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La scuola nella “società dello zero virgola”. Il 49° Rapporto sulla situazione sociale del Paese

Pubblicato il: 15/12/2015 15:40:12 -


“Il processo di riappropriazione non può essere messo in moto che da un resto” (J. Derrida)
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Qualcuno parlava di ottimismo della volontà, la cifra del quarantanovesimo rapporto Censis potrebbe essere l’ottimismo della rassegnazione. Tre sono gli aspetti che caratterizzano, secondo l’interpretazione contenuta nelle considerazioni generali, la situazione sociale del paese: l’assenza di un progetto per il futuro, che riduce la cultura collettiva alla registrazione della cronaca e l’iniziativa pubblica alla ricerca del consenso; l’atteggiamento puramente difensivo di famiglie e soggetti produttivi che, alla ricerca di sicurezza, si rifugiano nei limitati spazi di un “particulare” che garantisce il presente, ma denuncia la miopia di uno sguardo corto; l’impegno teso a sviluppare dinamiche politico-sociali attraverso il rilancio del primato della politica, di fronte al quale il corpo sociale non reagisce, non ritrova il senso di un investimento collettivo, rendendo sempre più evidente la crisi di una sana dialettica tra società e politica ed esprimendo l’assenza di una élite capace di guadagnarsi fiducia.

Da un lato quindi la gabbia di una cronaca, squallidamente legata ai fatti del giorno per giorno, dall’altro un limbo inerte in cui galleggia la “società dello zero virgola”, metafora largamente utilizzata nella descrizione dei processi. Rassegnazione quindi, una società “a bassa propulsione”, che non vuole correre rischi, cui si affianca, nel rapporto, una prospettiva non pessimistica. Il persistere di una carsica saggezza popolare italiana, che si mantiene nel lungo periodo storico, in cui la frammentazione di comportamenti e l’individualismo della diversità di opinioni consentono di far ricorso alle capacità di invenzione ed innovazione che, in modo silenzioso, permettono adattamento e mantenimento.

C’è un “resto”, non residuo di uno scarto, ma un “non speso”, non utilizzato, che diventa risorsa e serve a restare a galla. Altra metafora che eserciterà le cronache per un periodo forse non lungo, con buona pace di Derrida.

Quali gli indicatori del nuovo stile di vita italiano? L’oscillare tra la persistente tendenza al risparmio e segnali di ripartenza, che vivono della mescolanza di settori e di strati sociali, lo sfruttamento di competenze tradizionali, che descrivono una società in cui la timida ripresa seleziona e divide soggetti e ceti sociali, accentua la marginalizzazione delle nuove generazioni e, pur nella scoperta di nuove forme di lavoro e di produzione di reddito, non favorisce processi di equità sociale e di premio dell’investimento in formazione e cultura (l’incoerenza tra titoli / qualifiche posseduti dai giovani e collocamento al lavoro è un dato evidente e preoccupante).

Gli approfondimenti contenuti nei vari capitoli argomentano, con importanti riflessioni, l’interpretazione di una società disarticolata, piuttosto che articolata nei diversi settori, che tuttavia mostrano dinamiche parziali, entro un quadro di diseguaglianze e di ingiustizie: la dimensione dell’immigrazione, ma anche i processi di integrazione, le trasformazioni del territorio, ma il dramma delle periferie, la crisi dei settori produttivi tradizionali, il balzo dei consumi tecnologici, la crescita dell’emigrazione italiana e la fragilità del senso di identità e cittadinanza che genera insicurezza.

Prudente e focalizzato su pochi aspetti il capitolo dedicato ai processi formativi, anche se il tema ritorna sullo sfondo e/o esplicitamente nei settori lavoro, occupazione, welfare e migrazioni. Sicuramente l’avvio della “buona scuola” ha avuto il merito di riportare al centro del dibattito nazionale il tema del valore dell’educazione e dello sviluppo delle potenzialità dei soggetti giovani e meno giovani, dopo anni di politiche di tagli finanziari e di riduzione di attività e opzioni. Ma potrà essere sufficiente questo enunciato spostamento di attenzione, in attesa dei risultati dell’implementazione organizzativa degli assetti della scuola? Prudenza, quindi, e attesa.

Al sondaggio annuale che il Censis rivolge ogni anno ai dirigenti scolastici il 50% è apparso ottimista, per quanto attiene al clima della scuola, ma più del 60% osserva che i docenti appaiono disorientati, e questo dice molto di più di quanto la cronaca abbia registrato. I problemi vecchi e nuovi della scuola (precariato, valutazione, autovalutazione, incognite presenti nelle deleghe che il governo dovrà onorare) occupano il centro di uno spazio in cui si collocano da un lato i Neet (record europeo di giovani italiani e stranieri che in Italia non studiano né lavorano), e dall’altro la persistente difficoltà dei settori della ricerca e della università.

Negli anni della riduzione negli investimenti e della ricerca di una meritocrazia sbandierata – ma non praticata – l’Università ha indirizzato i giovani ricercatori in vicoli ciechi, non è riuscita a potenziare il diritto allo studio, non solo economicamente (calano gli iscritti, ma un maggiore numero di studenti continua nei percorsi di istruzione terziaria) ed ha reso quasi vana l’esplorazione e la pratica di quella terza mission delle istituzioni accademiche, che dovrebbero aprire l’università alle esigenze e alle opportunità che la società potrebbe offrire.

Rispetto al social engagement la nostra accademia sembra balbettare più che agire. In questo quadro l’alternanza scuola lavoro potrebbe essere un’opportunità, ma i dirigenti scolastici evidenziano difficoltà che restringono il numero degli studenti che, al di là della norma, potrebbero fruirne e incertezze e ambiguità circa contenuti, scelte culturali e qualità delle offerte disponibili. Gli spazi virtuali che dis-collocano e ricollocano i vissuti quotidiani dei giovani presentano opportunità, ma anche rischi, che richiamano il ruolo educativo della scuola, ma anche la necessità di costruire dimensioni di relazionalità sociale di cui la scuola è parte importante, ma non unica.

Aumentano gli adulti che ritornano in percorsi di formazione; il Rapporto saluta questo come dato positivo, soprattutto perché riguarda lavoratori e occupati, ma dimentica che i low skilled non accedono a queste opportunità. Infine l’attenzione al patrimonio umano e sociale rappresentato dalle donne immigrate che, anche in Italia, come nel resto di Europa, non sono oggetto di politiche di integrazione specificamente coordinate e sono più discriminate nel mercato del lavoro: mediamente sono più scolarizzate degli uomini e partecipano di più ad attività formative, ma appaiono sovra-qualificate rispetto ai lavori che svolgono, emblematica la cura agli anziani, caratterizzata da una mortificante condizione di assenza di prospettive e di sviluppi di carriera e professionali.

Per approfondire:

Censis, 49° Rapporto sulla situazione sociale del Paese/2015

Vittoria Gallina

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