Dalle rilevazioni Invalsi alla scuola equa ed efficace
Complice l’inizio delle vacanze e la coincidenza con la fine degli esami di maturità, dopo il grande parlare provocato, nel corso del mese di giugno, dalle prove Invalsi, l’uscita del rapporto sintetico che ne illustra alcuni dati (28 luglio) è passata quasi sotto silenzio. Letture “a volo di uccello” su alcuni quotidiani nazionali e poco altro. Al solito l’emergenza o l’evento sembrano essere le sole situazioni capaci di guidare l’attenzione verso la scuola, si accendono i fari sulla notizia e poi si spengono subito. Eppure forse proprio una seria lettura di quello che finora è stato pubblicato da Invalsi e quello che lo stesso Invalsi promette per l’autunno, potrebbe essere un utile esercizio per chi si occupa di scuola e per le scuole stesse. Questo per due ordini di ragioni:
1) Costruire un sistema di valutazione è un processo complesso che, se deve essere veramente utile, deve coinvolgere tutti gli interessati al tema e soprattutto deve portare alle condivisione di finalità , analisi e metodologie di rilevazione, punti di osservazione e modalità di interpretazione dei risultati.
2) Condividere analisi e risultati della valutazione di un sistema è un fatto culturale complicato che riguarda responsabilità e competenze di soggetti diversi. Sarebbe veramente molto poco , a fronte del lavoro che indubbiamente l’Invalsi si impegna a produrre, se il Ministero utilizzasse i dati solo per confermare le proprie, già largamente pubblicizzate, ipotesi sulla meritocrazia e il risparmio, e, nello stesso tempo, le scuole si mettessero in difesa, misurandosi sulle medie nazionali senza utilizzare tempo e “pensiero” per rileggersi entro un quadro generale.
Le osservazioni che seguono vogliono contribuire a sviluppare la riflessione sugli approfondimenti annunciati, che dovranno essere disponibili a partire da ottobre. A oggi Invalsi presenta un set di strumenti, la lettura dei quali consente di ragionare su quello che si è fatto e quello che si sta facendo, di formulare quesiti e di fare osservazioni che , da un lato, troveranno risposta negli approfondimenti dell’autunno (forse potrebbero anche suggerire qualche ulteriore pista di ricerca) e, dall’altra, contribuiranno a una necessaria valutazione della “bontà” della strada intrapresa e/o della opportunità di cambiare un po’ il tiro. Il continuo, quasi esclusivo rifermento alle strumentazioni e ai risultati delle indagini internazionali, prevalentemente Pisa Ocse più che TIMMS e altro, è sicuramente garanzia di coerenza metodologica , ma ormai sarebbe tempo di definire quadri capaci di descrivere in modo più specifico il sistema italiano per interrogarlo in quanto tale, onde evitare una certa ripetitività dei dati resi disponibili. Se si vuole infatti esprimere in estrema sintesi cosa emerge dall’ultima rilevazione, la più completa, perché riferita a tutti i percorsi di istruzione obbligatoria secondo l’assetto attuale della scuola, le due tabelle riassuntive qui di seguito evidenziano gli squilibri territoriali, la ineguale distribuzione delle performance tra tipologie di percorsi secondari e la ampiezza della forbice (distanza tra valore minimo e massimo rilevato) entro i percorsi stessi , tutto secondo copione.
La tabella riferita alla “Differenza percentuale nei risultati medi della prova di Italiano” e l’ampiezza della forbice, entro i vari livelli di scuola, evidenzia che queste sono più ampie in seconda elementare, che non in quinta e in prima media, mentre diventano molto consistenti in terza media, per ridursi nella ultima classe del percorso di istruzione obbligatoria. Una lettura più analitica della tabella, che dà conto della collocazione territoriale delle scuole, permette di rilevare che, mentre nella scuola primaria i risultati si raccolgono tutti intorno alla media nazionale, nel passaggio dalla classe seconda alla quinta, nella scuola secondaria si verifica invece il fenomeno contrario. Il Nord-Ovest e il Nord-Est, hanno differenze positive e significative in senso statistico rispetto alla media nazionale, mentre nel Mezzogiorno le differenze sono significative in senso negativo. Questa tendenza si conferma anche per la classe seconda della scuola secondaria di secondo grado.
La tabella riferita alla “Differenza percentuale nei risultati medi della prova di matematica” e relativa forbice, evidenzia una ridotta ampiezza di questa nei risultati delle scuole elementari, più ampia, ma nell’insieme contenuta nella secondaria, anche se con una tendenza all’aumento alla fine del percorso della scuola dell’obbligo. Si rileva inoltre un vantaggio stabilmente positivo rispetto alla media nazionale nel Nord est e Nord ovest (il predetto vantaggio quasi raddoppia quando si passa alla scuola secondaria di primo e secondo grado), la situazione del Centro è più articolata, nelle classi del primo ciclo si riscontra, per quanto più debole, la stessa tendenza che emerge nelle due aree del Nord del Paese, il risultato è invece significativamente negativo per la scuola secondaria di secondo grado. Il Mezzogiorno appare in difficoltà in quasi tutte le classi oggetto di test. L’unico elemento positivo è la riduzione dello svantaggio della scuola secondaria di secondo grado nel Sud.
