La rivoluzione è al di là dell’”angolo”

La rivoluzione delle tecnologie digitali riguarda tutti gli ambiti sociali e culturali. Pone problemi globali e complessi, che meritano una risposta altrettanto globale. La scuola da sola non può offrire l’intera risposta, ma certo ha un compito primario nel produrla.

A leggere gli ambiziosi obiettivi dichiarati da tempo nei profili culturali di tutti gli ordini di scuola sembrerebbe emergere la volontà di assumersi questo compito. Rivediamoli brevemente:
– fornire a tutti competenze digitali consistenti essenzialmente nella padronanza dell’uso degli strumenti e delle applicazioni informatiche;
– far acquisire a tutti alcune forme di pensiero che stanno alla base delle TD (pensiero digitale, robotica);
– integrare l’uso delle tecnologie nei processi cognitivi in contesti disciplinari, interdisciplinari e trasversali;
– dare a tutti la comprensione delle nuove forme culturali e sociali che si stanno sviluppando e la capacità di affrontarle criticamente e creativamente (Non parliamo della formazione dei tecnici, che è importante, ma chiede un discorso a parte).

Si tratta di una scalata dal semplice al complesso. Ma, almeno per il più complesso, l’ultimo elencato, serve un impegno attivo e armonico di molti soggetti: un ecosistema per l’apprendimento.

Sul fronte delle competenze d’uso delle applicazioni, la Patente Informatica Europea, con i suoi syllabus e soprattutto con le sue certificazioni, ha creato uno standard internazionale riconosciuto. La Patente punta a fornire competenze sistematiche, anche di valore professionale. Partita dai principali strumenti “di produttività” presenti sui PC, con la nuova versione si apre a molte nuove applicazioni, inclusi i social network, anche con l’uso di dispositivi tascabili.

Si tratta sempre, comunque, di applicazioni di uso generale e di una certa complessità. Ma oramai il mare delle applicazioni, è così ampio e vario che non è facile stabilire il confine fra quelle che richiedono un impegno formativo e quelle che procedono oramai per contaminazione.

Fin dai primi anni ’70, creare algoritmi per risolvere problemi è stato proposto come obiettivo, motivato da diverse prospettive psico-pedagogiche in genere di tipo costruttivista (Mindstorms di Seimour Papert è un testo da rileggere). Nonostante le numerose sperimentazioni, la nostra scuola è lontana da un solido risultato in questa direzione.

Lo dimostrano le prove di matematica della maturità scientifica che continuano litigare con l’uso delle calcolatrici elettroniche programmabili e non propongono quesiti di informatica, o ne propongono qualcuno molto banale. Anche l’approccio alla robotica, presente da tempo, oggi riscuote nelle scuole un’attenzione crescente, come si è visto anche nell’edizione 2014 della Maker Faire. Si tratta però sempre di progetti d’avanguardia.

Fin qui si rimane in zone specifiche del curricolo, “l’angolo delle tecnologie”: ambito tecnologico nella scuola elementare, educazione tecnica nella scuola media, discipline tecniche nella secondaria superiore. La matematica è l’unica disciplina di formazione generale chiamata, per certe applicazioni, direttamente in causa. Ma rimanendo nell’angolo delle tecnologie non si può affrontare il problema principale, rappresentato negli ultimi due obiettivi del nostro breve elenco: come ripensare i processi cognitivi, i saperi, e in generale i comportamenti.

Per farlo occorre invertire il percorso: non (solo) domandarsi come funzionano le tecnologie e come si usano, ma partire dai problemi che nascono nei vari contesti disciplinari, culturali e sociali e domandarsi se e come le tecnologie, oltre a crearli, possano, debbano o non debbano essere usate per risolverli. O, più in generale, quali nuove forme di pensiero e di espressione vadano comprese e sviluppate.

La risposta deve essere articolata in tutte le discipline e in tutti gli ambiti curricolari: cosa significa scrivere un testo di storia, risolvere un problema di matematica, condurre un’indagine scientifica, produrre una comunicazione, con le tecnologie disponibili? Talvolta le tecnologie rendono banali le risposte tradizionali ai problemi (si pensi al calcolo, alla ricerca di informazioni, alla progettazione tecnica). Come reagire a questo: impedendone l’uso, oppure proponendo problemi più complessi “a prova di tecnologie”? E come raggiungere le competenze trasversali (il problem-solving, la cooperazione, la ricerca e la sintesi delle informazioni ecc.)? Sia chiaro che non bastano risposte di principio, né tanto meno ideologiche, ma occorre ripensare punto per punto le pratiche didattiche.

È ovvio che, per affrontare il problema a questo livello, serve soprattutto una costante pratica di ricerca-formazione, dentro la scuola e insieme ad altre istituzioni. Non necessariamente serve un percorso ad hoc. Se la pratica di ricerca-formazione (pre-servizio e in servizio) diventasse generale e costante – come dovrebbe – basterebbe assicurarsi che al suo interno il problema delle tecnologie fosse sempre presente. Anche la scelta degli strumenti tecnici, che è sempre il problema che più colpisce la fantasia dei media e spesso muove le decisioni politico-amministrative, dovrebbe smettere di essere un “a priori” e scaturire da questa pratica.

Il documento di base proponeva la questione delle tecnologie digitali con molta enfasi. Il testo del DDL uscito dalla Camera, anche se con meno enfasi, dedica loro un certo spazio. Nell’articolo 2 fra i 17(!) obiettivi prioritari, si elenca lo “sviluppo delle competenze digitali degli studenti, con particolare riguardo al pensiero computazionale, all’utilizzo critico e consapevole dei social network e dei media, nonché alla produzione e ai legami con il mondo del lavoro”.

L’intero articolo 7 (innovazione digitale e didattica laboratoriale) propone l’adozione del già esistente Piano Nazionale per la Scuola Digitale e ne articola i fini. Fra questi ci sono la “formazione dei docenti per l’innovazione didattica e lo sviluppo della cultura digitale per l’insegnamento” e la “valorizzazione delle migliori esperienze delle istituzioni scolastiche anche attraverso la promozione di una rete nazionale di centri di ricerca e formazione”. È anche previsto che un docente scelto dall’organico funzionale sia dedicato al coordinamento del Piano Digitale nella scuola.

Sono risposte abbastanza significative, ma che sembrano comunque obbedire alla logica dell’angolo delle tecnologie. Inoltre l’esiguità delle risorse rischia, come al solito, di creare più isole che un movimento complessivo.

Approfondimenti: A. Chiocchiarello, Competenza digitale e pensiero computazionale in Education 2.0

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Immagine in testata di solotablet.it

Mario Fierli