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Ma quale sapere informale!

Pubblicato il: 09/03/2009 12:29:56 -


L’apprendimento è un universo, che entra ed esce dalle aule di scuola e percorre le vite ben più largamente, secondo linee complesse, che nutrono dubbi e fanno scoprire cose.
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Quando pensiamo ai saperi informali – diciamo la verità – noi, in qualche modo, li continuiamo a immaginare pensando agli “sfigati”, a quelli che non vanno a scuola o vanno male, che non hanno ricevuto il vero sapere formalizzato dentro le “materie” scolastiche: “i saperi informali si acquisiscono col lavoro manuale”.

Oppure, se li pensiamo rispetto a noi, questi saperi hanno sempre qualcosa di nobile e di gratuito: suonare il sax, raccogliere erbe medicinali, fare volontariato in Africa… Ma se volgiamo onestamente lo sguardo sulla nostra biografia reale e la nostra carriera formativa effettiva, allora scopriamo quanto anche noi siamo intrisi di saperi informali e non formali, acquisiti attraverso attività quotidiane “banali”, “sporche”, “strumentali”: lavori domestici, giochi di carte, week end in cucina con gli avanzi del frigo senza gli algoritmi di Vissani, riunioni di condominio, lavoretti a casa, calcetto, cellulari e computer senza alcuna alfabetizzazione preliminare. È l’everyday life nella quale impariamo facendo. Non solo. Scopriamo che sono proprio questi saperi che ci fanno essere competenti. Perché quando “settiamo” o “solviamo” un compito, lo facciamo spesso ricorrendo ai nostri saperi esperienziali, dove abbiamo attivato tutte le nostre risorse – cognitive ed emotive – acquisite chissà dove. E mescolandoli con quelli formali.

“Sapere, saper essere e saper fare” è una formula obsoleta. Questi saperi non sono né distinti né addendi. Sono un frullato che non replichiamo mai identico a se stesso. Totò diceva che è la somma che fa il totale… Ma qui è il totale che fa la somma.

Se guardiamo al sapere con un occhio antropologico, noi e gli “sfigati” da noi immaginati siamo molto, molto simili. Perché l’apprendere pervade tutta la nostra vita e non è un’attività relegata nelle aule e nei programmi delle scuole. E i nostri maestri non sono stati solo i nostri docenti.

Apprendere non è solo attività gratuita, ma è conficcata nelle necessità delle nostre vite. E il nostro learning è più dirty che clean. Perché segue patterns complessi, che hanno anche a che fare con il funzionamento del nostro cervello. Ed è fatto di arrangiamenti, strategie e trucchi appresi ovunque, anche a scuola. Latour ha rivelato, nelle sue ricerche antropologiche, quanto, anche nei laboratori, le procedure scientifiche siano arrangiate e abbiano a che fare anche con tutto il sapere tacito accumulato nel corso della vita.

Non solo quindi i saperi informali sono assolutamente nobili, in quanto universalmente umani, ma la distinzione stessa dei saperi – così come il tentativo di tassonomizzare le competenze – non regge. La stessa literacy è una competenza (non è casuale che così è tradotta la parola), non una conoscenza, una cosa che eccede i confini dei programmi scolastici perché la vita eccede la scuola. E se provassimo, allora – anche solo per sfida cognitiva, per esperimento mentale – a capovolgere l’ipotesi? E se non si trattasse di portare l’informale al formale, ma viceversa? Vogliamo finalmente dire che forse è dentro le attività sensate dei processi di apprendimento nei loro diversi contesti reali (anche la scuola) che può avere senso introdurre contenuti e procedure formali, saperi codificati, liberati, però, dalla loro organizzazione lineare?

Per approfondire:
• Formale, non formale e informale hanno campi semantici precisi nel linguaggio europeo, cfr. il “Memorandum sull’istruzione e la formazione permanente”, 2000.
• Seymour Papert, I bambini e il computer, Rizzoli, Milano 1994.
• Bruno Latour, Il culto moderno dei fatticci, Meltemi, Roma 2005.




Una bibliografia
essenziale sui saperi formali e informali a cura di Salvatore Pirozzi.

Salvatore Pirozzi

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