Una nuova scuola sta nascendo? 

Ogni giorno Google Alert ci informa di un nuovo articolo in cui si cita Alberto Manzi. C’è chi sostiene che finalmente la scuola dovrà fare un passo obbligato verso il digitale e questo la trasformerà in modi non ancora chiari e ben visibili. C’è chi chiede di prestare attenzione al non risolto divario digitale che rischia di escludere i soggetti più fragili o coloro in condizioni più difficili. 

La situazione attuale (scuole chiuse e didattica da ripensare) ci impone di porci una serie di domande:

  • Quale scuola facciamo tutti i giorni nelle nostre aule? Se le aule sono inagibili come cambia il nostro essere insegnanti?
  • Cosa c’è intorno alla scuola e quale ruolo ha?
  • I bambini e le bambine, la loro quotidianità e crescita, che risposte necessitano in questo contesto? 

È ancora diffusa e radicata, nell’opinione pubblica, l’idea che la didattica sia prevalentemente mera trasmissione, spostamento di un contenuto da un emittente (l’insegnante) a un ricevente (l’alunno). Cosa accade quando vengono meno le condizioni necessarie per questa trasmissione, per esempio, se l’insegnante ha il mal di gola e non ha voce per ’spiegare’”? Alberto Manzi, che è stato anche un grande divulgatore scientifico, avrebbe potuto permettersi spiegazioni entusiasmanti, eppure, non spiegava mai nulla. I bambini di Manzi, racconta con simpatia Maria Arcà, una delle sue più assidue collaboratrici, confidavano a quelli della classe vicina che «al loro maestro si doveva spiegargli tutte le cose perché non aveva mai risposte».

Allora, il tentativo di trasferire la ’didattica della spiegazione‘ dal frontale al digitale diventa mal posto se si prende Manzi come riferimento. Alberto Manzi riteneva che l’insegnante dovesse saper creare una tensione cognitiva: un desiderio tale di apprendere, un impulso così forte di scoprire da far sentire al bambino l’imparare come un’urgenza personale.

Occorre allora che l’insegnante sappia aiutare i suoi alunni nel costruire motivazioni all’apprendere che siano continuamente create e alimentate. Occorre, oltre alla professionalità, la passione di insegnare: un bambino segue i suoi maestri anche in capo al mondo se loro per primi sono convinti di quel viaggio. La tensione cognitiva è anche nutrita dall’autonomia del bambino e dalla sua personale responsabilità: un bambino che può fare e disfare, cambiare e proporre, organizzare e intervenire. Tutte queste azioni, tuttavia, hanno bisogno di un corpo attivo, non di qualcuno forzatamente seduto sulla sedia davanti a un computer.

Come facciamo allora a nutrire la curiosità dei bambini quando sono lontani da noi? Come possiamo mantenere la motivazione all’apprendere anche a distanza? Saranno molti i fattori in gioco, non ultimo il bisogno dei bambini di relazionarsi con l’insegnante: la relazione richiede all’adulto un impegno costante sul fronte dell’empatia, una capacità di accogliere le emozioni dei bambini,  e di riconoscere gli ostacoli e le diverse opportunità che sono loro offerti. 

Proprio Manzi ci insegnava che «le tecnologie fanno il loro mestiere», come fu la tv con Non è mai troppo tardi. Lo strumento ha una sua grammatica che non si improvvisa, ma che ci permette di scrivere testi e mondi nuovi. Se, tuttavia, chiediamo ai bambini di trascorrere ore su YouTube o in una piattaforma digitale ci scontreremo inevitabilmente con il problema del divario digitale. Ci saranno bambini con scarsa o nessuna possibilità di accedere a Internet o di utilizzare dati nella quantità necessaria, o bambini che non si troveranno nelle condizioni ideali per farlo. Ci sono anche insegnanti che non si trovano a loro agio su una piattaforma che mal si presta a creare quelle esperienze di scoperta e approfondimento collettivo che si vivevano in classe. Allo stesso tempo tanti contenuti multimediali (pensiamo alle favole lette a voce alta) hanno permesso ai bambini di sentire una vicinanza emotiva delle loro maestre che è stata fondamentale nella fragile ridefinizione delle nuove giornate imposte dalla quarantena.

Se la scuola è il luogo dove si costruiscono esperienze, quali di queste  possiamo ancora vivere quando la scuola è impraticabile e siamo chiusi in casa? Franco Lorenzoni suggerisce, per esempio, di studiare come si comporta la luce: sicuramente in casa abbiamo almeno una finestra e facilmente possiamo fare un buco in un cartoncino che ci permetta di giocare con i raggi di luce e osservarli. Anche la casa può diventare un formidabile luogo di apprendimento: è molto probabile che ci sia almeno un uovo in frigorifero con cui esercitare la voglia di farsi domande su quella cosa che si chiama ’uovo‘, oppure nuvole da osservare dalla finestra per guardare il cielo in modo insolito. Possiamo trovare materiale di scarto per inventare mostre e musei (lo ha proposto Simona Capelli, maestra di Rimini). Possiamo trovare qualcosa da seminare per ammirare la vita che cresce, come hanno proposto alcune maestre umbre. 

Queste e altre esperienze di apprendimento ci dicono che la scuola non ha il bisogno irrinunciabile della tecnologia, che può tuttavia essere utile per condividere domande, immagini, osservazioni, ma che può anche lasciare il posto ad altre opportunità (anche a schermi spenti). È questa la scuola che si fida dei bambini. Li stimola a mettersi in gioco continuando a farsi domande. È questa la scuola che più si avvicina ad Alberto Manzi e ai suoi insegnamenti.

Ciò che abbiamo è la preziosa piccola comunità che è la famiglia, a volte fragile, a volte impreparata, ma sempre fondamentale. Penso che Alberto Manzi si sarebbe fatto tante domande su quale sostegno da offrire ai genitori. Alcuni genitori si troveranno forse in difficoltà nello studio della grammatica o della biologia, ma potranno aiutare i bambini a porsi domande, potranno ascoltarli, potranno guardarli mentre si gestiscono con la loro scuola, mentre si chiedono cosa starà facendo la maestra. L’insegnante ha un ruolo fondamentale nel filtrare quello che reputa utile e valido, nel proporre nuove scoperte e attività anche partendo da risorse online ben realizzate da altri. Aiutiamo i genitori segnalando ogni possibile opportunità,  così che le giornate siano ricche ma guidate, attraverso le proposte del docente.

E bussiamo senza timidezza alla porta di tutte le tecnologie: la radio che continua a trasmettere, la tv che sta accesa in tutte le case. Chiediamo alle tecnologie  di dare il massimo e di lavorare per noi e con noi. Perché al cuore di tutto restano i bambini e le bambine e il sogno di una scuola che non è luogo di trasferimento di documenti e spiegazioni, ma spazio generativo per coltivare le loro infanzie e il gusto del mondo. Spazio per giocare con la realtà e provare a capirla e ammaestrarla un po’ anche quando è incomprensibile. Mai, come adesso, abbiamo avuto bisogno di maestri e maestre illuminati. E li abbiamo.

Alessandra Falconi *Centro Alberto Manzi