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Che storia è questa? – di Vincenzo Guanci

Pubblicato il: 13/03/2019 11:03:39 -


La memoria e la storia.
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Liliana Segre, tra gli altissimi meriti nel campo sociale per i quali è stata nominata senatrice a vita, ha senza dubbio quello di aver combattuto con infaticabile tenacia l’indifferenza che rischia di colpire  il ricordo delle leggi razziali e la memoria della Shoah. Una sua  recente intervista[1], a proposito dell’abolizione della traccia di storia nella prova di italiano all’esame di Stato conclusivo del percorso di studi scolastici, invitava il ministro a «non rubare la storia ai nostri ragazzi. Ne hanno un immenso bisogno» .

L’emozione e la nozione

La stessa senatrice sottolinea questo bisogno ricordando lo sguardo attento e la forte concentrazione delle ragazze e dei ragazzi che ascoltano i suoi racconti di testimone dell’Olocausto e le sue riflessioni sulla memoria e la storia. L’emozione e la nozione, l’empatia e la riflessione, l’immedesimazione e la conoscenza dei fatti, sono le vie che il bravo insegnante di storia riesce a conciliare, utilizzandole parallelamente fino a farle confluire in una vera profonda conoscenza storica. In questo senso il problema dell’insegnamento della storia potrebbe essere esemplificato nella domanda: per insegnare la Shoah è sufficiente accompagnare i giovani a vedere Schindler’s List di Steven Spielberg o  Shoah di Claude Lanzmann? No. In nessun caso la visione di un bel film di finzione è sufficiente, dato che provocheremmo certamente grandi emozioni ma non molte riflessioni, soprattutto non abbastanza ampie e profonde. E neanche nel caso di un film documentario come il capolavoro di Lanzmann avremmo un buon risultato in termini di apprendimento, non foss’altro per l’impegnativa fatica delle oltre cinque ore di proiezione. Perché avvenga apprendimento di conoscenze reali è necessaria la mediazione didattica del docente.  La chiave dell’insegnamento della storia (come delle altre discipline, peraltro) sta nella preparazione disciplinare e didattica di chi insegna a giovani che sanno già un’infinità di cose ma ne conoscono davvero poche; e per questo li mandiamo a scuola.

 

Dobbiamo preoccuparci

 

Il 25 ottobre 2018 il Magazine Sette del Corriere della Sera[2] a proposito dell’abolizione della traccia di storia all’esame di stato rivangava le incredibili risposte date da alcuni candidati ai quiz televisivi pomeridiani, poi diventate virali su YouTube, a proposito dell’epoca di Hitler e Mussolini, di Agostino Depretis ricordato come «un segretario della Democrazia Cristiana» ecc., e si (ci?) consolava ricordando i meritevoli programmi divulgativi di RAI-Storia. Del resto, se anche il monumentale romanzo storico di Antonio Scurati su Mussolini[3] uscito lo scorso anno, con un buon successo di vendite, non è risultato esente da autentici strafalcioni, non possiamo poi lamentarci molto dell’ignoranza dei nostri studenti. Invece dobbiamo preoccuparci, e non poco.

 

Impiegati o ricercatori?

 

