La storia contemporanea come educazione alla vita civile

La legge istitutiva dell’Educazione civica come materia trasversale alle discipline muove dal presupposto che la formazione dei cittadini non possa essere appannaggio di un sapere a parte, né appoggiarsi ancillarmente a un insegnamento singolo.  Nello stesso tempo, proprio questo assunto obbliga a riflettere a fondo sull’apporto che ciascun dominio disciplinare può conferire all’educazione alla vita civile delle nuove generazioni che frequentano le scuole. È una sfida alta, perché tocca un punto nevralgico della didattica, là dove lo statuto epistemico di un sapere ad alta specializzazione (la critica letteraria come la chimica organica o la fisica teorica, non importa) incontra, nella scuola, giovani e giovanissimi, di quasi tutto ignari, per accompagnarli nella loro crescita intellettuale e culturale. Interrogarsi su questo è parte decisiva del mestiere, come sa e fa qualunque docente consapevole del proprio ruolo.

Parliamo di storia. Cominciamo ricordando che la storia è da sempre, nella scuola italiana, la vera disciplina trasversale, tanto che davvero ci sarebbe da chiedersi qual è lo specifico della materia ‘Storia’, se la filosofia già è storia della filosofia,  l’arte è storia dell’arte, la letteratura è storia della letteratura.  Ciononostante, alla specola dell’insegnante di storia si spiana un panorama senza confini, che comprende i domini della politica, dell’economia, delle relazioni internazionali, delle trasformazioni sociali, della cultura materiale, della mentalità, della demografia. Lo dico sommessamente: non è che sia per caso tempo di rimettere mano all’intero assetto del curricolo dei saperi umanistici, con meno specialismo da Fächer  accademici, peraltro in crisi anch’essi, e un po’ più di intersezioni?. Sia come sia, che lo studio della storia, in qualunque sua configurazione, sia terreno fertile su cui radicare la comprensione del mondo attuale, premessa ineludibile all’esercizio di cittadinanza, nessuno dubita. E questo non perché la storia intesa come Geschichte – la serie degli accadimenti – sia magistra di alcunché, ma perché la conoscenza del passato, conferendo profondità al nostro sguardo sul presente, aiuta ad articolare domande pertinenti su di esso.

In questa prospettiva, risulta vitale ancora oggi l’indicazione crociana secondo cui tutta la storia – intesa come Historie, ovvero come interpretazione dell’accaduto – è storia contemporanea. Indicazione che, presa alla lettera, sembra mettere sullo stesso piano, almeno ai fini di una pedagogia civile, qualunque segmento del passato, indipendentemente dal grado di vicinanza temporale rispetto a noi. Alla domanda se alla storia contemporanea, intesa questa volta come sottodominio disciplinare, sia da accordare un particolare privilegio in vista di una conoscenza riflessa e matura della realtà che ci circonda, si dovrebbe dunque rispondere di no.

Se la didattica della storia non si arresta alle forme stantie di un raffazzonato wie es eigentlich gewesen, da Leopold von Ranke per i poveri, ma cerca le sue ragioni in uno sguardo più ampio, capace di includere la storia delle idee, molte questioni cruciali che attraversano i secoli – come ad esempio il rapporto tra diritto e forza e, più in generale, tra politica ed etica – qualora affrontate nella giusta prospettiva critica (storica, appunto), aiutano ad assumere una corretta attitudine problematica di fronte alle antinomie di fondo della vita associata, presenti oggi come nella Tebe di Antigone. E ciò indipendentemente dal fatto che il punto di partenza sia il caso Moro o la lettura del Principe.

Gli obiettivi dell’educazione alla vita civile

Tuttavia, il compito dell’educazione alla vita civile non si esaurisce qui. A me pare si possano individuare tre obiettivi di fondo, il cui perseguimento coinvolge esperienze di apprendimento non soltanto formale, ma fondate anche sulla vita all’interno della comunità scolastica.

  1. La costruzione di un atteggiamento dialogico come fondamento di una cittadinanza partecipe e vissuta. La disponibilità al dialogo non si costruisce con mozioni morali («bisogna rispettare le opinioni altrui…”»), ma a partire dalla natura stessa dei temi posti dalla complessità del reale. Io riconosco la tua posizione perché, proprio se diversa dalla mia, mi aiuta ad approfondirla, e a capire che la questione che abbiamo di fronte è essa stessa controversa. Il conflitto interpretativo non nasce da noi, ma è coesteso alla questione stessa. Qui la storia contemporanea diventa fondamentale: pensiamo a quanti temi controversi-in-sé »– come, per non citarne che alcuni, i cleavage sviluppo/tutela ambientale, globale/locale, stato/mercato, leadership/rappresentanza – occupano il panorama mondiale degli ultimi cinquant’anni e proprio al suo interno sono emersi con la forza dirompente con cui si presentano oggi.
  2. La capacità di discernere l’ordine politico-istituzionale della democrazia dietro il caos delle sue manifestazioni fattuali. Il compromesso non è di per sé inciucio, la riforma di una sentenza in appello non è di per sé il segno del malfunzionamento della giustizia, la burocrazia non è di per sé una manifestazione dell’arroganza del potere, la presenza di molti partiti non significa di per sé che la democrazia è allo sbando, le istanze di corpi sociali o di lobby non sono di per sé egoistiche o corporative, ecc. Per distinguere le patologie del sistema, occorre conoscere la fisiologia del suo funzionamento. Altrimenti si entra da subito in una notte in cui tutte le vacche sono bigie (tutti i politici fanno schifo, tutti i partiti mirano solo a spartirsi il potere, tutti i governi sono inefficienti…). Anche qui la storia contemporanea, intesa come trasformazione degli assetti istituzionali a fondamento di uno stato democratico, con le sue procedure, i suoi bilanciamenti e anche le sue inevitabili lentezze, diventa un tassello fondamentale nell’educazione alla vita civile e nel contrasto al qualunquismo e all’antipolitica di bassa lega.
  3. L’apprendimento in vivo delle regole del gioco democratico attraverso la vita della scuola e le funzioni della rappresentanza. Riconoscere che le forme della democrazia rappresentativa forgiate nel dibattito e nella prassi del costituzionalismo moderno sono vive anche nella scuola, negli spazi di partecipazione e di autogoverno che l’ordinamento prevede, non dovrebbe essere una cosa scontata. Riflettere sulle regole che si devono applicare in un’assemblea (come si vota, quando e con che regole, cosa è disponibile al voto, con quali maggioranze…), o nella formazione delle liste elettorali e nelle elezioni (che significa la rappresentanza nei consigli, chi si rappresenta…) e fare l’esperienza di applicare quelle regole e capire se funzionano, o dove non funzionano: tutto questo esige molta cura educativa, perché è (semplifico per capirci) ‘storia istituzionale contemporanea in atto’.

In tutti e tre questi ambiti di formazione e autoformazione alla esperienza vissuta della democrazia, la storia contemporanea diventa fondamentale – anche se non esclusiva – come sistema di riferimento sul piano lessicale, concettuale, valoriale. Senza di essa, parole e idee resterebbero disincarnate, pure astrazioni mentali.  Alla fine, dunque, il titolo va forse rovesciato: l’educazione alla vita civile come storia contemporanea.

 

Paolo Ferratini esperto di politiche formative