Dal convegno Digital Learning
Il convegno “Digital Learning: scuola, apprendimento e tecnologie didattiche” ha affrontato un tema molto ambizioso, quello della tematica della transizione al digitale nei contesti scolastici e formativi. A questo scopo, l’incontro è stato suddiviso in due parti: da un lato, una internazionale con l’intervento di relatori che hanno fatto il punto sullo stato dell’arte delle ultime tendenze nel campo della formazione che si avvale delle nuove tecnologie dell’informazione e dall’altro, una di formazione impostata su una serie di workshop per mettere a disposizione degli insegnanti strumenti di formazione, modelli didattici operativi e forme di utilizzo delle ICT nella scuola.
Nel corso del convegno sono stati presentati i dati di due ricerche condotte negli scorsi due anni dai gruppi di ricerca dell’Università Milano-Bicocca che fanno riferimento al Centro di Alta Formazione QUA_SI/Universiscuola. La prima è la rilevazione 2010 della ricerca sulla dieta mediale dei giovani studenti universitari che ha indagato i comportamenti degli studenti universitari con le TIC e la seconda ha studiato il fenomeno del cyberbullismo in Italia. Si tratta della prima ricerca di questo tipo svolta in Italia.
Non presenterò la bellissima relazione di Antonio Calvani su “La competenza digitale nella scuola, come valutarla, come svilupparla”, nella quale Calvani elabora il concetto di saggezza digitale al posto di competenza digitale, proponendo un cambiamento semantico salutare.
Una parte delle relazioni si può scaricare al seguente indirizzo: http://www.numediabios.eu/digital-learning/
LE RELAZIONI INTERNAZIONALI
Ci sono state quattro relazioni internazionali:
• “L’intelligenza digitale”, da parte di Antonio Battro, Chief Education Officer del programma “One Laptop per Child”
• “Il digital learning in Europa”, da parte di Francesc Pedró, ex- responsabile del “New Millennium Learners Project” al CERI-OCSE a Parigi e ora alto funzionario alla sede centrale dell’UNESCO a Parigi
• “La didattica estesa digitalmente: i pionieri del Maine”, da parte di Bette Manchester, Direttrice dal 2000 al 2007 del programma MICDL – Maine International Center for Digital Learning
• “Le esperienze di ‘One to One’ computing nei paesi in via di sviluppo”, da parte di David Cavallo, responsabile della ricerca al Future Learning Group MIT, Boston e ora professore al dipartimento di scienze dell’educazione all’Università del Maryland a Baltimora
Battro è un neuroscienziato che lavora al Neurolab Marin a Buenos Aires. La sua relazione ha spiegato la struttura digitale del conoscere (“l’intelligenza digitale”) ed è partita da un’affascinante analisi del passaggio del dialogo il Menone di Platone nel quale Socrate fa calcolare la misura del lato del quadrato che abbia una superficie doppia di quella di un quadrato disegnato a uno schiavo di Menone, del tutto ignorante di geometria. Questo esperimento maieutico è un brillante esempio di come un insegnante interagisce con un allievo e di come un allievo apprende passo passo, e acquisisce la conoscenza con la guida dell’esperto. Bratto ha formalizzato il dialogo e mostrato come un atteggiamento attivo, costruttivo del discente può essere schematizzato per un’applicazione informatica. Il modello socratico è ora ripreso nelle macchine per insegnare che quindi diventano strumenti per facilitare l’apprendimento attivo. La neuroscienza odierna analizza il comportamento del cervello nell’atto di apprendimento ed è intimamente connessa allo sviluppo delle nuove tecnologie. Si può pertanto affermare che la neuroscienza è l’interfaccia che collega il progetto educativo (acquisire o imparare la virtù) con la pratica (si può insegnare o meno, come?). Per concludere, Bratto ricorda che nel mondo digitale il “teaching power” cambia: non è più monopolizzato dagli adulti.
Francesc Pedró, che ha diretto per anni un riuscitissimo progetto presso il CERI-OCSE a Parigi, su come le trasformazioni delle TIC modellano e modificano il profilo dei discenti nel nostro millennio, ha esposto in una relazione sul “Digital learning in Europa” la sintesi di questi lavori. Anche per Pedró la novità offerta dalle TIC non risiede tanto nell’evoluzione delle apparecchiature o delle applicazioni quanto piuttosto nella trasformazione radicale delle modalità di comunicazione, nella trama di relazioni sociali resa possibile dalle tecnologie. Le ripercussioni sui modo d’apprendere sono potenzialmente sovversive. Pedró si rifà alle tesi di Manuel Castells. La parola chiave è la connessione (“connected mind”) e non le TIC. Quali sono le ripercussioni sul mercato del lavoro? Come cambia la domanda di competenze?
