Dal blended al trialogico: nuove prospettive per la didattica supportata dal computer

L’approccio blended sta assurgendo agli onori della cronaca in questo periodo in quanto sembra essere la meta a cui puntare per il superamento dell’attuale situazione didattica, dettata dalla pandemia. Infatti, in molti si stanno cominciando a chiedere che ne sarà in futuro delle esperienze accumulate in questo periodo di Didattica a Distanza (DaD).

C’è che si augura di non rivedere mai più un PC e chi, invece, ha scoperto nuove potenzialità e modalità di lavoro supportate dall’uso delle tecnologie digitali. Chi non aveva mai usato tecnologie per la didattica si è trovato spiazzato, ingenerando a volte rifiuto ostinato, altre volte qualche curiosità e qualche piacevole scoperta. Chi, invece, era già avvezzo a qualche forma utilizzo di internet ha visto le sue esperienze valorizzate. Ma dopo che succederà? A quale forma di didattica andremo incontro dopo il rientro in aula?

Da più parti si suggerisce il ricorso alla didattica blended. Ma cosa si intende esattamente con questa etichetta? Quali sono le specificità e quali sono le evoluzioni più recenti di tale approccio?  Fondamentalmente, per blended si intende la combinazione tra didattica in presenza e didattica on-line, ma tutti gli esperti del settore raccomandano di evitare una semplice riproduzione di quanto accade in un contesto nell’altro (Graham, 2006). Per esempio, non è possibile pensare di offrire la stessa lezione a studenti presenti in aula e ad altri collegati in remoto. Non funziona, né se questo avviene in contemporanea, né in differita. La didattica in presenza si avvale di aspetti e modalità non possibili a distanza. In aula cogliamo sguardi, espressioni non verbali, la prossemica: tutti aspetti che ci aiutano a regolare il nostro intervento. In rete, invece, abbiamo i primi piani e le interazioni via chat e tutti i dettagli di sfondo che potrebbero interferire con la lezione oppure diventare occasioni di interazione. Si tratta di competenze diverse, che non è possibile gestire in contemporanea, per nessun docente. Altrove (Ligorio, Cacciamani & Cesareni, 2006) abbiamo definito ‘velcro’ il modello di sostanziale sovrapposizione tra online e offline e lo consideriamo in assoluto la modalità meno proficua.  Mescolare online e offline significa utilizzare due modelli didattici molto diversi, con precise peculiarità. La loro integrazione è possibile solo se ben studiata, considerando sia le caratteristiche di ciascuno di questi contesti, sia le risorse e i limiti della situazione educativa.

I primi a ricorrere a questo specifico termine (blended) sono state alcune prestigiose marche di caffè e di whisky. Erano state studiate a fondo le caratteristiche di ciascun ingrediente per individuare quelli che, una volta combinati, potessero reciprocamente esaltarsi. È questa la filosofia del blended: combinare gli elementi dello scenario pedagogico in modo da sfruttare al meglio le potenzialità di ciascun elemento.

Alla luce di questa definizione, è facile intuire che adottare il blended implica:

  1. Un attento studio del contesto per capire cosa è possibile utilizzare e come, per conoscere i bisogni e i limiti degli utenti/studenti a cui ci si rivolge;
  2. la combinazione di diversi supporti tecnologici allo scopo di fornire informazioni e contenuti attraverso diverse modalità comunicative. È ovviamente diverso utilizzare, per esempio, ambienti di comunicazione sincrona rispetto a quelli asincroni; strumenti già noti ma mai utilizzati per la didattica (per esempio i social) o strumenti creati appositamente per la formazione. Si pensi, inoltre all’uso del cellulare, diffuso e capillare in ogni ambito della vita di ciascuno di noi tranne che a scuola, dove spesso i docenti esordiscono chiedendo agli studenti di spegnerli;
  3. la mescolanza di diversi metodi di insegnamento/apprendimento che però bisogna prima conoscere. Per esempio, il docente deve avere nel suo bagaglio professionale tecniche per rendere la lezione multimediale o per implementare interazione tra pari significative anche negli ambienti digitali.

