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Regioni, Province e Comuni: per una scuola autonoma, per tutti e di qualità

Pubblicato il: 01/02/2010 17:59:11 -


Un movimento di studenti, insegnanti e famiglie chiede a gran voce un sistema dell’istruzione pubblica di qualità e al passo coi tempi e ci interroga fortemente su quali riforme sono necessarie per dare un futuro alle nuove generazioni e al Paese.
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C’è una consapevolezza diffusa nei cittadini, forse come non mai nella nostra storia d’Italia, che il sapere è un bene prezioso, un diritto fondamentale sul quale si decide l’indirizzo da dare alla società globale. La crisi drammatica del sistema socio-economico globale impone di riflettere sul segno da dare al nostro futuro, al futuro che tutti sentiamo in pericolo, che a volte non si riesce più nemmeno a immaginare.

La risposta che in questi mesi viene data è pericolosa e devastante, non all’altezza dei bisogni sociali e delle speranze collettive poiché figlia solo della vaga volontà di fare cassa e di trovare una soluzione contabile effimera e sbagliata. È incredibile l’idea che la scuola sia un mero costo da abbattere, uno spreco e non l’investimento più importante proprio in una fase di crisi per la democrazia e lo sviluppo del Paese.

Noi vogliamo parlare di riforma della scuola pubblica, di investimenti nella conoscenza, di qualificazione della spesa, di un modello di società aperta, inclusiva e solidale. Vogliamo che il dibattito esca dalla logica dei tagli, dei provvedimenti spot, del decisionismo fine a se stesso, della reductio ad unicum del pensiero. Per fare questo però è necessario fermare innanzitutto la scure dei tagli indiscriminati e ripristinare una condizione di dibattito reale tra tutti i soggetti interessati. La scuola come diritto di tutti non può che essere ascolto reciproco, condivisione di scelte e responsabilità e va sottratta alla semplificazione e all’emergenza poiché è un patrimonio del Paese.

Mai come in questo momento purtroppo l’approccio ad un tema fondante della democrazia è ideologico, politicistico e strumentale. Per il Mezzogiorno poi con le sue contraddizioni, debolezze di contesto e gap strutturali una “non riforma” fatta di tagli e di visioni centralistiche, classiste e autoritarie può essere un colpo di grazia alle speranze di riscatto di milioni di giovani.

E perdere il Mezzogiorno, i suoi giovani, il suo pensiero, il suo potenziale sarebbe devastante per il sistema italiano nel contesto internazionale. L’Italia non ce la fa senza il Mezzogiorno e il Mezzogiorno ha bisogno di una riforma che dia credibilità, qualità, senso alla scuola pubblica. Ne ha bisogno per costruire una cittadinanza solida, un argine alla criminalità, per affermare una cultura della legalità di massa e per dispiegare il suo potenziale di giovani e intelligenze.

Per valutare lo stato dell’arte della scuola in Campania e proporre un piano organico di rilancio del sistema dell’istruzione regionale non possiamo, quindi, non partire dalla consapevolezza che la scuola del Mezzogiorno mostra una particolare debolezza strutturale e che gli studi scientifici più recenti ci dicono di un divario molto forte tra la scuola del Nord e quella del Sud Italia tale da rappresentare una vera e propria emergenza educativa e di cittadinanza “specifica” dentro una emergenza educativa nazionale. È necessario cogliere, dunque, gli elementi della crisi per trasformarli nell’opportunità di riproporre una questione meridionale che abbia come suo centro lo sviluppo dell’educazione, della formazione e del sapere.

La scuola del Mezzogiorno non può continuare a essere semplicemente additata come la palla al piede del sistema dell’istruzione del Paese, una scuola “minore e separata” cha abbassa gli standard nel confronto con i Paesi Europei ma, proprio per le difficoltà di contesto, va assunta come una grande questione nazionale.