La pedagogia ministeriale insiste molto sulle competenze e poco sulle conoscenze. In fondo, si pensa, se, dopo tredici anni di scuola, una persona si orienta bene nello spazio e nel tempo, e possiede alcune altre abilità storiche di base,  sarà certamente in grado di leggere e comprendere non solo un libro di storia ma anche una guida turistica a una città europea piena di luoghi storici, a un sito archeologico, a un monumento, a un museo. Del resto, secondo le indicazioni ministeriali gli studi si concluderanno affrontando al liceo l’ultimo millennio della storia d’Italia, d’Europa e del mondo; agli istituti  tecnici e professionali le «principali persistenze e processi di trasformazione tra il secolo XI e il secolo XXI in Italia, in Europa e nel mondo». In buona sostanza, sono stati aboliti i vecchi ?programmi ministeriali’ con valore prescrittivo, sostituiti da curricoli elaborati da ogni singolo Istituto sulla scorta delle indicazioni e linee guida ministeriali. Questo, che avrebbe dovuto valorizzare l’autonomia delle singole istituzioni scolastiche, ha finito per scaricare sulle spalle dei docenti il peso e la responsabilità della selezione dei temi da affrontare nell’insegnamento della storia. Si potrebbe dire che gli insegnanti non sono degli esecutori di direttive statali, dei semplici travét, sono studiosi, ricercatori, intellettuali. Ora, sorvolando sul loro stipendio molto più vicino a quello di un travét di primo livello che non a un laureato intellettuale, è chiaro a chiunque che, per ottenere da un anno all’altro una tale trasformazione della qualità del lavoro docente, non basta inserirla, più o meno solennemente, in ponderosi atti normativi.

 

Chi e come forma e aggiorna gli insegnanti?

 

Occorre investire risorse in una grande, lunga e continua campagna di formazione e aggiornamento dei docenti.  e fu ciò che si iniziò a mettere in atto alla fine degli anni Novanta. Presto, però, questa scelta fu abbandonata e non fu mai più ripresa sul serio negli anni successivi. Così, è accaduto che la stragrande maggioranza dei docenti ha finito per rifugiarsi nelle antiche sicurezze: curricoli che avevano studiato al liceo, temi che avevano approfondito all’Università. Considerando inoltre che ogni docente di storia insegna anche almeno un’altra disciplina, comprendiamo meglio il il  disorientamento e il  ricorso all’antico canone storiografico più o meno  aggiornato dalle numerosissime pagine aggiunte alle nuove edizioni dei manuali di storia. A ben vedere, infatti, questo è stato l’unico reale ?aggiornamento’ dell’insegnamento della storia negli ultimi decenni: la trasformazione dei manuali, da testo per lo studio dei discenti a strumento enciclopedico per l’aggiornamento dei docenti.

 

I manuali costituiscono ormai una sorta di antologia delle possibilità didattiche; il docente può (deve?) costruire il proprio piano annuale di insegnamento studiando attentamente le pagine del manuale in adozione e selezionando quelle che trattano e approfondiscono i temi del curricolo di storia del proprio Istituto, senza tralasciare esercitazioni e prove di verifica degli apprendimenti. La necessaria opera di formazione e aggiornamento dei docenti è stata quindi appaltata di fatto alle case editrici scolastiche che si fanno concorrenza a colpi di marketing: dal nome dello storico più prestigioso all’apparato digitale più appariscente, dalle cartine geopolitiche e infografiche di non sempre facile decodificazione all’apparato iconografico di facile effetto.

 

Il risultato più evidente è un diffuso disinteresse dei giovani, già immersi in una società dal futuro incerto, con lo sguardo tutto rivolto verso il presente. Specialmente chi è impegnato in studi tecnici o professionali non riesce a comprendere l’utilità della storia, se non viene abituato a leggere la sua vita attuale  guardandola inserita nel contesto del mondo – città, quartiere, nazione, civiltà, continente, pianeta ? in cui vive, quel mondo comprensibile solo se si ha uno sguardo lungo – nel tempo – e largo – nello spazio ?.  E questo vale innanzitutto per i docenti di storia.

 

[1] Simonetta Fiori – Niente tema storico alla Maturità, Liliana Segre: “Ministro, ci ripensi, non rubiamo il passato ai ragazzi” su Repubblica scuola del 25 febbraio 2019 LINK 

[2] Dino Messina Siamo ignoranti in storia, su Corriere della Sera, Magazine Sette, 25 ottobre 2018 LINK 

[3] Antonio Scurati M. il figlio del secolo, Bompiani, 2018

Vincenzo Guanci

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