Il giallo delle iscrizioni scolastiche: dati travisati e bolle di sapone
Siamo alle solite. Dati chiari e distinti? Pare di no. I dati ai quali ci riferiamo sono quelli pubblicati dal MIUR sulle iscrizioni al primo anno delle superiori.
Le voci grosse fatte a caldo e che hanno condizionato l’opinione pubblica quali sono state?
Eccole.
Da un lato, un incremento massiccio dei licei scientifici, e soprattutto dei licei scientifici tradizionali, che ha mortificato gli studi classici. Dall’altro, sono esplose le iscrizioni all’alberghiero (istituto professionale per l’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera) penalizzando gli indirizzi tecnici e professionali. Tendenza indotta delle trasmissioni sulla cucina!
E allora giù una valanga di considerazioni:
– il ruolo diseducativo della TV e il suo effetto indotto sulle scelte delle famiglie;
– l’importanza del turismo in Italia quale volano dell’economia e della domanda dei posti di lavoro;
– la “debacle” degli studi classici e l’allarme sul futuro della nostra cultura “senza radici”;
– il pericolo dello scientismo e della deriva tecnicistica;
– l’assenza di periti e della possibilità di trovarsi un lavoro.
E chi più ne ha, più ne metta… Vediamo come stanno le cose.
È essenziale distinguere tra il “corpo” dei dati e il loro “trend” (costruibile, come abbiamo visto, solamente da quelli degli ultimi due anni scolastici).
Il corpo dei dati sulle iscrizioni è chiaro: il 50,1% (266.370) va ai licei, il 30,8% (163.303) ai tecnici e il 19,1% (101.238) s’iscrive ai professionali.
Vista la difficoltà di trasferire l’alternanza scuola-lavoro ai licei (indicata come “essenziale” dalla Riforma), spesso soggetta al pregiudizio dell’importanza dell’inutile e all’essenziale dell’effimero nella formazione intellettuale dei nostri ragazzi, l’Italia sceglie, diciamo così, per metà il libero “pensiero” e per metà il “lavoro”!
E questo è un fatto, testimoniato dal “corpo” dei dati.
Cosa significa questo “corpo” dei dati in un momento di crisi come quello attuale?
Qualche indicazione la possiamo intuire dal “trend” dei dati, possibile solamente sugli ultimi due anni scolastici per la Riforma del 2010, le sue radicali trasformazioni e i necessari tempi di assimilazione.
I dati del MIUR si possono rappresentare raggruppando gli indirizzi secondo il proprio “trend” (la tendenza) dal 2013 al 2014 (vedi la tabella): quando cresce (C), quando perde (P), e quando resta stazionario (S).
La tabella del MIUR – riscritta in termini di trend – mostra che la tendenza delle famiglie italiane è orientata verso il raggruppamento dei licei “aperti” ai linguaggi non verbali e alla comunicazione, oltre che ai licei per il semplice fatto che sono tutti di 27/30 ore settimanali.
Insomma, meno impegno orario e formazione orientata ai linguaggi del corpo, dell’arte e della musica, della necessità di comunicare e capirsi in un mondo con diverse varianti alfabetiche. Le famiglie tendenzialmente rigettano le discipline “dure” (matematica, fisica, chimica, greco, latino…) e tutti quegli indirizzi “pesanti”. In questo contesto deve essere letta anche la condizione dei licei “classici”, senza enfatizzare il loro dramma come se fosse un fenomeno isolato.
In sostanza, il 22% del gruppo dei licei aperti tende a crescere nel prossimo futuro mentre quello del 21,8% dei licei “duri” tradizionali e storici, oltre ad essere oggi già in minoranza, tende a scendere complessivamente.
Il liceo scientifico per le scienze applicate è un ibrido, alla disperata ricerca di un’identità tra liceo e tecnico (una comoda via – senza il latino – per i molti indecisi, resta, infatti, in un limbo stazionario).
Allo stesso modo, le famiglie non sono granché interessate al “lavoro”, almeno nella fase delle iscrizioni, infatti, istituti tecnici e professionali sono in calo, soprattutto dove il mercato ha manifestato il loro maggior bisogno: ad esempio, l’alberghiero resta stazionario come il turistico e il commerciale non è più ambito.
Conclusione?
Il segnale globale è chiaro: la liceità delle discipline “dure” (sia classiche sia scientifiche) e gli indirizzi tecnici e professionali, per le discipline deputate alla formazione al lavoro, tutte – insieme – perdono iscrizioni, o comunque non crescono.
Cresce, invece, il bisogno di comunicare, di esprimersi, di guardare ai linguaggi artistici, musicali e a quelli del corpo come a uno speciale bisogno di allontanarsi dalla “realtà del sacrificio” per un futuro senza il rigore delle conoscenze e delle competenze (si dice: “sono troppo piccoli per pensare al lavoro”).
Una possibile interpretazione, di gran lunga più nobile, è forse quella che esprime un forte bisogno di creatività delle famiglie italiane, la ricerca di un percorso aperto alle capacità creative dei propri figli.
La versione più cruda e venale, più semplicistica e mercificata, è quella che vede il futuro nella TV, nel cinema e nello sport!
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Immagine in testata di Len Radin / Flickr (licenza free to share)
Arturo Marcello Allega