Le donne recluse, invisibili e trascurate.

L’8 marzo 2023 l’associazione Antigone ha presentato al Senato il Primo rapporto sulle donne detenute in Italia, strumento importante di informazione  a sostegno della  presentazione di 10 proposte di azioni non più rinviabili[1]. Già la ricerca  realizzata nel 1992 da Tamar Pich sulla condizione delle donne detenute e , successivamente, i lavori del tavolo 3 degli Stati Generali  per gli Istituti di prevenzione e pena ( 2015 2016) avevano evidenziato la specificità della condizione, che già allora , riguardava donne,  molte delle quali straniere, molte tossicodipendenti, con  bassi livello di istruzione, disoccupate e/o con lavori saltuari, sofferenti  per la perdita dei legami affettivi, familiari e figli/e, e per il senso, la percezione  di non essere rispettate dal personale penitenziario ( non ci rispettano, al massimo ci trattano come bambine , così si esprimevano riferendosi  agli/ alle  agenti di polizia penitenziaria , agli/alle educatori/trici , psicologi  ecc. ). Purtroppo il Rapporto  non mostra che molto sia cambiato oggi.

E’ vero che le donne rappresentano  una  piccola percentuale  nel mondo delle carceri, il 4,2% del totale, ma questo non giustifica che le 2392 donne (dato del gennaio 2023) siano considerate ancora come popolazione residuale,  marginale in una realtà tutta maschile. Le carceri esclusivamente femminili sono  4  ( Roma –Rebibbia,  Pozzuoli, Trani, Venezia), ospitano un quarto delle detenute italiane, l’istituto di Lauro-Avellino è un ICAM ( custodia attenuata per madri)  ne accoglie 9 e ancora contiamo  5 + 3 piccoli Icam. Il problema del sovraffollamento  è  presente, malgrado la limitatezza dei numeri ( nelle carceri femminili è di 2 punti superiore a quello delle carceri maschili). Rebibbia – il più grande carcere d’Europa – ospita 334 donne, ma ha una capienza di 275 posti, tutte le altre detenute sono ospitate  nelle sezioni femminili delle carceri maschili (  114 a Bollate, 117 a Torino, 5 a Mantova, 4 a Paliano 2 a Barcellona Pozzo di Gotto ecc.).  Sovraffollamento e,  nello stesso tempo,  pochissime  presenze ostacolano  offerta e/o fruizione di attività significative, a questo si aggiunga il disagio causato dalla condizione di  strutture in- accoglienti,   quasi nel 40% delle celle mancano   docce e bidet, che pure sarebbero dotazioni previste dai regolamenti.  Tuttavia   chiudere le sezioni pochissimo popolate significherebbe l’allontanamento da persone e luoghi di riferimento, quindi sarebbe un provvedimento ulteriormente afflittivo.

Negli ultimi anni la popolazione detenuta femminile è diminuita, ma aumenta il numero delle condanne con pena definitiva, le pene fino a 5 anni sono le più presenti. I reati  sono tipici delle situazioni di marginalità di provenienza (reati contro il  patrimonio,  droghe e  reati contro la persona  restano più o meno stabili , mentre  altri tendono a diminuire negli anni)

Le detenute straniere ( rumene, nigeriane, bulgare ecc.) nel 2023 sono il 30,5% del totale, in 10 anni sono diminuite di 10 punti percentuali.

Le ragazze detenute negli istituti minorili sono solo il 2,6% ( 10 su 385) percentuale molto più limitata di quella delle adulte ristrette e le giovani donne straniere tendono a diminuire. Le sedi di reclusione per minorenni donne sono 17, solo Pontremoli è interamente femminile, in genere queste detenute vivono in sezioni dedicate entro  carceri per minorenni maschi.

Numeri molto limitati e parcellizzazioni delle sedi nel territorio condizionano le offerte di attività di formazione /lavoro  per le detenute , vanificando funzioni di rieducazione e ri-orientamento per il “dopo”.

Alla fine del 2021 la metà delle detenute risultava lavorante (qualifica che spesso si ottiene anche per impegni molto molto ridotti) l’82% è dipendente della amministrazione carceraria e solo  175  lavorano fuori (lavoranti in istituto per conto di imprese sono 90, in esterno ex art. 21 sono 63, semilibere per datori di lavoro esterni  circa 20).

La possibilità di accesso a corsi di istruzione, ( dati anno scolastico 2015-2016) riguardano circa 480 soggetti ( 137  iscritte a corsi CISL ex alfabetizzazione, 265 iscritte alla primaria, 231 alla secondaria di primo grado, 95 ad altri corsi). Solo in Campania e nel Lazio sono disponibili corsi liceali, le iscritte erano circa 64, negli altri percorsi  51 sono in  istituti professionali e  81 nei tecnici. Da tener presente  che corsi  misti ( maschili e femminili) non sono previsti, salvo una limitatissima e circoscritta  esperienza che si è realizzata in Campania.

