Gli Istituti Tecnici: radiografia di un declino e proposte per il recupero
Gli Istituti Tecnici, nonostante il recente riordino, non riescono a riconquistare il terreno perduto negli ultimi 20 anni e gli Istituti Tecnici Superiori non decollano. Questi, in sintesi, i punti di partenza del convegno organizzato il 18 Novembre a Milano dall’Associazione Treelle e dalla Fondazione Rocca.
È noto il calo degli studenti degli IT simultaneo all’aumento di quelli dei Licei. Se si guarda alle iscrizioni al primo anno l’andamento 1990-2014 è il seguente: IT dal 43, al 31,7%, Licei dal 33,3 al 45,9%. Si ricordi inoltre che il tasso di abbandono è più alto nei tecnici che nei licei, per cui il conteggio dei diplomati è ancora più sfavorevole per i primi. Per completare il quadro, nei Professionali le percentuali vanno, nello stesso periodo, dal 23,1 al 22,4 e il tasso dispersione è ancora più alto. Uno degli obiettivi posti dalla Commissione di Studio per il riordino degli IT era quello, di “ricostituire il patrimonio di reputazione” perso nel tempo. È evidente che, almeno dopo questo primo quinquennio di attuazione del riordino, l’obiettivo del recupero di reputazione non è stato raggiunto.
Come si spiega questo declino? Vengono spesso denunciati i pregiudizi contro la cultura tecnico-scientifica, i valori della pratica e del lavoro. Ne sono portatori una parte del mondo intellettuale, i mezzi di informazione e i docenti stessi. Il che porta a un sistema di orientamento banale e distorto, che finisce per indirizzare ai tecnici, e ancor più ai professionali, come a un canale di recupero dei meno dotati. Treelle e la Confindustria danno, da molto tempo, una spiegazione più strutturale, imputando il declino a una perdita di identità pedagogica e di governo e propugnando un ritorno alle caratteristiche originarie pre-decreti delegati: governance forte con un consiglio di amministrazione al vertice, dirigenza affidata solo a docenti competenti nelle discipline tecniche (il preside-ingegnere) e con poteri decisionali forti (anche per gli incentivi economici), possibilità del lavoro per conto terzi.
L’indagine, condotta mediante focus-group di presidi e imprenditori, è andata alla ricerca di spiegazioni, mettendo a nudo le criticità interne al sistema, occupandosi principalmente del Settore Tecnologico. I principi e la struttura dei nuovi IT sono sostanzialmente accettati: i nuovi indirizzi, le indicazioni basate su competenze, il monte di 32 ore settimanali, il principio della flessibilità, l’alternanza, i Dipartimenti e il Comitato tecnico-scientifico.
Emergono però alcune criticità dell’impianto:
– si sono persi, rispetto alle sperimentazioni precedenti, due indirizzi, lo Scientifico-Tecnologico e il Chimico Biologico;
– scegliere l’indirizzo già al primo anno è illogico ed è necessario tornare al biennio unico; – le articolazioni degli indirizzi sono difficili da comprendere e rendono complicato l’orientamento e l’organizzazione;
– il tempo per le attività pratiche-laboratoriali è stato troppo ridotto;
– la disciplina Complementi di Matematica è difficile da gestire e crea confusione.
Si denunciano soprattutto le difficoltà di attuazione:
– non tutti i docenti hanno ben compreso l’importanza dei dipartimenti;
– è difficile coinvolgere le aziende nel Comitato tecnico-scientifico e nell’alternanza, per la quale comunque i fondi sono scarsi;
– la didattica per competenze è in gran parte ancora da comprendere;
– è praticamente impossibile tradurre in pratica il principio della flessibilità, come attuazione dell’autonomia, a causa dei vincoli normativi e organizzativi e della struttura delle cattedre.
Queste, in sintesi, le proposte finali del convegno:
– realizzare un piano Nazionale per l’Alternanza Scuola-Lavoro;
– istituire Comitati nazionali di settore per monitorare standard e diplomi;
– rafforzare l’autonomia gestionale introducendo uno statuto speciale;
– aumentare e rendere effettiva la quota di autonomia curricolare, operando anche sulla flessibilità delle opzioni;
– favorire lo sviluppo di Poli tecnico professionali per la messa in comune di risorse.
Qualche osservazione
Ci sono ritocchi che forse il previsto monitoraggio potrà suggerire. Il problema delle articolazioni degli indirizzi è però già un problema strutturale. Alcune di esse sono semplici flessioni, altre veri e propri sub-indirizzi. Esse costituiscono una sorta di flessibilità preventiva che nasce sia dal bisogno dell’amministrazione centrale di impedire assetti imprevedibili, sia dalla sfiducia nella capacità delle scuole di gestire certe scelte. I vincoli all’uso dell’autonomia obbediscono alla stessa logica. È abbastanza evidente comunque che, se fosse accolta la richiesta del convegno di riportare la flessibilità nell’ambito dell’autonomia, le articolazioni potrebbero risultare inutili. Ancora di più se si introducesse il meccanismo delle scelte opzionali offerte agli studenti.
Ma oltre a un’analisi interna del curricolo ne serve anche una quantitativa e qualitativa più precisa sul rapporto fra quello che viene richiesto dal mercato del lavoro e quello che viene offerto. Già i dati dell’osservatorio Eurydice di Unioncamere e di Alma Diploma mettono in evidenza diversi problemi. Accade, per esempio, che le imprese di alcuni settori accordano una scarsa preferenza ai diplomati negli indirizzi ad essi destinati. È il caso dell’indirizzo Informatico che, tuttavia, ha il maggior numero di iscritti. Questo pone un dubbio sui livelli di specializzazione e sulla possibilità di raggiungerli in un percorso a livello secondario.
Riguardo la governance, uno statuto speciale per gli IT, con un passo verso il ritorno alla situazione anteriore ai decreti delegati, non sarebbe un semplice provvedimento amministrativo. Diciamo solo, senza entrare nel dettaglio, che crerebbe un evidente problema di rilevanza politica tutto da affrontare.
Torniamo un momento sul problema del declino. La perdita di iscritti ne è una prova. Ma forse il problema principale è la trasformazione in un canale riservato alle classi sociali più svantaggiate e agli sfortunati di ogni tipo. Addebitare il declino degli IT a un problema di “cattiva stampa” sembra semplicistico. La necessità di un recupero identitario è reale. Ma forse è bene non stancarsi di riflettere sullo stesso modello curricolare e culturale dell’Istruzione Tecnica se vogliamo che questa diventi davvero quella “scuola dell’innovazione” che la Commissione del riordino aveva proposto.
Per approfondire:
Mario Fierli