La Filosofia per i non addetti ai lavori: una piccola esperienza di ’didattica del mito’
Di recente (il 17 novembre scorso) l’amica Vittoria Gallina mi ha chiesto di parlare del mito classico presso la biblioteca dell’istituto Federico Caffè’ di Roma. All’iniziativa, promossa dal prof. Massimo Tegolini, ha partecipato una seconda del liceo scientifico delle scienze applicate accompagnata dalla prof.ssa Federica Luccerini.
L’incontro aveva tutte le premesse per dimostrarsi poco efficace. L’orario, fissato alle ore 13, dopo un intero giorno di lezioni, l’argomento offerto a studenti che non conoscevano né l’Iliade, né l’Odissea, né l’Eneide e che non avevano nel curricolo l’insegnamento di latino.
Non è stato così. Guardinghi all’inizio, i ragazzi, stimolati a intervenire e riportati su terreni a loro più familiari, hanno partecipato attivamente, dimostrando interesse e acume nelle osservazioni e facendo mostra di quel ‘pensiero laterale’ di cui le menti giovani si nutrono e che così poco viene tenuto in considerazione nella normale prassi di insegnamento-apprendimento.
Già, perché come la chimica può essere insegnata a partire dalla cucina di casa, così un argomento apparentemente tanto lontano nel tempo e denso di erudizione come il mito classico può aprirsi alla esperienza del quotidiano, dandole – o cercando di darle – senso e prospettiva.
Ragionando sul significato e l’origine delle parole, ad esempio, (la serie di slides a corredo dell’incontro è iniziata con Homer Simpson che pronuncia il suo celebre “Mitico!”), dobbiamo sforzarci di rendere meno sordo e ossificato il linguaggio di tutti i giorni, facendo, per così dire, la spola tra la vita fuori dell’aula, che non va obliterata o accantonata, e la scholè, ovvero il momento ineludibile in cui cessano i rumori esterni e ci si concentra su una dimensione ‘disinteressata’ se si vuole, ‘inutile’, dello studio.
Nel caso del mito, il fuoco della ricerca non potrà che essere sulle ragioni dell’esistere, sul perché delle cose. Da questo punto di vista, il discorso mitologico ha l’indubbio vantaggio di comprendere in sé la dimensione fantastico-favolistica, oggi particolarmente vitale e diffusa tra i giovani (basti pensare ai videogiochi, ai fumetti, a tanta filmografia) e quella, ben più importante, di una prospettiva non dogmatica, aperta (potremmo dire, in termini filosofici, ‘non dialettica’), tramite la quale giungere alla consapevolezza che lo scopo del nostro indagare non è quello di chiudere il cerchio, di confezionare pacchettini di senso sciolti dal contesto, ma quello di accettare la molteplicità così com’è, senza mai pretendere di avere ricette risolutive e senza per questo rinunciare a interrogare e a interrogarsi.
In questa accezione, parlare del mito e ‘fare filosofia’ sono un tutt’uno. Mythos (discorso sui fondamenti) e Logos (ragionamento sui fondamenti) dovrebbero costituire una dimensione ineludibile dell’insegnare che, ribadiamolo, significa non già trasmettere soluzioni, ma imprimere segni, fornire indicazioni e strumenti, accendere piccoli fuochi.
La mera applicazione di un ulteriore francobollo disciplinare “filosofico” a un impianto curricolare rigido quale è quello della secondaria superiore italiana, compreso l’indirizzo tecnico-professionale, corre invece il serio rischio di rappresentare un ulteriore aggravio dei processi di apprendimento di contenuti complessi come quelli filosofici, senza che essi, come dovrebbero, riescano a fecondare il percorso scolastico nella sua interezza, contribuendo in modo decisivo a “emancipare” gli studenti rispetto alla loro condizione d’ingresso nella scuola.
Ha dunque perfettamente ragione Andrea Turchi quando dice, su questa stessa rivista, che è necessario un ripensamento radicale del modello di formazione dei docenti, ancora prevalentemente di tipo accademico-disciplinare, nonché «un profondo rinnovamento delle struttura della scuole: un minore dominio delle materie a fronte di una maggiore permeabilità (che va sicuramente organizzata dagli stessi docenti)”».
Claudio Salone