Bette Manchester del Maine International Center for Digital Learning, direttrice della fondazione dal 2000 fino al 2007 dell’esperimento di informatizzazione delle scuole nel Maine, ha spiegato nella relazione “La didattica estesa digitalmente: i pionieri del Maine” la filosofia e l’organizzazione dell’esperienza più rilevante al mondo di un computer per ogni bambino finanziata e sostenuta dallo stato americano del Maine, lo Stato più orientale degli Stati Uniti, con una popolazione di circa un milione e mezzo di persone. Il Maine sin dal 2000 ha concepito, elaborato, sviluppato e attuato un modello di adozione sistemica delle nuove tecnologie dell’informazione nelle scuole che parte dal livello dello stato (l’amministrazione centrale), il livello distrettuale (in Italia si direbbe il livello del provveditorato), il livello dell’istituto e quello della classe. Questo schema rende possibile l’integrazione delle variabili economiche, delle norme culturali, degli obiettivi educativi, delle procedure di finanziamento, degli standard curricolari, degli standard riguardanti le TIC per gli insegnanti e infine dell’infrastruttura TIC. È ovvio che solo in questo modo si può riuscire a impostare una politica coerente di rinnovo della scuola e che un’operazione del genere può essere effettuata solo a livello regionale, se pensiamo all’Italia. Nel 2010, 72000 computer individuali sono stati distribuiti agli allievi del Maine. Tutti gli studenti di seconda e terza media avevano un computer individuale nonché il 55% degli studenti delle scuola secondaria superiore. Si tratta dell’esperienza di massa di distribuzione di un computer a ogni studente più rilevante di tutti i sistemi scolastici dell’emisfero Nord. Il programma attuato nello Stato del Maine è un progetto di apprendimento, di “social learning” e non un progetto tecnologico. La priorità è attribuita allo sviluppo delle modalità, delle strategie e dei risultati d’apprendimento. Da questo punto di vista il concetto chiave è l’ apprendimento sociale, il che riprende una delle fondamentali scoperte di Piaget nel secolo scorso. L’apprendimento si fa co-operando, con altri. Le TIC offrono un campo favoloso di sviluppo da questo punto di vista. Manchester inoltre ribadisce che si devono svolgere esperienze su vasta scala, su grandi numeri. Nessun progetto pilota. Non servono per capire quel che succede. La leadership scolastica è fondamentale per individuare le aspettative condivise da tutte le componenti della scuola. Problema scottante: la gelosia, l’invidia dei docenti verso i colleghi che innovano, che si danno da fare, che introducono le nuove tecnologie nelle scuole e se ne servono, che sono pionieri nel settore delle TIC. Questo è un micro-problema delicato tale però da potere fare fallire qualsiasi politica. Occorre che i dirigenti sappiano gestire queste personalità e le competenze esistenti nel loro istituto, quelle degli studenti compresi. Dall’esperienza del Maine si può dedurre che la politica scolastica in materia di TIC non è una questione tecnica ma una questione pedagogica.
David Cavallo è stato per anni l’esperto dell’adattamento dei curricoli a un’organizzazione scolastica imperniata sulla distribuzione di un computer a ogni allievo. Cavallo ha riassunto le sue esperienze nei paesi di sviluppo nella relazione: “Learning from and with developing countries: creating the learning environments of the future”. Anche per Cavallo, che è stato uno dei protagonisti principali della rinascita della scuola nel Ruanda grazie a un’adozione massiccia di computer poco sofisticati ma potentissimi che hanno permesso di effettuare un salto di qualità nelle politiche dell’istruzione di massa in paesi sottosviluppati, terribilmente massacrati dalle politiche economiche moderne e contemporanee, il problema delle TIC non risiede nelle questioni tecniche, che ci sono, che non sono da sottovalutare, ma in un affare pedagogico-politico. Non si possono inserire le nuove tecnologie in una scuola obsoleta, strutturata secondo criteri elaborati nei secoli passati.
LE RICERCHE MILANESI
“La dieta mediale dei giovani milanesi”, Paolo Ferri e Gruppo Numediabios, Università di Milano-Bicocca. L’indagine svolta su un campione di un migliaio di studenti universitari (1088 nel 2008 e 1123 nel 2009, su un totale di 21000 studenti circa) è un lavoro serio, impegnativo. L’indagine ha permesso di constatare che gli studenti digitali non fanno proprio una indigestione delle TIC e che l’uso delle TIC da parte degli studenti è grossolano e semplicistico. Per di più si gioca o ci si serve dei “social network”. C’è una differenza leggera tra ragazzi e ragazze, ma la maggioranza degli studenti non partecipa a forum di discussione, la maggioranza degli insegnanti non interagisce con gli studenti mediante le TIC, le TIC non sono uno strumento di apprendimento universitario. Dall’indagine si deduce che c’è ancora moltissima strada da percorrere anche con gli studenti digitali prima di giungere al livello di un uso quotidiano delle TIC come strumento d’apprendimento. I problemi non sono solo degli studenti che si comportano in funzione dei loro interessi, ma anche degli insegnanti che non adattano la didattica alla potenzialità strumentali delle TIC.
Ci sono però anche alcune buone notizie, come per esempio il calo d’interesse per la TV. Circa la metà del campione di studenti (il 43%) non guarda mai la TV. Questa è una tendenza universale. L’epoca della TV giunge alla fine?
L’altra ricerca presentata nel corso del convegno ha affrontato il tema del cyberbullismo connesso all’uso delle tecnologie tra i giovani: “Cyberbullismo e uso delle tecnologie tra i giovani”, a cura di Davide Diamantini e Giulia Mura. Si tratta della prima indagine di questo genere svolta in Italia. L’occasione è stata offerta da un’indagine internazionale alla quale ha partecipato il centro QUA_SI. Il campione italiano era composto di 862 studenti degli istituti superiori pubblici dell’età oscillante tra gli 11 e i 19 anni dell’area di Milano e della Provincia. Solo il 18% del campione dichiara di non avere subito nemmeno un episodio di aggressione virtuale negli ultimi sei mesi, ma quest’informazione va presa con le pinzette perché occorre avere sott’occhio la lista delle aggressioni e le loro definizioni. Le risposte dipendono ovviamente dalle domande poste. Anche in questo caso si è di fronte a comportamenti che non si possono facilmente classificare, come è il caso per gli atti di violenza. Esiste un problema, di sicuro, ma la quantificazione è ardua e ancor più delicata è la terapia che si propone. In ogni modo questa indagine apre una finestra su una questione che non si può sottovalutare, mostra quanto sia difficile affrontarla ma anche l’urgenza di studiarla.
Per approfondire:
• Il sito di Norberto Bottani http://www.oxydiane.net/
Norberto Bottani