E-book, verso l’intelligenza digitale
In Italia si è scatenata la caccia agli e-book.
Non solo! Si è scatenata la selvaggia produzione di e-book. Nel caso più soft, gli e-book si presentano come appunti del professore. E poi, c’è chi l’e-book lo produce come mini-book semplificato al prezzo di qualche euro; naturalmente, lo fa stampare a costo molto ridotto per ri-materializzare ciò che doveva essere dematerializzato. A parte il gioco di qualche spericolato, vedremo cosa significa e-book e la complessa catena che rappresenta.
Cominciamo con il dire che “e-book” significa “libro elettronico”. Ok, quindi “non cartaceo”. Quindi, significa pure che se si ricorre di nuovo al cartaceo (stampandolo) viene a mancare il senso innovativo del nuovo strumento. Finora, comunque, anche le case editrici non hanno saputo far di meglio, probabilmente perché, punite dalla velocità con la quale le circolari ministeriali hanno imposto l’adozione di libri “misti” (in parte cartaceo, in parte elettronico), nemmeno loro avuto il tempo per metabolizzare e hanno prodotto semplicemente i libri cartacei in pdf. Per chi non è avvezzo all’uso di queste estensioni (si chiamano così), la versione di un libro di testo in pdf è lo stesso libro cartaceo in formato elettronico “non modificabile”, statico e disponibile per essere sfogliato su un iPad o con lo scorrimento della pagina su un PC, una LIM o una TV. Lo si legge su uno schermo anziché sfogliando le pagine. Inoltre, la lettura si fa offline, cioè non in Rete. Acquistando il cartaceo, inserendo il codice fornito in un apposito campo del sito della casa editrice, si scarica il file (il libro) in pdf (sulla scrivania del PC o nella memoria del tablet in formato di lettura) e, quindi, lo si apre quando si vuole. Nel caso più avanzato, insieme al pdf si trovano anche “video”, “presentazioni”, “presentazioni con delle animazioni”, insomma, un arricchimento multimediale.
Sì, multimediale, ma sempre analogico. Si è ancora distanti anni luce dal digitale. Si è distanti anni luce dalla “cultura digitale” dei “nativi digitali”.
Un e-book è un’altra cosa. All’origine e a fondamento dell’e-book c’è l’ipertesto. Quello che abbiamo descritto finora è un testo statico.
Premesso che l’integrazione multimediale può rappresentare una felice estensione del testo scritto alla dimensione audio-video, con interessanti esplosioni culturali sulla didattica e l’apprendimento non sequenziale, essa non va confusa neanche con l’ipermedia. La banalizzazione di questo aspetto si traduce spesso nella realizzazione di CD/DVD allegati ai libri di testo o agli stessi e-book come file da scaricare da selezionate e dimostrative (demo) “banche dati” editoriali. Anche qui, il mercato condiziona e limita l’innovazione epistemologica (come vedremo).
Un testo statico (cartaceo o elettronico) ha un contenuto estremamente rigido e impone una sequenza metodologica unilaterale. Da sempre l’istruzione è “vincolata” ai libri di testo. Da sempre ascoltiamo versioni diverse, alternativamente positive e negative, sul mercato del libro, i monopoli, gli editori, gli autori dei testi, il costo familiare, il peso degli zaini… e quant’altro. Dematerializzare significa ridurre gravami finanziari e fisici. Eppure, il vero significato della dematerializzazione è un altro: con essa cambia la didattica, cambiano gli apprendimenti. Come sempre accade, sciaguratamente la prima necessità veicola la seconda. Ma per chi ha a cuore le sorti dell’istruzione, l’impostazione deve essere assolutamente capovolta.
Intanto, consideriamo le criticità del vecchio libro di testo. Esse erano e sono le seguenti:
1) Il libro di testo codifica sequenzialmente i vecchi programmi ministeriali (ora superati dalle “indicazioni nazionali nei regolamenti della riforma”, ma non sostituiti);
2) Sulla disciplina il libro di testo ha un mercato ristretto, nel tempo, monopolizzato da alcuni autori;
3) Generazioni di docenti e studenti “crescono con un imprinting formativo” che è quello di “questo o quel” libro di testo;
4) La sequenza degli eventi e delle leggi è statica nel libro di testo nel senso che non consente “pensieri divergenti”. L’apprendimento, per non essere dispersivo, è costretto a seguire il filo conduttore del libro (e così le esercitazioni, le prove di valutazione). Se volessimo stravolgere la mappa concettuale dei suoi contenuti e la scelta della metodologia implicitamente indicata (prima questo e poi quello, in questo modo e poi quello…), sarebbe un “costo intellettuale” per docenti e studenti molto elevato, pertanto, si segue la via più semplice;
5) Il disperato tentativo di riscrivere (ri-assemblare) i libri di testo in termini di didattica modulare sperando in “percorsi didattici” a blocchi, a moduli sequenziali (lineare o in parallelo) sulla scelta di una mappa concettuale diversa e di volta in volta articolata con cronogrammi altamente centrati su operazioni interdisciplinari e, più sofisticatamente, di integrazione dei saperi, non ha ottenuto grandi risultati in termini di innovazione e di apprendimento (a parte casi di eccellenza sporadici);
6) Un elemento mai considerato abbastanza è l’elemento fisico-sanitario vero e proprio. Un libro di testo (cartaceo, ma anche elettronico) impone “tempi” e “spazi” patologicamente rilevanti: tempi molto lunghi e spazi molto limitati. È fisicamente stancante la lettura di un testo statico che non si muove ed è realizzato su uno sfondo sempre dello stesso colore (e sempre identico a se stesso), inducendo apprendimenti lenti (quante volte abbiamo letto e riletto lo stesso brano!); inoltre, i tempi lunghi inducono la stanchezza del bulbo deformando il muscolo che, per focalizzare la lettura, costringe l’occhio a distanza ravvicinata, troppo ravvicinata (quanti di noi, leggendo si sono trovati al buio con gli occhi quasi incollati sul testo!).
