La scuola in tempi di emergenza 2
2. Equidistanze e buon senso.
Vorrei condividere con voi lettori alcune riflessioni sullo stato attuale della didattica a distanza, rilevando possibili criticità sia come punti di forza, sia come punti di debolezza.
Oggi, su questa rivista, Raffaele Iosa, pedagogista di livello, ha notato come la didattica a distanza sia un’opportunità per quella che lui ha definito “didattica della vicinanza”, intendendo con questo che, le famiglie costrette alla vicinanza sono forzate ad interagire tra loro stesse, ma anche partecipare direttamente o indirettamente al lavoro didattico dei figli, alle volte, semplicemente perché costretti a condividere tavolo o scrivania, cioè gli spazi fisici.
Io aggiungerei che forse, ancora più intensa, è la ricerca della vicinanza che determina quell’emozione dirompente che spezza ogni forma di isolamento, anche quella implicita nella prassi della didattica a distanza, quando questa non si riduce ad uno scambio di e-mail o WhatsApp, ma stimola la partecipazione con dinamiche interattive, come ad esempio l’uso della classroom.
Ora d’altra parte, non bisogna nascondere il fatto che la didattica a distanza potrebbe essere motivo anche di una “didattica della lontananza”, quando appunto si abbandonano le logiche interattive dove il senso della didattica si ritrova nella partecipazione. Coloro, tra docenti, che si limitano ad usare Word, Excel e PowerPoint, qualche PDF scaricato o il link a lezioni preconfezionati, generano un processo di allontanamento sia dello studente medio, sia dello studente fragile. Il rischio di legittime reazioni da parte di chi non può sostenere il peso massivo di compiti o materiali multimediali inviati con il registro elettronico, o con altri sistemi più tradizionali, è facilmente prevedibile, tanto più quando lo studente non ha a disposizione uno spazio fisico, mentale, per chiedere, spiegare e parlare. Pensiamo ad esempio alla dinamica delle “correzioni”. Gli errori sono inevitabili e restano passi necessari del processo di apprendimento e hanno bisogno del tempo e dello spazio necessari per essere “elaborati” e “capiti”. E se questo spazio è negato, non ci si può sorprendere, poi, dei risultati e non si può gravare la responsabilità sulle spalle dei soli studenti. Occorre pensare a strumenti di lavoro “aperti”, “partecipati” e tra studenti e docenti, ma anche tra docenti e docenti.
La valutazione, argomento che affronteremo più volte nei prossimi giorni, non può essere, ovviamente, quella “tradizionale”, ordinaria. Due discriminanti essenziali dovranno essere considerate, prima dei risultati disciplinari, a) l’uso di strumenti partecipati e b) il grado di partecipazione di tutti, studenti e docenti. Anche prima della Dad questi elementi erano componenti della valutazione, e lo erano per la valutazione del comportamento; ora, essi hanno una portata diversa perché sono essenziali da un punto di vista strumentale, e non solo comportamentale, in più sono elementi sotto il controllo e il monitoraggio dei genitori. Certamente lo studente che “rifiuta” lo studio, “rischia” valutazioni, diciamo, poco rappresentative della sua preparazione e un ruolo essenziale lo svolge la famiglia proprio per la “didattica della vicinanza”. Chiarisco ancora! La famiglia non ha l’onere di spiegare le equazioni al figlio, questo è il compito del docente. La famiglia deve esercitare il suo potere emozionale per aiutare lo studente alla partecipazione, ad interagire con la classe e di docenti, stimolandolo e sostenendolo. Il docente dovrà condividere con la classe le criticità dell’apprendimento, ad esempio, in una classe virtuale, spiegare a tutti gli studenti, gli errori più frequenti, predisporre delle FAQ e avviare delle sessioni peer to peer nelle quali gli studenti migliori aiutano gli studenti più fragili. Sulla valutazione dei risultati disciplinari parleremo in seguito.
Ora, mi preme, porre l’attenzione su una conseguenza inevitabile della didattica distanza: l’organizzazione del lavoro.
Nella precedente nota ho sottolineato la difficoltà delle famiglie. Non meno è quella del docente sottoposto al bombardamento di 140 (fino a anche 220) studenti al giorno. Senza limiti o pause temporali! Sia per la famiglia che per il docente è una grande difficoltà. Inoltre, come ben sapete, al fine di salvaguardare la salute e la sicurezza di tutti, occorre ricordare che il lavoro al video deve essere interrotto ogni due ore per almeno 15 minuti e possibilmente facendo esercizi per la postura. Aggiungerei che stare due ore ad ascoltare o ascoltare e vedere una lezione è ben diverso che leggere un libro, scrivere, parlare e scambiarsi pareri (almeno lo è per gli occhi e le orecchie).