Il Paese nel suo complesso senza il potenziale straordinario del Mezzogiorno non ce la fa nella società globale e della conoscenza, a ridurre i clamorosi divari con il resto del mondo. Il sistema dell’istruzione meridionale che pure si mostra a macchia di leopardo con territori ed esperienze di eccellenza ha bisogno di investimenti mirati che attengono alla responsabilità nazionale e alla qualità delle classi dirigenti locali.

Un nuovo piano nazionale di investimenti per la riforma della scuola deve dunque realizzarsi nell’ambito dei principi di autonomia della scuola e di sussidiarietà degli enti locali. Nell’ambito del riassetto degli organi istituzionali competenti in materia scolastica in fatti a seguito alla riforma del Titolo V della Costituzione e in attuazione della legge n. 59/97 e del conseguente decreto legislativo n. 112/98, il ruolo degli enti locali è divenuto strategico e rilevante nel promuovere e stimolare le iniziative locali e le buone pratiche nell’ambito delle politiche sulla scuola e sui sistemi di istruzione di propria competenza.

Autonomia e Sussidiarietà diventano, dentro la cornice nazionale, la sfida nuova degli enti locali e delle scuole sul territorio, una sfida decisiva per la scuola del Sud a maggior ragione se procede ancor di più il percorso delle riforme in senso federalista dello Stato.

Una analisi seria dei fattori potenzialmente favorevoli come il tasso di natalità, l’attitudine storica all’integrazione sociale, l’intelligenza e la creatività dei nostri giovani, la qualità dei nostri docenti, insieme ai deficit del contesto socio-economico, dell’edilizia scolastica, del tempo-scuola, dei bilanci esigui degli enti locali deve aiutarci a collocare la riforma della scuola e il miglioramento degli standard formativi nella più generale riforma federale.

Dobbiamo avanzare proposte di riforma del sistema dell’istruzione pubblica che possano valorizzare le specificità del Mezzogiorno, che possano consentire una crescita equilibrata di tutto il sistema-paese, che mettano in relazione le esperienze migliori dell’autonomia scolastica e delle buone prassi degli enti locali da Nord a Sud.

Criticità e opportunità del Mezzogiorno da analizzare fuori dai luoghi comuni, con il coraggio di chi vuole cambiare una scuola non più adeguata e con l’autonomia intellettuale di chi non guarda a modelli astratti o semplicemente “esteri” ma aiuta a crescere dal basso una nuova consapevolezza dei problemi.

La Regione Campania questa idea l’ha intesa nel senso di investire 300 milioni di euro in edilizia scolastica, in contrasto alla dispersione, in bonus per le famiglie meno abbienti. La Regione, dunque, sta investendo in controtendenza ai tagli nazionali decidendo di utilizzare quanto più possibile i fondi europei in istruzione, formazione e ricerca. Il progetto “Scuole aperte” per l’apertura pomeridiana delle scuole al territorio ha coinvolto e messo in rete scuole, parrocchie, associazioni offrendo opportunità di integrazione, garantendo presidi di legalità, qualificando l’offerta formativa in senso innovativo e creativo. Inoltre le risorse per l’edilizia scolastica messe a disposizione dalla Regione sono acqua nel deserto per gli enti locali che hanno ormai visto negli anni ridurre drasticamente i trasferimenti statali per la messa in sicurezza delle scuole e l’azzeramento dei finanziamenti alla legge 23 per le nuove edificazioni. Le esperienze migliori di contrasto alla dispersione scolastica sono state valorizzate, si pensi al potenziamento e alla valorizzazione di “Chance” e dei maestri di strada o dell’esperienza di integrazione a rete delle competenze fatta alla Sanità con SpesGoal. Sono segnali che si vuole uscire da una idea episodica dei progetti contro la dispersione per arrivare a una dimensione ordinamentale e strutturata degli interventi. Le chiavi di volta per il futuro della Regione Campania sono a mia avviso, dunque, nell’utilizzo mirato ed efficace dei fondi europei e nel decentramento di funzioni politico amministrative agli enti locali. La Regione deve investire risorse significative per le infrastrutture immateriali, per il sistema dell’istruzione, per un accesso di massa al sapere di qualità. La Regione deve delegare le funzioni di coordinamento ed esecuzione delle politiche formative e scolastiche alle Province e ai Comuni mantenendo solo funzioni legislative e di programmazione. Il limite di un neocentralismo regionale è sotto i nostri occhi.

