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Il paradosso della formazione. II parte – di Arturo Marcello Allega

Pubblicato il: 13/02/2019 11:05:00 -


La crisi dell’istruzione.
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La prima parte de “Il paradosso della formazione” chiudeva la descrizione dei limiti insiti nell’impronta genetica di un docente, con una prima grande contraddizione, quella definita da una visibile “crisi dell’educazione” (nel mondo della formazione scolastica).

Questa contraddizione rimanda, però, ad un’altra contraddizione più profonda.

La redazione

Il docente, oggi, è sfiancato dai suoi infiniti impegni e, per ogni impegno, un obiettivo: la didattica disciplinare, l’alternanza scuola lavoro, i progetti, il coordinamento delle relazioni con le famiglie, i viaggi di istruzioni, le responsabilità sulla vigilanza degli studenti, la privacy e la ‘protection’ dei dati, la valutazione, l’onere nella comunicazione della valutazione, gli organi collegiali e tante altre funzioni (quando, ad esempio, si fa parte dello staff dirigenziale, è travolto, anche, dalle responsabilità del middle management). E questa è una ipoteca pesantissima perché, su tutte queste attività, il docente non è mai stato formato ed è spesso costretto ad improvvisare nella più totale precarietà, chiedendo il sostegno continuo della dirigenza. La prima conseguenza di questo sovraccarico di lavoro (vissuto come necessario alla sopravvivenza della scuola e dei suoi servizi) è quella di provare il grande disagio di non essere in grado di sopportare il peso della complessità di tutte queste attività (es. il middle management è complesso e pure non definito, quindi  si sa dove comincia – dagli incarichi della dirigenza, ma non si sa dove finisce). Quindi, il docente chiede formazione su questi temi, dalla progettazione alla rendicontazione, dalla comunicazione efficace alla gestione del territorio, e così via, tutti temi diversi e lontani dalla disciplina perché connessi alla vita complessa della ‘governance partecipata’ della scuola.

Inoltre, uno dei traumi più gravi del docente è nella consapevolezza che la sua originaria missione disciplinare non ottiene più i risultati aspettati (e se non bastasse la percezione individuale, ce lo ricorda spesso l’INVALSI con le sue “prove” o l’ISTAT con i suoi dati sulla “lettura”). I ragazzi non sanno più scrivere, non leggono e non sanno più far di conto (inutile qui riferirsi ai dati sull’analfabetismo funzionale). Si fa fatica ad insegnare la propria disciplina perché non interessa più. Nonostante la questione dell’apprendimento sia cosa complessa e fitta di problematiche aperte, dipendenti da cause molto legate alle “zone di sviluppo prossimali”[1] e/o ai contesti socio-educativi[2], il docente responsabile si pone in uno stato di autocritica, limitatamente a quella che considera la sua ‘zona di competenza’, e si chiede se ciò è dovuto al fatto che “altri strumenti o impostazioni” disciplinari potrebbero essere più efficaci. Attenzione, non l’uso di strumenti tecnologici più o meno dotati di ‘effetti speciali’, ma un possibile aggiornamento sull’insegnamento della disciplina, proprio perché la scuola è “istruzione”, prima di ogni altra cosa. La sua richiesta non è un corso sulle relazioni o sui significati pedagogici del rapporto studente docente ma, principalmente, sulla sua disciplina e sulla “integrazione” con le altre.

Ed è inutile dire che ogni valente corso universitario (o delle associazioni disciplinari) sulla disciplina lo getta nello sconforto più acuto: nessuna docenza universitaria ha fatto mai tesoro della lezione di J. Bruner[3] sulla efficacia per l’apprendimento della “struttura” (contenuti) delle discipline, nessun accademico si è mai posto il problema della didattica di una disciplina (in termini epistemologici) perché la didattica non è mai stata oggetto di interesse per un accademico, notoriamente votato alla ricerca. Quindi, chi potrebbe essere un esperto in grado di soddisfare questo bisogno del docente? Il paradosso cela un vuoto profondo nella natura didattico – epistemologica della disciplina, quindi, sulla ricerca ‘in se’. È pertanto una certezza che la rivisitazione dell’impianto didattico non può dissociare la questione metodologica da quella dei contenuti disciplinari. Quali contenuti? E quale metodo d’insegnamento per quali contenuti? Un grande, enorme, problema.

Nessuno oserebbe sostenere che un buon corso di pedagogia non sia opportuno e ben accolto, ma diventa sempre più urgente l’emergenza dell’efficacia disciplinare sugli apprendimenti, perché l’azione disciplinare sta fallendo.

 

Ecco, quindi, la seconda grande contraddizione: la crisi dell’istruzione.

Quale formazione è più importante o prioritaria?

È prioritaria la formazione sulle attività del middle management, sulla progettazione, sulla gestione dei rapporti con i fruitori del servizio scolastico, incluso i rapporti con il territorio, o la formazione e la ricerca epistemologica sulla riorganizzazione dei contenuti della disciplina, al fine di evitare il fallimento dell’istruzione? Il docente non è in grado di ‘governare’ o gestire un processo (si pensi, ad esempio, ai progetti su finanziamenti europei, …non ha le competenze). Il docente non crede più nell’infallibilità della sua disciplina.

