Reato di tortura e i valori fondanti della convivenza

La storia che ha riguardato la criminalizzazione della tortura nell’ordinamento italiano ha a che fare con il concetto di educazione inteso nella sua accezione più ampia. Educazione ai valori fondanti la nostra convivenza, educazione alla comprensione dei meccanismi che regolano la democrazia e lo stato di diritto. Il governo ha fatto sapere che metterà mano alla legge che, solo nel luglio 2017, ha introdotto il reato di tortura nel codice penale. Non per abrogarla, ci tiene a specificare. Ma comunque, aggiungiamo noi, per apportare modifiche tali da compromettere processi penali e mandare un tragico segnale culturale.

Facciamo un passo indietro e ripercorriamo quel cammino accidentato che la nozione di tortura ha avuto in Italia negli ultimi decenni. Era il lontano 1989 quando ratificammo la Convenzione contro la tortura adottata dalle Nazioni Unite cinque anni prima, impegnandoci così, secondo un’interpretazione consolidata, a prevedere una specifica fattispecie di reato. Non era d’altra parte necessario aspettare le indicazioni internazionali: è la stessa Costituzione italiana ad affermare all’art. 13 che “è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”. L’idea di punizione compare un’unica volta nell’intera Carta ed è proprio in questo contesto.

Ma per quasi trent’anni le cose sono andate diversamente. Ogni tentativo di approvare una legge che criminalizzasse la tortura è stato incanalato su un binario morto. Nei vari consessi internazionali che chiedevano conto degli impegni disattesi, le nostre autorità rispondevano con due argomenti: la tortura è qualcosa che riguarda solo il terzo mondo e, in ogni caso, il codice penale italiano è talmente ricco di fattispecie che, incrociandole variamente, si riescono a coprire tutti gli eventi e a scongiurare ogni impunità.

La storia ha drammaticamente ridicolizzato entrambe le tesi. La prima è divenuta inaccettabile almeno a partire dalla scoperta, nel 2004, di quanto accadeva nella prigione di Abu Ghraib per mano degli Usa. A smontare la seconda è dovuta intervenire la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che a partire dal 2015 ha condannato l’Italia più volte in relazione ai fatti del G8 di Genova in quanto le leggi italiane non prevedevano il reato di tortura.

Un’esperienza diretta l’ha avuta Antigone nel 2012 quando, alla fine di un processo che vedeva in aula i nostri avvocati per le brutali violenze subite anni prima da due detenuti nel carcere di Asti, il giudice scrisse nella sentenza di essersi trovato di fronte dei torturatori e di aver ricostruito che gli eventi accaduti rispondevano perfettamente alla definizione di tortura delle Nazioni Unite. Tuttavia, si vedeva costretto dall’assenza di strumenti giuridici adeguati ad accettare una sostanziale impunità. I tempi di prescrizione e le modalità di avvio dell’azione giudiziaria per fattispecie più lievi della tortura non permettevano un’adeguata perseguibilità. Anche in questo caso, su ricorso presentato da Antigone con Amnesty International, la Corte di Strasburgo intervenne pesantemente contro l’Italia.

Fu a seguito di tutto ciò che finalmente il reato di tortura entrò nell’ordinamento penale italiano. Il testo non era dei migliori, ma finalmente in questi anni la tortura ha potuto esistere non solo nei luoghi di detenzione ma anche nelle aule dei tribunali.

Ora questa lunga e tortuosa storia rischia di venire ripercorsa all’indietro con un unico balzo. Pende in Parlamento una proposta di legge volta ad abrogare il reato e a farne una mera circostanza aggravante. Ma soprattutto è emersa la volontà del governo di intervenire direttamente sul testo. Ciò accade mentre si sta tenendo il più grande processo per tortura che l’Europa abbia mai visto, quello per le violenze di massa avvenute durante il lockdown del 2020 nel carcere campano di Santa Maria Capua Vetere, con oltre cento imputati. Un processo che con grande probabilità andrà a crollare con la riqualificazione del reato.

Le videocamere interne mostrarono al mondo le immagini di quanto accadde quel giorno. Immagini che ci riguardano direttamente. La tortura, quale crimine del pubblico ufficiale, non è un delitto privato. In nome della democrazia, dobbiamo oggi dire con forza che quella legge non va toccata.

Susanna Marietti coordinatrice nazionale dell’associazione Antigone. Autrice di saggi di filosofia contemporanea e sulla giustizia penale.  Dal 2010 cura e conduce la trasmissione radiofonica settimanale sul carcere Jailhouse Rock.