Pandemia e organizzazione della scuola: le criticità  (2a parte)

Nel precedente intervento ho preso in esame alcune delle criticità che la pandemia ha fatto esplodere nella scuola italiana, occupandomi in particolare della scuola secondaria di secondo grado che in questi 16 mesi ha visto ridursi il tempo di presenza degli alunni a scuola, in alcuni casi a nemmeno un mese complessivo. Nel PNRR vi è una parte dedicata alla scuola (Missione 4: Istruzione e Ricerca) e in essa sono presenti molte voci che potrebbero incidere anche sulle difficoltà analizzate ma che mi sembra manchino di un progetto complessivo.

Il PNRR e l’offerta educativa

Nella prima missione, M4C1: “Potenziamento dell’offerta dell’istruzione, dagli asili nidi all’università”  troviamo, tra gli altri, elencati due obiettivi:

  • Ridurre gradualmente il tasso di abbandono scolastico nella scuola secondaria
  • Rivedere l’organizzazione e innovare il sistema di istruzione

Per ridurre l’abbandono scolastico vengono fatte proposte condivisibili, che però non mettono in evidenza e non riprendono sia il lavoro fatto fino ad ora dalle scuole con il RAV (Rapporto di AutoValutazione) e i conseguenti piani di miglioramento, sia il lavoro fatto con i Nuclei di valutazione esterna, come ha ben evidenziato il Prof. Allulli nell’articolo Il nuovo PNRR e l’Istruzione«» [qui link a http://www.educationduepuntozero.it/politiche-educative/il-nuovo-pnrr-per-listruzione.shtml]

Sul secondo punto il PNRR ha intenzione di intervenire solo sul numero di alunni per classe e il dimensionamento della rete scolastica indicando come uno degli  obiettivi il «superamento  dell’identità tra classe demografica e aula, anche al fine di rivedere il modello di scuola». Ci stiamo forse aprendo alla possibilità di avere ‘classi aperte’ a seconda delle materie che i ragazzi scelgono, dei loro interessi e delle opportunità offerte dal territorio di riferimento della scuola?  Purtroppo il passaggio così prosegue: «Ciò, consentirà di affrontare situazioni complesse sotto numerosi profili, ad esempio le problematiche scolastiche nelle aree di montagna, nelle aree interne e nelle scuole di vallata».Forse allora si sta solo pensando di creare classi con alunni distribuiti sul territorio attraverso una didattica digitale integrata. Soluzione lodevole laddove vi siano centinaia di chilometri di distanza tra l’unica scuola e le abitazioni, ma non mi sembra questo il caso dell’Italia. D’altra parte questa riorganizzazione dovrebbe concludersi, secondo il PNRR, entro il 2021 e quindi temo che quest’ultima ipotesi sia la più veritiera anche perché il numero di alunni per classe e gli organici dei docenti previsti per il prossimo anno scolastico non sono stati modificati.

Nelle pieghe di uno degli altri obiettivi di questa missione, la Riforma del sistema di orientamento, troviamo poi scritto che  «verrà ampliata la sperimentazione dei licei e tecnici quadriennali, che attualmente vede coinvolte 100 classi in altrettante scuole su territorio nazionale e che si intende portare a 1000» e questa è davvero una indicazione importante. Non ho gli elementi per valutare come stia andando questa sperimentazione avviata nel settembre 2018, e quindi ancora non conclusa, ma mi chiedo se una sperimentazione di questo genere non debba essere accompagnata da una riflessione sulle indicazioni dei curriculum o se invece sia riservata esclusivamente alle eccellenze e quindi in realtà non vuole cambiare nulla. 

Il PNRR e la formazione docente

Nella sezione 2 dedicata al Miglioramento dei processi di reclutamento e della formazione degli insegnanti troviamo indicate come riforme:

  • Riforma del sistema di reclutamento dei docenti
  • Scuola di Alta Formazione e formazione obbligatoria per dirigenti scolastici, docenti e personale tecnico-amministrativo

Nella riforma del sistema di reclutamento si indica quale obiettivo strategico «di comportare un significativo miglioramento della qualità del sistema educativo del nostro Paese che non può non passare attraverso un innalzamento delle professionalità del personale scolastico».  e già il 25 maggio nel decreto sostegni, DL 73 art.59, si indicano le modalità di svolgimento dei futuri concorsi a docente:

  • sostenimento e superamento di una  unica  prova scritta con più quesiti a risposta multipla, volti  all’accertamento delle conoscenze e competenze del candidato  sulla  disciplina  della classe di concorso o tipologia  di  posto  per  la  quale  partecipa, nonché sull’informatica e sulla lingua inglese.
  • Prova orale
  • Valutazione dei titoli

Forse si punta molto, per migliorare la professionalità dei docenti, sull’anno di prova e formazione iniziale che si vuole anch’esso riformare, ma permettetemi di avere qualche perplessità in merito.