Alcune osservazioni:
1) Il campione estratto dall’universo delle scuole, utilizzato per produrre le analisi riguarda il 26% delle scuole, il 6% delle classi e il 7% degli studenti. Il campione probabilistico è stratificato per regione entro i 5 gradi di scuola oggetto del sistema di valutazione. In questo modo si produce, per quanto riguarda la scuola elementare, un 5% di classi e circa un 6% di studenti (sia in seconda che in quinta), nella secondaria inferiore si sale al 7% delle classi e al 7% degli studenti, nella secondaria di secondo grado al 9% delle classi e al 9% degli studenti. Per quanto riguarda l’esame di Stato conclusivo della secondaria inferiore le scuole sono il 21%, le classi e gli studenti il 4%. Una domanda, suggerita anche da accenni presenti nel rapporto di sintesi: il numero necessariamente ridotto delle osservazioni consentite dal campione è sufficiente a descrivere le condizioni concrete in cui gli apprendimenti si sviluppano? Appare utile ricordare che il sistema nazionale di valutazione si applica a una scuola che si regge sul principio della autonomia, il sistema di valutazione dovrebbe contribuire a interpretare le modalità concrete in cui l’autonomia si realizza e i modelli di apprendimento che in questa si producono nei fatti, per interpretarne i risultati.
2) Restano esclusi dal campione gli studenti iscritti in classi con 10 alunni o meno, mentre ex post sono stati esclusi gli studenti disabili che, sulla base della decisione delle singole scuole, hanno avuto comunque la opportunità di partecipare. Sarebbe utile corredare questo dato con l’informazione circa la consistenza e la dislocazione di queste classi, per avere l’opportunità di produrre un focus su alcuni sub campioni relativi a classi fino almeno a 14 alunni; questo sarebbe utile per valutare il vantaggio/svantaggio rispetto alle medie nazionali, in termini di apprendimento, di studenti che vivono in zone periferiche e in classi a rischio di sparizione.
3) L’universo degli studenti non italiani resta poco leggibile, al di là del dato scontato che la durata della permanenza del giovane e/o del nucleo familiare nel paese di accoglienza ha una evidente correlazione con gli apprendimenti degli studenti, mentre non si evidenzia alcuna tipologia di “situazione” classe in cui si realizza l’integrazione. Questa osservazione comunque rimanda al problema già evidenziato con la prima domanda, relativa alla esigenza che il sistema di valutazione riesca a produrre una modelizzazione del funzionamento della scuola dell’autonomia.
4) I risultati finora disponibili rilevano solo le percentuali di risposte corrette, la lettura dei framework e la descrizione dei singoli task non consentono tuttavia, almeno per ora, di ricostruire tipologie di studenti competenti e profili di performance; se Invalsi riuscirà a dare una risposta a questi quesiti, darà sicuramente un contributo molto importante alla qualificazione dell’ultimo percorso della istruzione obbligatoria, permettendo di interpretare le condizioni in cui i giovani maturano le scelte relative all’inserimento nel mercato del lavoro ovvero alla prosecuzione degli studi.
5) La lettura dei framework evidenzia un grande impegno nella costruzione di test capaci di rilevare competenze e abilità, non sembra tuttavia che si cerchi, nella costruzione degli stessi, di tener conto di come sviluppare la motivazione degli studenti partecipanti; la motivazione infatti è una componente essenziale della produzione di una performance e il contesto e la presentazione delle prove possono condizionare i risultati. Non si tratta di immaginare incentivi, così come si usa con gli adulti, ma di produrre task capaci di muovere la curiosità dei giovani. Non appare infine chiaro per quale motivo la prova di velocità di lettura, prevista per gli studenti della seconda classe della scuola primaria, non venga più utilizzata nelle classi successive, studiare la velocità di lettura rispetto a testi sempre più complessi è un indicatore che ha un forte valore predittivo della capacità di apprendimento.
In conclusione, alcune risposte saranno fornite dagli approfondimenti che si renderanno disponibili nei prossimi mesi, fin da oggi tuttavia appare evidente l’utilità del lavoro che Invalsi sta costruendo, ma nello stesso tempo la necessità di affiancare alla produzione di test, alcuni studi specifici che consentano di leggere le difficoltà di una scuola che non riesce a colmare differenze e diseguaglianze e di suggerire strategie efficaci.
Riferimento per le tabelle:
www.invalsi.it Rapporto SNV 2010-2011, Le rilevazioni degli apprendimenti, pag. 140 – pag 142
Vittoria Gallina