La scuola vista da fuori: il rapporto ISTAT sui livelli di istruzione
I risultati Invalsi “ Rapporto 2018” presentano alcuni dati costanti che, senza il rischio di esagerare, possono essere definiti strutturali del nostro sistema di istruzione. Un sistema che negli anni mantiene caratteri di “ stabilità” in relazione ad aspetti gravi e a criticità che ne dimostrano la difficoltà nell’assolvere i compiti fondamentali assegnati alla scuola dalla Costituzione; queste sono le ragioni che sollecitano la necessità di leggere i risultati della scuola dentro un quadro più ampio, quello che descrive lo stato della cultura “nella e della” società italiana. Si tratta di rompere una sorta di circuito (perverso?) per cui e in cui la scuola si auto-osserva, senza collocarsi/ ricollocarsi ogni volta dentro il più ampio quadro di una società, che annuncia volontà di cambiare, ma riassorbe, talora rivolgendosi al passato, auspicabili processi di trasformazione.
Tornando al punto, è opportuno affiancare alla lettura del rapporto Invalsi, che dà conto dello stato degli apprendimenti che la scuola produce, un punto di vista più generale, il rapporto LIVELLI DI ISTRUZIONE DELLA POPOLAZIONE E RITORNI OCCUPAZIONALI: I PRINCIPALI INDICATORI ( ISTAT 2018), che legge i titoli di istruzione, conseguiti dalla popolazione italiana, alla luce dei dati Europei e le prospettive di occupabilità in relazione a questi.
Di seguito alcuni dei contenuti di questo testo vengono raccolti in 8 aspetti che appaiono più rilevanti per sviluppare, a vari livelli, ragionamenti sullo stato della istruzione in Italia, e non solo su questa ( i dati cui si fa riferimento sono quelli del 2017).
Aspetto 1 Il Livello Terziario di istruzione è raggiunto solo dal 18,7% della popolazione 25-64 anni ( media UE a 28 è il 31,4% ); questo dipende anche dalla limitata percentuale di cittadini che consegue un titolo di secondaria superiore , in Italia 60,9% ( media europea è il 77,5%). Dal 2008 al 2017 si è riscontrato un aumento dei possessori di titolo di istruzione secondaria superiore, ma a questo non ha corrisposto un aumento di possessori di titolo di livello di istruzione terziario.
Aspetto 2 Obiettivo Europa 2020: 40% dei 30-34 enni dovranno avere un titolo di studi terziario; nella cosiddetta “società della conoscenza ”questo appare obiettivo necessario al fine di stimolare la crescita economica, rendendola compatibile con l’ inclusione sociale. I 30-34 enni italiani con titolo di studio terziario sono il 26,9% ( la media europea è 39,9%). In Italia dal 2008 al 2017 si è avuto un aumento di laureati di 7 punti percentuali circa, ma il divario con l’Europa è rimasto costante , mentre aumentano le differenze entro il territorio nazionale: nel Nord 30%, nel Centro 29,9%, nel Mezzogiorno 21,6%. Tra le molte cause del fenomeno è possibile indicare la mancanza di una efficace alternativa ai corsi di laurea accademici attraverso corsi terziari di ciclo breve professionalizzanti – [livello 5 della ISCED2011], rivolti a giovani che aspirano a titoli di alto livello specialistico fuori dai tradizionali percorsi universitari.( p.e in Spagna e Francia circa un terzo dei titoli terziari posseduti dai 30-34enni ha queste caratteristiche)
Aspetto 3 Differenze di Genere. ( dati 2017 su popolazione 25-64 anni). Il livello di istruzione delle donne appare più elevata di quello dei maschi: il 63% ha almeno un titolo secondario superiore (contro il 58,8% degli uomini) e il 21,5% ha conseguito un titolo di studio terziario (contro il 15,8% degli uomini). Inoltre, i livelli di istruzione femminili stanno aumentando più velocemente di quelli maschili.