Insomma, il libro di testo è uno strumento molto limitato e poco sicuro, pur essendo stato per molto tempo “il” mezzo disponibile per lo studio e la ricerca.
L’ipertesto è ovviamente tutt’altra cosa. Dicevamo che, invece, la natura di un e-book è quella di un ipertesto. L’ipertesto non è un testo elettronico statico.
Non è statico, non è in sequenza, è illimitato, può essere letto su più dispositivi con schermo piccolo, medio e grande, è in evoluzione, ed è soprattutto interattivo. Nel dettaglio:
1) L’ipertesto ha una “struttura reticolare”, come è noto. La struttura è pesata dalle cosiddette “parole chiave”. Si può partire da qualunque punto del testo per costruire un percorso significativo;
2) L’ipertesto non è quello che si vede quando si apre un testo su internet, cioè un testo bidimensionale. Occorre l’immaginazione per vederlo almeno in 3D, come nella figura sottostante: da una parola chiave – es. amore – parte la ricerca ipertestuale passando su un’altra pagina Web, con un click, dove il cerchietto con il colore del bordo di piano rappresenta la seconda parola chiave, e così tante volte fino a chiudere la ricerca).
L’ipertesto è un’esplosione di percorsi. L’ipertesto è R&S (Ricerca e Sviluppo): consente di sviluppare nuovi percorsi sulla ricerca di nuove e vecchie soluzioni, nuove e antiche interpretazioni, nuovi e vecchi contesti, persino scoprire e completare concetti, mappe, strumenti e molto altro non ancora prodotto. Se pensiamo a Wikipedia e alla sua banca dati “open” possiamo intuire la ricchezza creativa e illimitata di questo spazio multidimensionale;
3) La sua rivoluzione “intrinseca” è proprio questa: è una struttura implicitamente costituita da percorsi. Se togliessimo la struttura ipertestuale delle pagine Web, una volta costituiti i percorsi “non lineari” resterebbe un insieme di spaghetti-percorsi che si intrecciano e si annodano (vedi figura qui sotto);
4) L’ipertesto ormai è un ipermedia. I percorsi in esso costruiti e costruibili sono “integrati” da quanto di più sofisticato le nuove tecnologie hanno messo e mettono continuamente a disposizione. L’approccio “non alfabetico” è in esso “naturalmente” superato;
5) L’ipertesto è vivo e dinamico perché essenzialmente e sostanzialmente INTERATTIVO;
6) L’ipertesto è, a seconda dei casi, open, semi-aperto, raramente chiuso. Non nasce chiuso. Lo diventa solamente se il “migrante digitale” lo soffoca inutilmente; un ipertesto prodotto per un fine può essere calato in una diversa realtà e modificato o sviluppato da altri protagonisti per altri obiettivi;
7) L’ipertesto supera ogni problema fisico sanitario del “vecchio testo” perché è leggibile e scrivibile su ogni tipo di schermo. Per dare un’idea basti pensare al sistema Apple dell’iTV con la funzionalità “mirror” dell’iPad.
La descrizione comparata del libro di testo e dell’ipertesto è una chiara rappresentazione del superamento del sistema analogico ottenuta da quello digitale.
Come è noto, un sistema analogico è un sistema rigorosamente determinato dalla possibilità logica dell’analogia, cioè dall’esistenza di un insieme di trasformazioni continue che trasformano un sistema in un altro ad esso equivalente (molto simile, con piccolissime differenze, appunto analogo). Da un punto di vista strettamente logico-matematico un sistema simile o c’è o non c’è (poi, qualora ci fosse, allora ne potrebbero esistere infiniti… ma tutti “quasi identici” al primo). Questa dicotomia (solo con due soluzioni possibili) è una diretta conseguenza della logica aristotelica. È esattamente quel che accade per il libro di testo, per la didattica e gli apprendimenti che esso “induce”. Il vecchio libro di testo offre una didattica e un “format” di apprendimento fissi, “one way”, “prendere o lasciare”! L’epistemologia che esso comporta è unilaterale. Fuori da questo sistema esiste solamente l’analfabetismo. Il sistema digitale invece rompe la logica aristotelica rappresentando una logica a più valori discreti (n>2 valori) e, dal punto di vista strettamente numerico, è rappresentato da una moltitudine di sistemi di calcolo discreti (binario, ternario etc.). Questa fattispecie è rappresentata esattamente dalla natura dei percorsi digitali di un qualunque ipertesto. La “forma mentis” digitale è predisposta e, nella sua natura, costituita da molti più gradi di libertà. Esattamente così si presenta la nuova forma di intelligenza di un nativo digitale.
Arturo Marcello Allega