Come se ne esce?
La chiusura delle scuole ha “imposto” sia stili di insegnamento “diversi e nuovi”, sia diversi e nuovi stili di lavoro e di studio. Essenzialmente questo comporta diversi e nuovi parametri di valutazione, un ripensamento ai programmi di studio ed, infine, diverse e nuove forme organizzative.
Per i programmi occorre ricordare che ci si deve concentra prioritariamente, ai fini del superamento dell’anno scolastico (ammissione all’anno successivo) sui contenuti del “core”, cioè di quel nucleo essenziale della materia, della disciplina che il docente, il Consiglio di Classe e il Collegio (via i suoi Dipartimenti) ha ritenuto conditio sine qua non per l’ammissione all’anno successivo. Un aspetto molto delicato è dato dall’attività laboratoriale. Essendo esclusa la possibilità di accedere ai laboratori della scuola, resta solamente la tecnica, fino ad oggi sottovalutata, della simulazione. A tale proposito si possono ottenere da #solidarietadigitale dei pacchetti software gratuiti utili a tale scopo.
Sulla valutazione abbiamo già detto (e i lavori sono in corso), sull’organizzazione è presto detto.
Sull’orario di lavoro, nel caso più semplice, basta considerare che ogni docente ha il suo orario di servizio. Non si chiede a nessuno di stare al video per due ore di lezione consecutive. L’attività didattica può essere organizzata in modalità flessibile, molto flessibile, laddove la lezione deve essere alternata con la discussione, la partecipazione, l’analisi degli errori trasparente e partecipata, il rinvio a materiali da approfondire tenendo conto che l’assegnazione dei compiti deve essere ben distribuita per consentire a tutte le materie di poter trovare un loro giusto equilibrio. Avere in mente, rigidamente, il vecchio programma ministeriale, senza ricorrere a forme di flessibilità, comporta la meccanica assunzione di responsabilità circa l’abuso di spazi e di tempi che tutte le materie insieme non possono più sostenere, se si pensa al peso che questo eserciterebbe sull’apprendimento degli studenti. Misura, parsimonia e, soprattutto, “buon senso”.
Oggi più che mai si chiede a tutti, meno polemiche, meno tensioni, ma tanto e tanto buon senso. La sofferenza di essere chiusi in casa porterà tanti benefici a tutta la comunità nel debellare la pandemia in corso, pertanto evitiamo di aggravare la situazione con atteggiamenti rigidi e, solo apparentemente, professionali. Evitiamo derive psicologiche da claustrofobia aggravate da stress scolastico. Evitiamolo noi adulti (genitori e docenti) al fine di conservare gli equilibri essenziali.
Le polemiche oggi sono fuori luogo. Se c’è una legge che impone gli Esami di Stato, c’è anche un virus che impone una legge sulla chiusura di tutte le attività; se non c’è una legge che impone l’obbligo della Dad, esiste anche una legge che garantisce il diritto all’istruzione; se c’è una legge che vieta l’uso del videoterminale (così si chiamava una volta, oggi semplicemente schermo), c’è anche una legge che stabilisce la tua autonomia scolastica nel gestire tempi e strumenti; se c’è una legge che impone un programma, c’è una legge che dice di essere flessibili perché l’unico curricoli che conta è quello che rispetta le indicazioni nazionali (quindi il programma non è più un obbligo legislativo); se c’è una legge sulla valutazione, c’è anche una legge che attribuisce oneri e criteri agli organi collegiali. Insomma, nulla giustifica più la rigidità dell’insegnamento di una volta! Semmai si deve considerare essenziale il bisogno delle famiglie di istruire i propri figli, quindi l’onere della scuola di creare eccellenti condizioni per l’apprendimento.
Per concludere, oggi viviamo una catastrofe di dimensioni planetarie e la scuola non deve rappresentare una sofferenza in più. Non deve aggravare la condizione di isolamento della famiglia creando tensioni ma, invece, aprendo spazi per tutti, figli e genitori, affinché possano travate in essa un’alternativa al gioco, alle faccende di casa, alla TV e i mezzi di comunicazione. L’apprendimento, la didattica e quindi l’istruzione sono cose belle, sono aspetti della crescita rocchi di colore, colmi di una musicalità che si trasmette generando una catena di valori positivi. In questo noi crediamo ed per questo noi dobbiamo lottare: la scuola la vogliamo così, la scuola siamo noi, la scuola non si ferma,…mai!
Arturo Marcello Allega