“Demagogia digitale”. Le tecnologie digitali possono essere la causa dell’ignoranza attuale?
Marx insegnò che la cultura è la manifestazione di una caratteristica sovrastrutturale della società mentre l’infrastruttura economica determina i percorsi e i destini sociali dell’uomo.
L’evoluzione sociale ci ha insegnato che la cultura può essere molto di più!
Essa può forgiare il cittadino di oggi e di domani, a tutte le età, e fornirlo degli strumenti necessari e sufficienti per “capire” ciò che lo circonda.
Da qui, ovviamente, l’importanza dell’educazione (oggi un po’ ribadita da molti: da Morin a Gardner). Anche la politica ha provato a fare della cultura uno strumento di scelta.
Ricordo che Amartya Sen, qualche anno fa, riteneva sproporzionata la disparità delle scelte politiche tra l’UE e gli USA, in quanto, secondo lui, mentre i primi le avevano concentrate sulla soluzione dei problemi connessi all’equità sociale, le seconde si erano intensamente occupate dei problemi dell’occupazione.
Queste valutazioni A. Sen le faceva agli inizi del nuovo secolo e millennio. Oggi, a crisi avanzata, con le sacche di povertà cresciute al 20% e la disoccupazione dei giovani tra i 16-24 anni al 40%, con i dati OCSE che documentano le acute differenze territoriali tra regioni nelle quali a una buona istruzione corrisponde una sostenuta occupazione e quelle nelle quali la diffusione di un livello di istruzione ai livelli di guardia corrisponde a una elevata disoccupazione (dalla Spagna, al Portogallo al nostro Sud), dobbiamo constatare che le strategie politiche delle due Unioni non hanno sortito alcun effetto rispetto agli obiettivi prefissati.
Nel mondo “out of Bricks” non si è avuta l’ambita equità e purtroppo neanche il lavoro per tutti. Come dire che la crisi ha spianato tutte le ambizioni dando torto a tutti. L’unico vincitore resta sempre e solo sempre il mercato.
Zygmunt Bauman (in “Conversazioni sull’educazione”, p. 38) sostiene che la modernità liquida è dettata dalle leggi del mercato e che la sua liquidità – con poche certezze e tra queste la certezza dell’incertezza – è frutto dei bisogni indotti dal mercato. Rigettare il mercato si può con altre logiche di mercato (essenzialmente come sta facendo l’Occidente con i paesi del Bricks – “io apro un’azienda da te quando tu ne apri una da me” – anche se in questo momento i paesi del Bricks stanno vincendo 2-1), pertanto il mercato riproduce se stesso all’infinito, ottenendo esattamente quello di cui ha bisogno la modernità liquidità: disordine e turbolenza.
Un chiarissimo esempio di come funziona l’ha dato la società coreana Samsung fagocitando i consumatori della Apple, dopo che la Apple ha commissionato da tempo la produzione di componenti alla Cina.
Altro fatto incontestabile è quello che vede il mercato polarizzarsi intorno alle tecnologie digitali. Tutti vogliono uno smartphone. Tutti vogliono una smart TV. Tutti comunicano e s’informano utilizzando esclusivamente i “mezzi digitali”.
Nuove specie appaiono nell’evoluzione dell’uomo come quella dei “nativi digitali”, dotati da chi ormai lo chiama il “pollice digitale” (facendo riferimento al celebre saggio di Stephen J. Gould, “Il pollice del panda”).
Il mercato delle tecnologie digitali fagocita i consumatori di tutte le età (senza distinzioni di sesso, etnia, religione o condizione sociale).
Altrettanto chiaro e distinto è il fatto che nessuno sente più il “bisogno” di una lettura.
Nessuno ha bisogno di leggere. Roberto Ippolito (in “Ignoranti”) ci racconta con quanta aggressività l’ignorante si fa strada nella politica, come dappertutto.
Il 6% della nostra popolazione è dato dai “lettori forti”, cioè quei lettori che ingurgitano libri di alto valore culturale. Il resto si accontenta delle ricette di cucina, o di qualche romanzetto, e si fa forte di essere – diceva un eccellente rappresentante di questa specie – un ignorante con la ‘GN’ maiuscola.
Queste considerazioni “lineari” porterebbero a pensare che sia dimostrata la seguente uguaglianza: digitale (internet, web, smartphone, TV, ecc.) uguale ignoranza (e viceversa).
Ebbene, non è affatto così!
Come spesso accade, l’apparenza inganna. E lo dimostrano proprio i dati OCSE appena pubblicati.
Per l’Italia, noi arricchiremo e confronteremo i dati OCSE con quelli riportati dal Congresso dell’AICA, con quelli raccolti dall’ultimo rapporto INVALSI e con quelli di Confindustria digitale.