Madri e figli in   condizione di detenzione

Nel 2021, ultimi dati disponibile, 1.426 detenute risultavano essere madri, 372 avevano un unico figlio, 379 ne avevano due, 303 ne avevano tre, 187 quattro, 70 cinque, 52  sei figli, 63 ne avevano più di sei, sono quindi  3.890 figli che avevano la madre in un carcere italiano. Le  donne detenute insieme ai  figli nelle carceri italiane sono  38 ( il dato  è del 2016), 8 sono incinte , 23 (più di due terzi) sono cittadine straniere, le italiane sono 10. Le carceri attrezzate per accoglierle  si trovano in  Emilia-Romagna, Lazio, Lombardia, Piemonte, Sardegna e Veneto. Si registra  un miglioramento rispetto alle condizioni terribili  cui si era arrivati nel 2001, quando i  bambini detenuti erano 83, perché  proprio in quell’anno la legge n. 40/2001,  conosciuta come “legge 8 marzo”, intervenne in modo  sicuramente positivo sulla materia . Fino al 2001  solo le detenute con pena inferiore a 4 anni e figli di età non superiore a 10 anni potevano accedere alla detenzione domiciliare. Mentre le detenute con pena superiore a 4 anni e un figlio minore di tre erano messe di fronte alla scelta di far crescere il figlio lontano dalla madre o rinchiuderlo con la madre ristretta. La legge 8 marzo introduce   la detenzione speciale domiciliare, (le detenute madri di bambini di età inferiore a dieci anni dopo aver espiato un terzo della pena in carcere, possono scontare la pena residua in casa o altro luogo accogliente), questi  benefici  vengono estesi  anche alle detenute madri di bambini sopra i 10 anni di età. Le condizioni di ammissione alle misure alternative introdotte in quel momento tuttavia stabiliscono che poteva essere ammessa ai benefici  chi non presentasse rischio di recidiva e dimostrasse la concreta possibilità di ripristinare la convivenza con i figli.  Queste norme hanno quindi escluso molte delle donne appartenenti a settori  marginali della popolazione (detenute tossicodipendenti, incarcerate per reati relativi alla legge sulle droghe) e le donne straniere senza fissa dimora. La  legge  62/2011 ha poi introdotto nuovi modelli detentivi adeguati ai bambini (le Case famiglia protette, affidate ai servizi sociali e agli enti locali, e gli ICAM, Istituti a Custodia Attenuata per Madri che fanno capo all’amministrazione penitenziaria, ambienti accoglienti e accattivanti in cui i bambini possono restare con le madri fino a sei anni ) Il primo ICAM era stato costruito in via sperimentale nel 2007 a Milano. Altri ICAM sono stati recentemente aperti a Venezia e a Torino, ma il loro numero, così come quello degli asili nido all’interno delle sezioni femminili, è ancora altamente insufficiente ( circa 18 a livello nazionale) pochi quindi e spesso lontani dai luoghi abituali di vita e dalla famiglia. Sicuramente queste leggi rappresentano interventi positivi,ma rimane una grande distanza tra norme e loro realizzazione e soprattutto mancano elementi di migliore vivibilità delle donne; solo la condizione tipica del genere femminile , la maternità, viene presa in carico , ma si lasciano fuori tutti i bisogni legati a un corpo non neutro,  perché i bisogni vengono ricondotti a normative falsamente neutre e misurate sui bisogni della popolazione maschile. Tra l’altro il fatto che la popolazione femminile  , non può condividere né spazi né attività con la componente maschile, la tiene ancora più rinchiusa all’interno dell’ambiente carcerario, e  la priva di tutto quello che la dovrebbe/potrebbe aiutare per prepararsi al “dopo”, secondo quello che la Costituzione italiana indica come la finalità e la funzione del carcere.

[1] Le 10 proposte  presentate da Antigone 8 marzo 2023

  1. Va istituito nel Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria un ufficio che si occupi di detenzione femminile, che deve essere diretto da esperti in politiche di genere.
  2. Vanno previste azioni positive dirette a rimuovere gli ostacoli che le donne incontrano nell’accesso al lavoro, all’istruzione, alla formazione professionale.
  3. Le camere di pernottamento delle detenute devono disporre di tutto ciò che è necessario per soddisfare le esigenze igieniche e sanitarie specifiche delle donne, compresi gli assorbenti igienici forniti gratuitamente.
  4. Alle donne detenute deve essere assicurato un servizio di prevenzione e di screening dei tumori femminili equivalente a quello delle donne in libertà. In particolare il PaP test e il test di screening per il cancro al seno o all’apparato riproduttivo devono essere offerti alle detenute parimenti a quanto avviene nella comunità libera per le altre donne della medesima età.
  5. In fase di accoglienza della donna in carcere deve essere assicurato dagli operatori del carcere e da quelli del Servizio Sanitario Nazionale un approfondito esame diretto a verificare se la donna ha subito violenza sessuale o altri abusi o forme di violenza prima dell’ammissione in carcere. Se durante la detenzione vengono accertati o denunciati episodi di violenza sessuale o altri abusi o maltrattamenti, la donna deve essere prontamente informata del diritto di rivolgersi all’autorità giudiziaria.
  6. Alla donna vittima di violenza presa in carico dal punto di vista sanitario, psicologico e sociale durante la detenzione deve essere assicurata continuità di cura una volta fuori.
  7. Nelle carceri dove sono recluse donne vi deve essere staff adeguatamente formato e specializzato sulla violenza di genere. Tutto il personale incaricato di lavorare con le donne detenute deve ricevere una formazione relativa alle esigenze specifiche di genere e ai diritti delle donne detenute.
  8. Vanno previste azioni dirette a evitare ogni forma di discriminazione basate sul genere nei confronti delle donne che lavorano nello staff penitenziario a tutti i livelli.
  9. In accordo con il principio per cui la vita in carcere deve approssimarsi il più possibile a quella nella comunità libera, in tutte le carceri che ospitano sia uomini che donne vanno previste attività diurne congiunte, così da incrementare le opportunità in particolare per le donne detenute.
  10. Le carceri e le sezioni femminili devono essere improntate il massimo possibile al modello della custodia attenuata.

 

 

Vittoria Gallina