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Com’è la scuola al di qua del banco

Pubblicato il: 22/02/2012 17:56:14 -


Un ex alunno si racconta. Pensieri, emozioni e suggerimenti sulla scuola e sulle insidie dell’innovazione, da parte di chi stava dietro ai banchi. E un monito: “Lo studente deve sentirsi realizzato e valorizzato ma non deve sentirsi mai arrivato”.
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Ho sinceramente vissuto alcuni momenti della mia vita scolastica come a un parco giochi; altri, come fossi solo su una scialuppa con la riva ancora lontana.

Ho vissuto diversi modi di “fare scuola”: sono stato subissato di pagine e mi sono emozionato in dibattiti. Ho trovato stimolanti alcune maniere innovative di studiare. Ho passato pomeriggi al liceo e fine-settimana a chiacchierare di matematica. Ho potuto assaggiare la maieutica socratica, mi sono sentito chiamato in gioco, ho avvertito che mi si chiedeva qualcosa, ho sentito che mi si chiedeva di dare il meglio.

Altre volte mi sono chiesto a che cosa servisse quello che facevo, mi sono sentito stanco e altre volte davvero potente.

Ci sono diverse modalità per innovare l’istruzione ed esse ruotano attorno al “fare”. D’altronde il “se faccio capisco” è stato negli ultimi anni un ritornello per la mia mente. Credo che in queste tre parole sia racchiusa una formula magica capace di pizzicare l’intelletto studentesco.

Se ripenso al mio percorso liceale ho ricordi davvero divertenti legati a conferenze (preparate in mesi o in un giorno), open day, viaggi, discussioni. Ho vissuto negli ultimi anni in un fermento culturale attivo e ho sognato fosse possibile che gruppi di studenti si innamorassero di qualcosa di culturale o comunque di produttivo. Ho vissuto la scuola con fiducia, coraggio ed entusiasmo. Credo sia possibile che i professori vadano incontro agli alunni, io l’ho vissuto in prima persona.

La miglior ricetta per preparare un buono studente è lasciarlo cuocere nel suo brodo. Lo studente va stimolato, capito, anche punzecchiato. Deve esserci un rapporto continuamente vivo ed emotivo tra docente e discente. Se lo studente percepisce il suo coinvolgimento, si sente stimolato a dare il meglio e non ci può essere obiettivo più lodevole per la scuola che tirare fuori il meglio dai ragazzi.

Studiare non è sempre piacevole, però può esserlo spesso. Costruendo insieme ai miei professori le spiegazioni, cercando i “perché” delle cose ho davvero provato sensazioni positive.

Il ragionamento va stimolato nei ragazzi.

Ho compreso, tuttavia, che anche studiare, recepire, magari sgobbando, può aiutare. Le letterature e la filosofia aiutano a essere più civili, più umani. D’altronde la letteratura non fa che descrivere le pulsioni, le emozioni, le macchinazioni umane e quelle muovono i mercati, la politica. Da pagine e pagine di studio deve però scoccare una scintilla emotiva. Proprio dall’emozione io partirei per educare uno studente, quella deve essere la valvola con cui giocare senza comprimerla troppo né lasciando che esploda.

Trovo che un limite dell’innovazione possa essere l’euforia. Giocare ponendo lo studente al centro di tutto è al tempo stesso emozionante e delicato. Il pericolo è che sfugga di mano e, come il Mostro creato dal dottor Frankenstein, si rivolti contro il suo creatore. Con questo non voglio dire che l’allievo non debba superare il maestro, ma nemmeno sentirsi arrivato quando è ancora a metà strada. Sono dell’idea che uno studente debba sentirsi un mito al mattino e pensare di avere ancora tanto da imparare la sera. D’altronde, quando Popper ci parla di filosofia della scienza ci ricorda che vero scienziato è colui che è sempre pronto a mettere in discussione il proprio risultato. O ancora ricordo quando anni fa, durante un viaggio d’istruzione, ci raccontarono del vero e proprio fuoco che spingeva Michelangelo a esplorare nuovi orizzonti creativi. Lo studente deve sentirsi realizzato e valorizzato ma non deve sentirsi mai arrivato.

Un ragazzo a 16 anni può magari morire dalla voglia di essere al centro di tutto ed è proprio in quel momento che non va persa la dimensione umana della cultura; va instillato nei ragazzi uno spirito collaborativo che spinga a emozionarsi anche per compiti che non sono appariscenti ma possono appagare il bisogno di espressione di ognuno.

Infine, credo che qualche volta anche le cose apparentemente (e magari realmente) inutili siano utili. Di certo vanno dosate bene per non far perdere la passione ma allo stesso tempo saranno un aiuto per affrontare il futuro. Non sempre ai nostri lavori verrà riconosciuto il valore che vi attribuivamo, non sempre a un grande sforzo corrisponderà un grande risultato.

Vedo nei miei sogni una scuola pervasa non dalla muffa, ma dal profumo di libri e dalla luce, non abbagliante, dei tablet.

Giovanni Burro

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