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Educazione di genere: appunti per un dibattito

Pubblicato il: 26/03/2014 14:04:03 -


L’Educazione di genere non è una materia, ma un investimento culturale e sociale della scuola. Bisognerebbe uscire dalle camere stagne delle singole materie e promuovere saperi intercomunicanti e comportamenti attivi, fondati su scelte socialmente ed eticamente impegnate.
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Laura Boldrini, presidente della Camera, rivolgendosi al migliaio di studenti delle scuole superiori presenti in piazza di Montecitorio per partecipare al progetto del Miur “15 22 installazione”, spettacolo teatrale che ha preso il nome dal numero telefonico dei centri nazionali antiviolenza, ha chiesto all’istituzione scolastica di affrontare in classe in modo intenzionale e finalizzato l’“educazione di genere”.
Molti giornalisti hanno ritenuto che, con il suo invito, la presidente della Camera si augurasse l’inserimento di una nuova materia: l’educazione di genere. Non mi è sembrato affatto che questo fosse nelle parole di Laura Boldrini.

Ragionare sull’istituzione di una “materia” nel curricolo non è ciò che serve. Il tragitto scolastico, nel suo complesso, può essere interpretato come una rete di saperi, di percorsi ed esperienze individuali e collettive. Tutto ciò è ancor più vero per l’educazione di genere, un sapere trasversale che coincide con scelte di vita degli adolescenti, con il cammino di maturazione della consapevolezza di sé, dello sviluppo delle proprie capacità anche interrelazionali. Nel passato le esperienze settoriali su temi simili non sono, d’altronde, apparse risposte sufficienti. Ad esempio, tra le scelte concernenti la cosiddetta educazione sessuale, quella d’inserire nei programmi soltanto il tema della riproduzione lasciando l’educativo alla formazione extracurricolare, non ha condotto a risultati soddisfacenti.

Nella scuola, l’education avviene all’interno di una comunità organizzata ed è fondata su un apprendimento finalizzato ai saperi, nell’ambito di un più vasto processo di formazione integrale del soggetto di educazione non solo intellettuale, ma anche civico. Non diventa processo d’education quello delle materie inossidabili, impermeabili, ma lo è quello del coinvolgimento, dell’adesione, che ricostruisce il sapere non come erogazione data ma come ricostruzione conquistata. Soprattutto occorre verificare grado di partecipazione, credenze e investimenti culturali e professionali dei docenti, sempre più chiave di volta dell’innovazione del processo dell’education.
Quanto alle materie serve coordinarle in una rete di saperi disciplinari per la realizzazione di competenze complesse, un quadro d’insieme finalizzato a una progettazione didattica volta alla promozione di personalità mature di allieve e allievi capaci d’incidere responsabilmente nel presente e nel futuro, non assuefatte a subire passivamente i condizionamenti socio-culturali e affettivi. Operare nella scuola, in tale prospettiva, significa promuovere il diritto a uscire dalle camere stagne delle singole materie per promuovere saperi intercomunicanti, generativi di scelte socialmente ed eticamente impegnate.

L’educazione di genere, a cui in passato sono state dedicate raccomandazioni e circolari ministeriali, non può non essere inserita nel quadro del progetto educativo più ampio, che vede la scuola, in quanto agenzia fondamentale di formazione, impegnata nel favorire lo sviluppo e la crescita della potenzialità individuali e collettive. Ciò perché la scuola di oggi non può essere mera scuola trasmissiva ma, scuola di efficace sviluppo di competenze avanzate nel quadro di una produttiva integrazione della persona con l’ambiente, scuola di crescita culturale, intellettuale, civile e sociale di ciascuno e di tutti.
Per questo, è necessario riferirsi (soprattutto nella scuola secondaria di II grado), all’educazione di genere come apertura d’orizzonte all’integrazione delle questioni di vissuto personale e collettivo con i problemi etici, sociali, religiosi giuridici, storici, scientifici, artistici e sanitari del background culturale.

Non una materia, quindi, ma un investimento culturale e sociale. Il riconoscimento della necessità sia di compiere un’elaborazione critica dei saperi e della loro oggettivazione didattica e disciplinare, sia di proporre adeguati modelli educativi.
Limitarsi alla trasmissione di saperi sclerotizzati, che riflettano scelte puramente verticistiche, è un errore educativo e culturale. Se vuole evitare la riproduzione acritica di saperi accumulati, la scuola deve fare ricerca, vivificando i contenuti dei saperi, conservandone i valori educativi. Contemporaneamente deve abituare i giovani alla ricostruzione critica della conoscenza, modellando comportamenti attivi e non semplicemente recettivi.

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Immagine in testata di pixabay (licenza free to share)

Daniela Silvestri

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