa conclusione uno studio, realizzato da Federico Cingano e Piero Cipollone per Banca d’Italia e Eurosistema, che confronta i dati e le stime disponibili e utilizza i principali fondamenti teorici alla base del calcolo dei rendimenti dell’istruzione.

Oltre ogni altra considerazione etico-politica, lo studio si limita al punto di vista puramente economico e guarda al sapere come a un investimento in un bene molto speciale, il capitale umano, del quale interessa valutarne il rendimento per capire se è conveniente.

La valutazione del rendimento privato dell’istruzione è ottenuta confrontando il valore attuale dei benefici individuali (in termini di maggior salario e maggior probabilità di occupazione) con quello dei costi (sia diretti sia in termini di mancato guadagno). Il risultato è che il rendimento privato medio di un anno addizionale di istruzione è pari all’8,9 per cento, superiore alla media annuale del rendimento reale lordo di un investimento finanziario.

Il rendimento sociale, visto cioè dal punto di vista della collettività, si ottiene invece confrontando i costi (privati e pubblici) e i benefici derivanti da un aumento di un anno dell’istruzione media in una collettività. I benefici sono valutati in termini di maggiore produttività aggregata ed è anche possibile valutare l’istruzione dal punto di vista dell’operatore pubblico (rendimento fiscale), confrontando la spesa pubblica con le maggiori entrate fiscali future.

Questo ultimo aspetto è particolarmente interessante perché dimostra che l’investimento pubblico in istruzione (spese dirette e minori entrate tributarie sul reddito da lavoro) è redditizio perché produce benefici (maggior gettito fiscale derivante da redditi più alti e minori costi di assistenza sociale) superiori ai costi sostenuti. Nel lungo periodo la maggiore spesa pubblica necessaria per finanziare un dato livello di istruzione è compensata con un rendimento fiscale compreso tra il 3,9 e il 4,8 per cento.

Il rendimento sociale dell’investimento in conoscenza è poi innanzi tutto motivato dagli effetti positivi sullo sviluppo economico derivanti dall’accrescimento del capitale umano (le conoscenze e le competenze delle persone che lavorano). Diversi studi economici dimostrano l’effetto del capitale umano sulla crescita della produttività totale dei fattori indotto dal fatto che la conoscenza aumenta la possibilità di sviluppare nuove tecnologie, nuove idee, nuovi prodotti o processi produttivi.

Altri effetti sociali positivi sono poi indicati da indagini che hanno studiato il rapporto tra istruzione e probabilità di delinquere e tra istruzione e sanità. Gli studi in questione dimostrano che la crescita dei livelli di istruzione riduce la probabilità di delinquere e aumenta l’efficacia delle prevenzione sanitaria, riducendo di conseguenza il ricorso ai servizi sanitari. Due effetti che, oltre a migliorare la qualità della vita, riducono la spesa carceraria e sanitaria.

Lo studio conferma, quindi, la nostra convinzione empirica: investire in conoscenza conviene, il suo rendimento, sia privato che sociale, anche in Italia è elevato, anche se inferiore a quello medio degli altri principali paesi , sia per la scuola superiore che per l’università. Il differenziale retributivo, ad esempio, tra diplomati e laureati in Italia è inferiore a quello dei principali paesi sviluppati: in Francia, Germania, Regno Unito è superiore al nostro rispettivamente di 10, 20, 30 punti percentuali. Altri studi citati nella ricerca confermano che in Italia l’investimento in istruzione è redditizio ma meno che nella media dei paesi della UE e dell’OCSE.

Da questo punto di vista l’Italia rappresenta un caso anomalo, perché, in generale, la remunerazione è bassa nei paesi dove abbonda il capitale umano, ma aumenta nei paesi come il nostro con pochi laureati. Le ragioni del minore rendimento dell’investimento in conoscenza non risiedono solo nei minori vantaggi monetari associati al conseguimento di una laurea, ad essi si aggiungono un inferiore riduzione del rischio di disoccupazione e costi diretti meno sostenuti, rispetto alla media Ocse, dall’aiuto pubblico attraverso interventi per il diritto allo studio. I limiti strutturali del sistema produttivo italiano che non valorizza sufficientemente il capitale umano scoraggiano gli investimenti in conoscenza; questi ultimi, a loro volta, non favoriscono la capacità dell’economia di innovare e di accrescere la domanda e i rendimenti del capitale umano: un circolo vizioso destinato a far declinare il Paese.

Questo circolo vizioso spiega il divario tra la persistente retorica sulla conoscenza come motore dello sviluppo e le scelte dei governi che quando sono di destra vanno poi in direzione contraria e quando sono di sinistra si rivelano comunque piuttosto timidi nell’assumere l’investimento in conoscenza come priorità.

Per uscire da questa situazione occorrono politiche economiche selettive, capaci di incentivare il riposizionamento qualitativo del nostro sistema produttivo e, al tempo stesso, politiche formative finalizzate a innalzare i livelli di conoscenza di tutti e, in particolare, a sostenere la qualità della forza lavoro. Se questi due aspetti agiscano in modo sinergico e convergente è possibile attivare un circolo virtuoso tra investimento nella formazione e crescita economica. Nell’ambito di un progetto di cambiamento dotato di queste caratteristiche diventa credibile e necessario spendere di più e meglio per la formazione.

In ogni caso il gap formativo che ci separa dagli altri paesi sviluppati e l’elevatezza dei rendimenti anche nel nostro Paese rispetto a investimenti alternativi giustificano pienamente l’assunzione della priorità degli investimenti in capitale umano. Occorre innanzi tutto accompagnare la riorganizzazione delle imprese migliorando la disponibilità di capitale umano, sia in termini quantitativi che qualitativi, attraverso la formazione iniziale e permanente.

Questa è l’indicazione che l’Ufficio Studi della Banca d’Italia da al Governo nel momento in cui si è aperta la discussione su come utilizzare nuovi possibili “tesoretti”: per sostenere la ripresa dell’economia italiana occorre affrontare uno dei limiti strutturali che ostacola la crescita del nostro sistema produttivo nell’economia della conoscenza.

Con dovizia di dati e con la precisione dei calcoli econometrici trovano conferma due nostre antiche convinzioni: istruzione e formazione non sono spese ma investimenti, la scuola costa ma l’ignoranza costa di più.

Fabrizio Dacrema

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