 

Queste due crisi della scuola, l’una, dell’educazione (precedente articolo “Il paradosso della formazione. Parte prima”) e, l’altra, dell’istruzione, portano insieme al grande paradosso dell’istruzione: quale didattica per il futuro dell’istruzione?

 

La crisi dell’educazione e la crisi dell’istruzione, insieme, sembrano generate da una stessa radice, nell’attuale paradigma culturale-sociale: il “digital trasformation”.

Ogni docente, oggi più che mai, vive il suo più grande stress psico-emozionale nel “digital trasformation”. L’invasività e, allo stesso tempo, la potenza del digitale sono diventate sostanziali e capillari. Possiamo non essere d’accordo sulla definizione di “nativo digitale” ma è palese il fatto che il digitale ha trasformato le vie dell’apprendimento classico introducendo nuove variabili nelle abilità cognitive dei ragazzi sempre più aleatorie ed estranee all’adulto e alla sua cultura classica e che, perciò, sfuggono al docente disciplinare. Sfugge, insomma, il senso del digitale per la didattica (a parte l’uso che se ne può fare con gli “effetti speciali”). Non si comprende come potrebbe agevolare lo studio della Divina Commedia o dei Fondamenti della Meccanica Classica. Gli ambienti di apprendimento si trasformano assumendo una struttura sempre più governata da impianti digitali e a maggior ragione ciò accade per i sistemi di comunicazione. Il linguaggio, a dispetto delle grammatiche, si evolve (o involve, per molti) su direttrici imprevedibili. L’incertezza e l’imprevedibilità sembrano le caratteristiche di questo nuovo mondo. Tutto ciò rappresenta un enorme disagio per il docente che non comprende più quale sia il suo ruolo: la disciplina o la sua versione indicibile nel digital trasformation? Certamente non più la disciplina classica (e suoi libri di testo, manuali). Eppure, quest’ultima resta il suo patrimonio e tale resta anche nei libri di testo o nelle pratiche di formazione disciplinare (‘risolvere’ un calcolo integrale non è e non sarà mai la stessa cosa che ‘vedere l’integrale’ su una LIM). I linguaggi nella e della comunicazione mutano e si trasformano, evolvendosi in nuovi codici e registri in tempi così veloci che il docente non riesce ad appropriarsene. Le relazioni sfuggono e diventa complesso per il docente gestire le nuove ‘relazioni digitali’ (fatte di foto su Instagram, Whatsapp o post su Facebook – le ultime due già superate dai teenager).

Di qui, il grande paradosso dell’istruzione: il digitale sbriciola, disintegra le certezze dell’istruzione classica (umanistica, scientifica e tecnologica) sostituendole con le abilità strumentali e cognitive dell’apprendimento digitale (ancora indefinito, in fase di studio). E tutto quello che sfugge all’interazione tra abilità cognitive e apprendimento digitale è destinato a non avere interesse per la nuova generazione di nativi digitali.

 

In conclusione, è necessario un piano di formazione che componga in un quadro unitario tutti questi elementi, in una strategia integrata che ponga al centro l’essenzialità dell’istruzione prioritariamente in termini di apprendimento. Abbiamo bisogno di istituire gruppi di ricerca che approfondiscano e chiariscano questo quadro di riferimento culturale e che, come sosteneva Bruner, siano composti da ‘ricercatori’ competenti di diversa provenienza, incluso “docenti ricercatori”[4]. Oggi, invece, assistiamo ad una pazza corsa nel formare il personale su tutto quel che capita e con una priorità che dipende dalle mode del momento, in modo disordinato e caotico, dando libero sfogo alle finalità di questa politica o quell’altra, o di questa o quella associazione di categoria.

 

[1] L. S. Vygotskij, Psicologia pedagogica. Manuale di psicologia applicata all’insegnamento e all’educazione, Erickson, 2006

[2]J. Bruner, La cultura dell’educazione, Milano, Feltrinelli, 2000, una trattazione di grande valore per capire la dinamica complessa tra educazione e istruzione.

[3]J. Bruner, Dopo Dewey: il processo di apprendimento nelle due culture, Roma, Armando, 1960 a, anche, in modo più analitico in Verso una teoria dell’istruzione, Roma, Armando, 1982; in questi due volumi, Bruner entra nel merito del problema delle discipline e del loro insegnamento, del fatto che una collaborazione tra psicologi, scienziati della disciplina ed educatori sia essenziale per la individuazione di quelle strutture epistemologiche “diverse” e “adatte” ad ogni tipo di età dell’apprendimento.

[4] A.M. Allega, Pathways for future learning, presentazione al gruppo A del Comitato per lo sviluppo della cultura scientifica e tecnologica, 13/12/2016; A.M. Allega, Il docente ricercatore, presentazione al gruppo A del Comitato per lo sviluppo della cultura scientifica e tecnologica, 29/03/2017; A.M. Allega, Modello culturale dei “contenuti” per l’autonomia didattica e di ricerca, Relazione introduttiva, coordinatore del gruppo di ricerca del Comitato, 19/06/2017; A. M. Allega, L’apprendimento delle STEM al centro dell’Autonomia didattica, Education 2.0 del 10/10/18.

Arturo Marcello Allega

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