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Il futuro del Classico. Inviata speciale al Salone del Libro

Pubblicato il: 11/07/2016 16:26:23 -


Lo scorso maggio, al Salone del Libro, studiosi e personaggi della vita economica e delle istituzioni si sono si sono incontrati per interrogarsi sul valore degli studi classici.
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Il 13 maggio al Salone Internazionale del Libro di Torino si è svolta un’insolita cerimonia: la premiazione delle Olimpiadi di Lingue e Civiltà Classiche.

Ho avuto la grande fortuna di assistervi e di poter così applaudire gli studenti e le studentesse provenienti da tutta Italia che, dopo aver vinto certamina ed aver superato selezioni regionali, si sono sfidati nella traduzione dal greco, in quella dal latino e nella prova di civiltà antiche, quest’ultima particolarmente impegnativa per le competenze storiche e filosofiche richieste.

La premiazione è stata accompagnata dagli interventi degli autorevoli ospiti invitati per l’occasione e per la presentazione del libro Processo al Liceo Classico, frutto della rielaborazione di uno spettacolo teatrale messo in scena nel 2014.

Sono intervenuti: Luciano Canfora, Valerio Massimo Manfredi, Carlo Ossola, Carmela Palumbo, Anna Maria Poggi, Alberto Sinigaglia, Armando Spataro, Fabio Vaccarono.

Di questi conoscevo come ex studentessa di lettere lo studioso Luciano Canfora e, come appassionata di storia, lo scrittore Valerio Massimo Manfredi e, naturalmente, ho atteso con curiosità ed impazienza i loro interventi. Il primo studioso, che ha recentemente pubblicato uno straordinario libro su Tucidide, ha aperto i lavori rivolgendo al silenzioso pubblico la fatidica domanda: ”A che cosa serve questo tipo di studio?” Ad essa non ha voluto dare una risposta definitiva, ma ha preferito fare due semplici osservazioni, la prima: Canfora ha notato che la famosa “domanda” non appartiene alla nostra società, in quanto essa ritorna periodicamente nel tempo. Più interessante allora chiedersi: ”Quando gli intellettuali hanno iniziato a porsi questo quesito?” Beh, prima che si affermasse la cultura del XVII secolo!

La seconda osservazione: la cultura attuale nasce attraverso il contrasto e il desiderio di conoscere l’antico, quindi non ci libereremo mai della cultura classica, il cui oblio vorrebbe dire imbarbarimento.

Insomma il messaggio è stato così profondo e nello stesso tempo così chiaro: non è possibile dimenticare il mondo antico perché esso era pieno delle questioni non risolte che ancora ci riguardano e sulle quali ci arrovelliamo.

A questo punto mi sentivo già estasiata, ma non avevo ancora ascoltato la conclusione del discorso:” Si studia il latino per imparare a studiare”, parole di Antonio Gramsci e . . . non ho avuto neanche il tempo di riprendere fiato che sul palco è salito il Professor Carlo Ossola che ha da poco pubblicato un imperdibile libro: Italo Calvino. L’invisibile e il suo dove.

Egli ha esordito con queste parole:” La filosofia classica ha cercato di scongiurare il terrore dell’infinito e i classici ci aiutano in questo sforzo”. Ha poi insistito, come aveva già fatto Canfora, sull’importanza della traduzione, non solo perché “divertimento” ed “operazione sempre provvisoria”, ma perché essa rende infinitamente più ricca la lingua di arrivo. Ha concluso con una bella osservazione: se manca lo studio della sintassi latina è spesso difficile scrivere e comporre.

Tributato il doveroso applauso, sarei volentieri uscita dalla sala per prendere una boccata d’aria, ma come avrei potuto? Si era nel frattempo fatto avanti sul palco il terzo Relatore che non avevo mai visto e che mi sembrava poco inserito in quel contesto: in effetti era il Dott. Fabio Vaccarono, giovane Country Director di Google in Italia che ha subito preso la parola dicendo più o meno così: ”Il liceo classico è stata la mia più grande fortuna, la svolta decisiva della mia vita e dei miei studi economici”.

Dopo di che, con una velocità impressionante, ha sfoderato una serie di dati: oggi ci sono 2,9 miliardi di persone connesse in rete e nel 2020 queste saranno 6 miliardi. Ha aggiunto che stiamo andando incontro ad un’epoca dominata dall’intelligenza della macchina e dall’esplosione delle informazioni. Tutto questo comporterà a brevissimo tempo la riconversione dell’85% delle attuali professioni. Bene . . . e allora?

Ha concluso il suo pirotecnico intervento affermando che in questa prospettiva qualsiasi specialismo è inutile: a suo parere solo il liceo classico, quello che non rifiuta il confronto con la matematica, può preparare i giovani a gestire la complessità e la quantità.

E scusate se è poco, avrei voluto ribattere! Ma non c’è stato il tempo, il Dottor Vaccarono si era già seduto per far posto al penultimo Relatore, il Giudice Armando Spataro che con molta pacatezza e altrettanta sicurezza ha sottolineato che gli studi classici alimentano il bisogno di studiare, di conoscere e di sapere. Ha concluso citando una frase di Canfora: “La storia, anche quella antica, è tutta contemporanea” e studiarla è indispensabile, anche come argine alla deriva delinquenziale.

A concludere una mattinata indimenticabile mancava solo Vittorio Massimo Manfredi, il famoso scrittore di romanzi storici, del quale avevo letto con molta soddisfazione alcuni dei suoi libri. Anche lui ha preso la parola e, dopo soli pochi minuti, il ricordo di quelle letture si era già sbiadito, travolto da un mirabolante racconto di viaggi, di esperienze in giro per il mondo, soprattutto quello medio orientale, del quale citava luoghi e nomi a me sconosciuti, ma bellissimi e magici, dei quali ho colto solo quello di Palmira.

Allora, per finire, lo scrittore ha posto ancora la prima domanda: “A cosa serve il latino? Bene, ma allora a che cosa serve L’infinito di Leopardi e la Nona Sinfonia di Beethoven?”

Manfredi ha risposto molto emozionato: ”…a capire che io sono io e nessun altro; che abbiamo alle spalle trenta secoli di storia e che questa è una cosa enorme. Trenta secoli e non è passato un secolo, un anno, un mese, un giorno, un’ora senza aver creato meraviglie, bellezze perfette ed assolute ed è necessario avere questa coscienza”.

Infine con una voce musicale e incantatrice ha recitato i versi dell’XI canto dell’Odissea, la discesa di Ulisse nell’Orco, versi “rimbalzati” nell’Eneide di Virgilio e nel XXVI canto dell’Inferno dantesco, le cui terzine quasi urlate hanno fatto commuovere e piangere molti tra il pubblico.

A quel punto sono scrosciati gli applausi e si è conclusa la cerimonia, ed io entusiasta per quanto avevo ascoltato mi sono alzata e sono uscita a riprendere il contatto con la realtà. Che esperienza gigantesca, perché di giganti si trattava!

Per approfondire:

Il futuro del classico: Il video dell’incontro

Roberta Dinetto

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