In Italia abbiamo avuto per 10 anni la Scuola di Specializzazione all’Insegnamento Secondario (SSIS) , in cui ho lavorato come supervisore, che ha avuto esperienze molto significative (quali quella del Lazio che ha visto una stretta collaborazione tra tutte le tre università di Roma, numerose scuole e molti docenti) e forse altre meno significative se poi il Ministero ha deciso la loro abolizione e il passaggio a  un anno di Tirocinio Formativo Attivo (TFA). In entrambi i casi, l’idea era che prima ti formi, non solo teoricamente, e poi entri in campo con tutte le tue responsabilità educative. Nei dieci anni di lavoro con la SSIS ho visto sempre ‘un innalzamento delle professionalità’ di tutti i tirocinanti e allora mi chiedo perché non riprendere e migliorare/adattare una buona esperienza utilizzandola per riformare davvero il sistema di reclutamento. In teoria la SSIS era abilitante e la prova finale aveva carattere concorsuale così che gli abilitati avrebbero potuto essere immessi in ruolo automaticamente; mantenere in piedi questo sistema di reclutamento e contemporaneamente una scuola che continuava a produrre precari perché aveva bisogno di supplenti è stata probabilmente la contraddizione che ha fatto saltare tutto.  

La seconda riforma, la Scuola di Alta Formazione, potrebbe avere risvolti interessanti anche se, pur riconoscendo la necessità di una formazione continua, quando se ne prevede l’obbligatorietà, bisognerebbe sempre pensare che sarebbe opportuno stabilireun adeguato riconoscimento economico della professionalità che si acquisisce e si mantiene viva.

Il PNRR e le discipline STEM

Nella terza sessione, Ampliamento delle competenze e potenziamento delle infrastrutture, si individua nell’intervento sulle discipline STEM la chiave di volta per  agire «su un nuovo paradigma educativo trasversale di carattere metodologico» auspicando il superamento della lezione frontale e, come dichiarato nell’introduzione a tutta la Missione 4, «recuperando ad esempio i metodi di Emma Castelnuovo per l’insegnamento della matematica nella scuola e per l’introduzione a materie che non sono parte del curriculum tradizionale».

Non ho nulla da obiettare nell’introduzione delle discipline STEM ma mi chiedo come l’introduzione di discipline, e di un corso di coding obbligatorio nell’arco della vita scolastica di ogni alunno (come detto a conclusione dell’investimento 3.1 Nuove competenze e nuovi linguaggi) possano modificare le metodologie didattiche attuate nella scuola. 

Conclusioni

Da questa forse troppo lunga carrellata, ma non certo esaustiva, sulle criticità emerse nella scuola in questo anno e mezzo di pandemia e sulle misure previste nel PNRR sul sistema di istruzione, spero si evinca come un intervento sulla scuola volto a risolvere davvero le problematiche non possa essere solo una somma di interventi parziali anche se corretti o fatti con le migliori intenzioni.

So bene che nell’affrontare queste tematiche ci portiamo dietro problemi che sono di difficile risoluzione ma so anche che nella scuola abbiamo ‘subìto’ molte riforme, dalla Moratti alla legge 107, e in ognuna di queste noi docenti abbiamo speso energie e impegno riuscendo molto spesso a trasformare in elementi positivi anche cambiamenti forti e imposti dall’alto come l’alternanza scuola lavoro.

Non è una nuova riforma quello di cui abbiamo bisogno ma di una visione d’insieme che tenga conto anche di alcuni ostacoli presenti nella scuola secondaria come la difficoltà di modificare metodologie didattiche o la brutta consuetudine a trasformare in obblighi burocratici  qualunque richiesta di confronto o programmazione imposta dall’alto. È anche però vero che nella scuola secondaria sono numerose le esperienze di rinnovamento metodologico, e in alcuni casi anche organizzativo, ma rimangono esperienze che non si diffondono e non modificano significativamente il panorama scolastico complessivo.

Nel PNRR i Licei non vengono mai nominati come se in quel settore scolastico tutto vada alla perfezione e si dice avviata una riforma degli istituti Professionali e Tecnici  che «In particolar modo orienta il modello di istruzione tecnica e professionale verso l’innovazione introdotta dall’industria 4.0, incardinandolo altresì nel rinnovato contesto dell’innovazione digitale». ’innovazione digitale e l’introduzione di aule connected learning environmentsnsembrerebbero gli unici interventi in cui è coinvolto l’intero ciclo di istruzione, dalla primaria in poi.

Come ho detto nel primo intervento la scuola dell’infanzia e la scuola primaria hanno un’esperienza di confronto più consolidata e con più ‘ascolto’ tra i maestri e nelle scuole; mi sembra però il momento che anche nella scuola secondaria, in particolare in quella di secondo grado, si avvii un dibattito sulla sua possibile evoluzione e trasformazione. Penso sia urgente trovare il modo di fare anche noi proposte concrete e attuabili che tengano conto di quanto espresso nel PNRR ma che vadano anche oltre.

Giovanna Mayer Già docente di matematica nella scuola secondaria superiore