OCSE
Secondo i dati OCSE:
• 50% contro il 60% – media UE accessibilità delle case a internet (ma solo il 14% è sulla banda larga);
• 19% contro il 40% – media UE crescita e-government (accesso del cittadino ai servizi pubblici online);
• 18% contro l’11,9% – media UE adulti che non hanno superato il test core dell’ICT, e di questi il 52,1% non ha il diploma di scuola superiore;
• 6,2% contro il 6,0% – media UE degli adulti che non si sono voluti far valutare sulle competenze al computer;
• 21,9% contro il 20,9% degli adulti che hanno accettato la valutazione;
• 1,5% contro l’1,4% – media UE degli adulti che non hanno mai usato internet; l’88% di costoro possiede un titolo inferiore al diploma di scuola superiore e sono quasi tutti nativi (cioè italiani).
Congresso AICA–MIUR e ISTAT
Con il “Piano nazionale per la scuola digitale”:
– 100 milioni di euro sono stati investiti nell’acquisto di 34.800 LIM;
– 83.000 docenti sono stati formati (circa il 13% di tutto il personale docente).
Inoltre il Piano con “Azione cl@sse 2.0” ha:
– finanziato 416 classi (su tutto il territorio nazionale);
– coinvolto 1.350 docenti e 13.500 studenti;
– impegnato finanziariamente 3.750.000 euro.
Faccio presente che 416 classi sono circa lo “0,16% di tutte le classi sul territorio nazionale”.
In conclusione, quest’operazione è stata fatta su un campione piccolissimo delle scuole italiane che non si trasformerà mai – da sola – in una trasformazione di sistema!
Gli ultracinquantenni nella Scuola di secondo grado sono oltre il 50% (dati OECD, 2013 – INVALSI), la diffusione di pratiche innovative nella didattica è ostacolata non solo dalla mancanza di formazione e di aggiornamento degli insegnanti, ma anche dalle loro abitudini nelle relazioni con la tecnologia. Infatti, i dati ISTAT mostrano che dopo i 54 anni la percentuale di individui che utilizza il pc e internet è inferiore al 50%, mentre quella dei giovani – tra gli 11 e i 34 anni – è rispettivamente del 78% e del 76%.
Eurispes sostiene che solo il 17% del campione degli studenti afferma che in classe la LIM è utilizzata quotidianamente.
INVALSI – IALS
I livelli di competenza della popolazione italiana nella literacy/numeracy sono:
• 46,1% livello 1 (il più basso per livelli da 1 a 5);
• 35,1% livello 2;
• 18,8% livello 3 (e superiori, al 4/5 non ci arriva quasi nessuno). Il 70% della popolazione italiana si trova nel livello 1 per il problem solving (competenza più vicina alle tecnologie digitali).
CONFINDUSTRIA DIGITALE – Forum annuale
• 53% (Italia) contro 70% (UE) usa regolarmente internet sul lavoro;
• 38% contro 22% non ha mai usato internet;
• 17% contro 45% fa acquisti online;
• 4% contro 20% fa vendite o impresa online;
• 8% contro 22% sono le comunicazioni PA verso PA;
• 5% contro 37% – media UE pagamenti cittadino-Banca-Ente locale o Stato (imposte).
Pertanto, due risultati sono chiari e distinti:
1. in Italia la percentuale degli utenti “connessi” resta bassissima rispetto agli altri paesi OCSE, a causa dei palesi ritardi dell’Agenda digitale.
2. le competenze e l’istruzione della popolazione sono quindi “indipendenti” dalle capacità e dalle abilità nel campo digitale.
Questo dimostra che sarebbe, quindi, paradossale pensare che l’analfabetismo “attuale” (dati OCSE) polimorfo e diffuso sia dovuto all’uso delle tecnologie digitali.
Inoltre, il ricorso alla “demagogia digitale” – quella secondo la quale la rivoluzione informatica è la causa dell’analfabetismo incipiente e di ritorno – pare un banale palliativo per depistare nel semplicismo le complesse ragioni che sono alla radice dell’analfabetismo.
Non si nasce ignoranti!
E ciononostante la cultura “appare” non necessaria, un bene perfettamente sostituibile.
L’ignoranza si trasforma continuamente e, oggi, assume quello che altrove ho chiamato il “volto dell’analfabeta”.
Il digitale è semplicemente uno strumento, né buono, né cattivo. Non ha nulla a che fare – almeno direttamente – con l’analfabetismo funzionale (l’incapacità sulla literacy e la numeracy).
Non sostituisce una buona lettura, così come quest’ultima non sostituisce le innumerevoli possibilità digitali.
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Immagine in testata di pixabay (licenza free to share)
Arturo Marcello Allega