Aspetto 4 Popolazione straniera. Dal 2008, in Italia, la quota di stranieri residenti in possesso di almeno un titolo secondario superiore si è molto ridotta e non è aumentata la quota di quanti hanno un titolo terziario. Nel 2017 solo l’11,8% dei 30-34enni stranieri ha un titolo terziario (il gap con la popolazione nativa è di circa 18 punti, mentre in Europa è di 5 punti)
Aspetto 5 Abbandoni scolastici, percorsi di studio intrapresi, ma non portati a conclusione. Riguarda il 14% dei giovani 18-24 enni ELET (Early leavers from education and training), ossia 580.000 giovani. Il dato è preoccupante per almeno tre ragioni: 1) si è bloccato il miglioramento che si era registrato ogni anno a partire dal 2008; 2) le differenze territoriali sono molto consistenti – 18,5% nel Mezzogiorno, 10,7% nel Centro, 11,3% nel Nord; 3) questi abbandoni riguardano gli stranieri piuttosto che gli italiani, il 33,1% contro 12,1% degli italiani. Le ragioni dell’abbandono (ISTAT, Statistica Focus “ I giovani nel mercato del lavoro” 27 ottobre 2017)a conclusione del percorso di studi di secondaria inferiore non sembrano essere legate solo alla volontà di lavorare, ma alla difficoltà e allo scarso interesse nello studio; per i giovani stranieri emergono anche ragioni familiari, impegni/responsabilità legati alla condizione del nucleo familiare che spesso non riesce a sostenerli nella prosecuzione degli studi.
Aspetto 6 I giovani NEET (Not (engaged) in Education, Employment or Training),
15-29 enni, non occupati e non in formazione, in Italia nel 2017 sono 2 milioni e 189 mila (24,1%). Tra i NEET più giovani, 15-19enni, solo la metà è alla ricerca di un lavoro; la percentuale di coloro che vuole lavorare sale al 78,2% tra i 20-24enni ed è pari al 71,1% tra i 25-29enni. La prevalenza dei NEET risiede nel Mezzogiorno (34,4%), 16.7% nel Nord e 19,7% nel Centro. La percentuale di NEET stranieri è più elevata rispetto a quella degli italiani (34% contro il 23%)
Aspetto 7 Premio / vantaggio derivante dalla istruzione: al crescere dei livelli di istruzione la occupabilità aumenta (19,1 punti in più per chi ha un titolo di secondaria superiore rispetto a chi ha un titolo di secondaria inferiore, e 9,7 punti tra i possessori di diploma e di quello terziario). I vantaggi nel trovare occupazione per chi ha titoli di studio più elevati sono maggiori dove si evidenziano situazioni di maggiore criticità ( la condizione delle donne e il Mezzogiorno). Il tasso di occupazione dei laureati 30-34enni nelle diverse aree disciplinari è così distribuito: medicina e farmacia 84,3%, ambito scientifico e tecnologico (le cosiddette lauree STEM) 81,3%, area socio-economica e giuridica 75,3%, area umanistica e dei servizi 72,5%.
I vantaggi in relazione alla occupazione correlata al livello del titolo di studio in Italia sono simili a quelli europei, tuttavia i tassi di occupazione restano inferiori. In Italia è occupato il 51,8% di chi ha un titolo inferiore al diploma (55,6% media Europea), il 70,9% di chi ha un diploma ( dato europeo 75,7 %) e 80,6% di chi ha una laurea contro il dato europeo dell’ 85,3%. Il divario tra Nord e Sud resta pesante anche rispetto all’occupazione di chi ha titoli di studio territoriali (70,8% di occupati nel Mezzogiorno, 85,4% nel Nord), ancora più svantaggiata la componente femminile (65,7% nel Mezzogiorno, 82,2% nel Nord). Per questo livello di istruzione non si sono registrate significative variazione dal 2008 al 2017; la crisi economica ha determinato una più elevata perdita di lavoro per chi possiede titolo di studio a livello di diploma. Per i giovani 30-34enni il premio occupazionale, al crescere dei livelli di istruzione, è meno consistente rispetto a quello delle generazioni più vecchie e a quello medio europeo, tenuto anche conto del fatto che i livelli di occupazione in Italia sono più bassi di quelli europei, dato che la crisi ha contribuito e contribuisce a rendere più pesante. Comunque, pur con queste considerazioni, il tasso di occupazione cresce col livello di istruzione: nel 2017, 54,8% tra giovani con il titolo di secondaria inferiore, il 70,5% tra i diplomati ed il 77,3% tra i giovani che hanno un titolo terziario ( dati europei 59,2% secondaria inferiore , 79,5% diploma e 87,1% terziario). Anche le donne 30-34enni evidenziano un notevole vantaggio in termini di occupazione in relazione al livello di istruzione, ma persiste il dato che il tasso di occupazione femminile resta inferiore a quello maschile anche per le giovani in possesso di titoli terziari (73,7% delle donne , circa l’83,4% dei maschi).
Vittoria Gallina