La scuola che noi vogliamo deve coniugare equità e merito, pari opportunità e valorizzazione dei talenti, deve rappresentare il cuore e il motore dello sviluppo civile, sociale ed economico, assumendo una centralità strategica per una crescita armonica e competitiva del Paese. C’è bisogno di un vero e proprio progetto di liberazione della scuola italiana dalle incrostazioni burocratiche e conservatrici. C’è necessità di assicurare percorsi culturali e formativi per i giovani studenti al passo coi tempi, moderni e competitivi. Noi vogliamo una scuola autonoma, per tutti e di qualità. Noi vogliamo certezze e dignità per i docenti e gli operatori del sistema scolastico, forti investimenti nell’edilizia scolastica e nella formazione continua. Lisbona deve essere la stella polare della trasformazione socio-economica del Paese, poiché le chiavi di volta nella società della conoscenza sono il sapere, la cultura, la formazione. Su questo si fonderanno le democrazie del futuro, il discrimine tra le società aperte e giuste e le società chiuse e discriminatorie. Accanto ai ritardi maturati in questi anni che ci parlano di una scuola italiana fanalino di coda dei sistemi europei vivono sui territori esperienze di eccellenza e buone prassi amministrative.

Una nuova classe dirigente, che si misura coi deficit strutturali del Mezzogiorno d’Italia, deve investire nella sussidiarietà, nel valore del capitale umano, nella voglia di riscatto e nell’autonomia intesa come responsabilità e collaborazione. Inoltre in Campania si combatte contro una illegalità radicata, contro organizzazioni criminali che propongono modelli distorti che tentano di espropriare il futuro dei nostri giovani. Da anni le province e i comuni hanno investito gran parte delle risorse nella scuola, nell’edilizia sicura e di qualità, nelle progettualità per il successo formativo, per l’equità, per l’orientamento, per la lotta alla dispersione scolastica. Proprio perché siamo consapevoli di tutte le contraddizioni delle nostre terre, tra luci e ombre e scivolamenti di rassegnazione, dobbiamo investire in una scuola di “resistenza” ma non di “emergenza”, che nel quotidiano cerca di diventare sistema contro l’altro “sistema”, così tanto raccontato da scrittori e media. Forse perché siamo stanchi della rappresentazione oleografica e discriminante di “scuole sgarrupate”, di masse di “lazzari” semianalfabeti senza chances, mentre qui vivono, pur nelle contraddizioni, eccellenze: docenti intelligenti e generosi, studenti all’avanguardia e modelli da esportare. Forse perché da anni le nostre prassi, pur riconosciute come modelli positivi ed innovativi, restano troppo spesso ancora sperimentazioni e non processi ordinamentali. Forse perché abbiamo sempre guardato agli obiettivi di Lisbona come a un orizzonte necessario e possibile non confinandoci mai in una enclave, ma confrontandoci costantemente con le esperienze del resto d’Italia in una visione europea e globale dei processi di apprendimento, formazione ed educazione chiediamo un salto di qualità necessario per costruire un sistema dell’istruzione sia democratico che meritocratico, che non discrimina, ma valorizza il talento rispondendo ai sogni e ai desideri delle nostre nuove generazioni.

Per approfondire:
www.idis.cittadellascienza.it/?p=11752

www.scuoleaperte.com

www.progettopas.it

Angela Cortese

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