L’esperienza del PLS: guardando oltre

Lo scorso 11 e 12 maggio 2015 si è svolto a Roma il Convegno dal titolo “L’esperienza del PLS: guardando oltre”. L’acronimo PLS sta per Piano nazionale Lauree Scientifiche e identifica un progetto del MIUR attivo ormai da più di dieci anni. Tra le motivazioni iniziali di quello che allora era il Progetto Lauree Scientifiche c’era quella di incrementare le immatricolazioni ai corsi di laurea in Chimica, Fisica e Matematica. Il Progetto venne infatti concepito nel 2003 dalla Conferenza Nazionale dei Presidi di Scienze a due anni dall’adeguamento del nostro ordinamento al Processo di Bologna.

Il Progetto Lauree Scientifiche ha svolto le sue attività sostenendo la laboratorialità nell’insegnamento delle materie scientifiche, promuovendo l’attivazione di laboratori PLS da utilizzare sia come strumento di orientamento formativo nei confronti degli studenti, sia come mezzo di crescita professionale degli insegnanti in servizio presso le scuole secondarie di II grado, mediante il loro coinvolgimento nella progettazione dei laboratori PLS in collaborazione assolutamente paritaria con i docenti universitari. Ha anche promosso attività di test e autovalutazione della preparazione degli studenti durante il quinto anno e in ingresso ai corsi di laurea.
Le iniziative del PLS sono ben rappresentate nel volume “L’insegnamento della matematica e delle scienze nella società della conoscenza. Il Piano Lauree Scientifiche (PLS) dopo 10 anni di attività”, pubblicato dalla Mondadori Università (Dicembre 2014).

Il PLS è stato recentemente ri-finanziato per il triennio 2014-2016. Due sono le novità di rilievo presenti nel DM 976 del 29 dicembre 2014:
i) il PLS si estende anche ad altre discipline (Scienze Statistiche, Scienze Geologiche, Biotecnologie, Scienze Biologiche), coprendo tutto lo spettro delle discipline scientifiche insegnate nel triennio delle scuole secondarie di II grado;
ii) accanto alle attività storiche del PLS si aggiunge la richiesta di pianificare e introdurre metodologie didattiche innovative per ridurre gli abbandoni tra il primo e il secondo anno dei corsi universitari.

Il convegno, che ha coinvolto esperti internazionali di ricerca didattica e insegnamento disciplinare in fisica, ha avviato una discussione su questi temi e una riflessione generale sulla didattica universitaria, rimasta per lo più immutata malgrado le linee di indirizzo tracciate dai regolamenti sull’autonomia delle università (DM 509/99 e DM 270/04).

La percentuale media degli abbandoni, per tutti i corsi di laurea a livello nazionale, tra il primo e il secondo anno è del 30% (valore fornito dall’Ufficio Statistico del MIUR). Per i corsi di laurea coperti dal PLS si va da una mortalità del 30% per Matematica e Fisica, ad una mortalità più vicina al 50% per quanto riguarda le Biotecnologie e le Scienze Biologiche. Per mortalità s’intende la differenza tra gli immatricolati al primo anno e gli iscritti al secondo per un dato corso di laurea.

Gli Atenei hanno messo in atto politiche per la riduzione degli abbandoni che si riconducono essenzialmente a due tipologie:
i) il tutoring (individuale, collettivo, da parte di un docente, da parte di un dottorando, ecc.);
ii) corsi di recupero iniziale per quanto riguarda le conoscenze di base della matematica.

Nel corso del convegno alcuni relatori internazionali, come Paula Heron della Washington University e Gorazd Planinsic dell’Università di Lubiana, hanno illustrato metodologie di insegnamento finalizzate al miglioramento degli apprendimenti da parte degli studenti, sottolineando l’importanza del lavorare in gruppo e per problemi.

Queste metodologie, note del mondo della scuola, sono quasi completamente assenti nel mondo universitario. Tranne sporadici casi di utilizzo di modelli di matrice anglosassone (compiti a casa, corretti dal docente universitario, per la preparazione all’esame), si ritiene prevalentemente che gli abbandoni siano un problema fisiologico del sistema universitario: maggiore il numero di abbandoni – maggiore la selezione – maggiore la reputazione dell’università (research university e non teaching university).

Il fenomeno è per lo più attribuito a un’inadeguata preparazione degli studenti in uscita dal sistema scolastico senza considerare le mutate condizioni al contorno: il numero di studenti che completano il secondo grado dell’istruzione superiore, le disomogeneità sociali, le disarmonie culturali e le varietà territoriali da affrontare.
Ciò, con la conseguenza che l’insegnamento universitario tende a rimanere uguale a se stesso, anche perché l’innovazione didattica non è valutata ai fini della carriera universitaria. Di fatto, il tema della ricerca didattica disciplinare resta un problema poco sentito nei dipartimenti scientifici.

Tuttavia qualcosa sta cambiando: la grande disponibilità di tecnologie per dell’insegnamento inizia a essere esplorata anche da noi, mentre i cosiddetti MOOC (Massive Open On-line Courses) sono oramai prodotti di punta delle migliori università anglosassoni.

Gli autori:

– Nicola Vittorio: Dipartimento di Fisica (Università degli studi di Roma Tor Vergata)

– Liù M. Catena: Centro di Ricerca e Formazione permanente per l’insegnamento delle discipline scientifiche (Università degli studi di Roma Tor Vergata)


Per approfondire
:
Il sito del Progetto Lauree Scientifiche

Nicola Vittorio e Liù M. Catena