L’approccio scripted

In sintesi, serve una attenta progettazione e una discreta capacità di monitoraggio anche in itinere. Alcuni autori (Weinberger, Stegmann & Fischer, 2010) hanno studiato come sequenziare i momenti offline con quelli in presenza, quando fare lezione e quando invece utilizzare altre strategie. Si tratta dell’approccio denominato Scripted, con chiaro riferimento alla costruzione di scenari appositamente pensati per i contesti educativi. I suggerimenti che ne emergono possono essere riassunti come segue:

  • proporre compiti interessanti e coinvolgenti. Questa è sicuramente una raccomandazione valida per ogni tipologia di didattica, ma in realtà sottintende il bisogno di ripensare alle attività didattiche in modo da rendere gli studenti molto attivi. A tale scopo è possibile assegnare responsabilità precise e ruoli funzionali alle dinamiche di gruppo. Se l’online ripercorre pedissequamente quello che accade in aula, inevitabilmente diventa noioso ed estraniante. Pertanto, le attività devono essere altamente motivanti, richiedere agli studenti presa di iniziativa, propositività e creatività;
  • motivare all’interazione con i pari, renderla necessaria e finalizzarla al raggiungimento di obiettivi comuni;
  • offrire prompt di avvio, in modo da strutturare e rendere chiaro cosa sia richiesto agli studenti;
  • offrire scaffold adeguato ai singoli e ai gruppi. Alcune piattaforme, per esempio Knolwedge Forum[1], offrono scaffold già incorporati; in altri casi può essere il docente a predisporli e a presentarli agli studenti.

L’approccio trialogico

L’efficacia delle attività blended aumenta se finalizzate alla costruzione di prodotti significativi. È su questo che punta il recente approccio trialogico (Paavola, Hakkarainen & Engeström, 2010). La messa in atto dell’approccio trialogico è guidata dai seguenti sei principi (Paavola, Lakkala, Muukkonen, Kosonen, Karlgren, 2011):

  • Principio 1. Organizzazione delle attività intorno a oggetti condivisi, riconosciuti come importanti e destinati ad un reale utilizzo da parte di utenti al di fuori della classe.
  • Principio 2. Sostenere l’interazione tra i livelli personali e sociali; suscitare l’iniziativa individuale e collettiva, combinando il lavoro individuale con quello di gruppo.
  • Principio 3. Promuovere processi a lungo termine dell’avanzamento della conoscenza. Questo principio si realizza sia retrospettivamente, utilizzando competenze e conoscenze pregresse, sia in modo prospettico, pensando a come gli oggetti costruiti potranno evolversi in seguito.
  • Principio 4. Sviluppo della conoscenza attraverso la trasformazione da un formato ad un altro; per esempio da un formato più strettamente teorico a uno più pratico, oppure da un formato testuale a una mappa concettuale.
  • Principio 5. Ibridazione delle varie pratiche di conoscenza nell’ambito di comunità e istituzioni. Qui si sottolinea l’importanza di creare connessioni con altri contesti con cui interagire e a cui far usare l’oggetto costruito.
  • Principio 6. Fornire strumenti di mediazione flessibile e prevedere tecnologie adeguate.

Esempi e modalità di come attuare questi principi sono stati raccolti in un testo co-curato da chi scrive (Cesareni, Ligorio & Sansone, 2018).

Da quanto qui sintetizzato si evince abbastanza facilmente quanto sia impellente un’adeguata formazione dei docenti, una seria ricognizione delle infrastrutture digitali, e molto probabilmente l’inserimento di apposite figure professionali in grado di supportare il docente nell’implementazione di efficaci modelli blended.

Bibliografia

Cesareni, D., Ligorio, M. B., Sansone, N. (2018). Fare e Collaborare. L’approccio trialogico nella didattica. Milano: Franco Angeli

Graham, C. R. (2006). Blended learning systems. The handbook of blended learning: Global perspectives, local designs1, 3-21.

Ligorio, M. B., Cacciamani, S., Cesareni, D. (2006). Blended Learning: dalla scuola dell’obbligo alla formazione adulta, Roma: Carocci.

Paavola, S., Hakkarainen, K., Engeström, Y. (2010). Trialogical approach as a new form of mediation. In A. Morsh, A. Moen, S. Paavola (eds.). Collaborative knowledge creation: Practices, tools, and concepts (pp. 9-23).

Paavola, S., Lakkala, M., Muukkonen, H., Kosonen, K., Karlgren, K. (2011). The roles and uses of design principles for developing the trialogical approach on learning Research. Learning Technology Vol. 19, 3, 233-246.

Weinberger, A., Stegmann, K., & Fischer, F. (2010). Learning to argue online: Scripted groups surpass individuals (unscripted groups do not). Computers in Human behavior26(4), 506-515.

[1] https://www.knowledgeforum.com/

Maria Beatrice Ligorio Università degli studi di Bari