Le tecnologie nella scuola: che cosa si dice e che cosa succede davvero
È successo per l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nella scuola quello che avviene per tutte le nuove tecnologie che entrano con forza nella società. Si passa da una fase d’avanguardia, accompagnata da teorizzazioni, esercizi di immaginazione, utopie (positive e negative), a una fase di più silenziosa pratica effettiva. In qualche modo le TIC sono oramai nelle mani degli studenti e dei docenti. Per la verità molto di più nel lavoro e nella vita di ciascuno di loro che nel loro comune lavoro a scuola. È quindi necessario continuare a produrre studi, suggerimenti e modelli, ma è oramai possibile fare analisi di quello che succede veramente. I contributi di esperti e gli interventi nella Community di Education 2.0, a oggi, non sono di per sé la base di una indagine sistematica, ma la loro lettura permette di riflettere.
I contributi sono rivolti essenzialmente a tecnologie o applicazioni più “calde” e recenti: e-book, social network, LIM, ma con una rivisitazione del rapporto fra immagini (cinema), musica e testi e con l’interessante crescita della ormai classica robotica. Di temi che ci hanno appassionato per anni (Come incide la videoscrittura nella concezione del testo? Come si crea una cultura della ricerca di informazioni in Internet? È vero che l’uso del calcolo automatico è dannoso? E così via) non c’è traccia. Probabilmente quando alcune cose oramai si praticano di fatto se ne parla meno e ci si preoccupa meno dei risvolti. Se ne può avere una verifica in molti interventi (per esempio in quelli del convegno di aprile di Education 2.0), classificati in vari temi, nei quali l’uso delle tecnologie c’è di fatto, ma non viene enfatizzato. In conclusione solo una parte di quello che succede davvero emerge nel dibattito specifico sulle TIC.
Dai contributi teorici, dalle analisi dei singoli media e dal racconto di esperienze emerge il problema di sempre: le nuove tecnologie cambiano o no il modo di fare scuola? Molti anni fa una corrente di pensiero aveva concepito l’idea che l’uso delle tecnologie, di per sé, dovesse per forza provocare l’innovazione didattica. Se le tecnologie hanno cambiato il modo di lavorare, viaggiare, produrre cultura e leggere, perché non dovrebbero cambiare il modo di fare scuola? Quindi l’idea delle tecnologie come “leva”: visto che l’innovazione non viene dalle riforme istituzionali e dal dibattito su metodi didattici, saranno i nuovi mezzi che la promuoveranno. Sarà che la scuola è il più coriaceo sistema sociale, capace di resistere a qualsiasi provocazione (a volte, intendiamoci, a fin di bene). Fatto sta che all’automatismo tecnologie-innovazione didattica non ci credono più in molti. Si può ragionare su qualsiasi medium, ma il caso delle LIM è particolarmente chiaro, come si ricava da alcuni interventi: è ovvio che questi congegni si possono usare in tanti modi diversi al servizio di altrettanti modelli della lezione in classe e, fra questi, dei modelli più antichi. Il problema è che una lavagna interattiva non garantisce una lezione interattiva. L’interattività didattica consiste nel far interagire continuamente quello che l’insegnate dice, mostra e, soprattutto, chiede, con quello che gli studenti pensano, capiscono, hanno la possibilità di rispondere e di domandare. È imbarazzante costatare che è possibile fare lezioni interattive con la lavagna tradizionale e lezioni non interattive con la lavagna interattiva.
E allora cosa se ne deve concludere: che le nuove tecnologie non servono a niente? Certamente no. Esse sono potenzialmente rivoluzionarie perché possono rafforzare enormemente i modelli più avanzati di didattica. Ma non lo fanno gratis. Non c’è bisogno di meno, ma di molto più studio e di ricerca sui metodi, sui linguaggi, sui saperi.
Per approfondire:
• Scarica lo speciale di Education 2.0 Le tecnologie nella scuola
Mario Fierli