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Quando il lavoro (non) aiuta a crescere

Pubblicato il: 08/06/2016 18:07:13 -


Studiare il lavoro in un'ottica pedagogica significa guardarlo e valutarlo in quanto esperienza che produce i suoi effetti educativi sulla persona, non solo nel presente, ma anche in una prospettiva di sviluppo futuro.
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Studiare il lavoro in un’ottica pedagogica significa guardarlo e valutarlo in quanto esperienza che produce i suoi effetti educativi sulla persona, non solo nel presente, ma anche in una prospettiva di sviluppo futuro.

“Le esperienze possono essere così sconnesse fra di loro che, per quanto ognuna sia gradevole o anche stimolante in sé, esse non costituiscono un tutto ben saldo. L’energia allora si dissipa e l’attenzione si disperde. Le singole esperienze possono essere vive e “interessanti” e tuttavia la sconnessione fra le parti può generare artificialmente abiti dispersivi, disintegrati, centrifughi. La conseguenza della formazione di tali abiti è l’incapacità di controllare le esperienze future (Dewey, 1938)”.

Così viene marcata da Dewey la lontananza di queste esperienze da quelle che posso essere considerate genuinamente “educative”, da tutto ciò che può accadere, troppo spesso purtroppo, a chi oggi, soprattutto se giovane, si accosta al lavoro. La ricerca UNICO (condotta in collaborazione tra Ministero del Lavoro e Sapienza Università di Roma) ha rilevato che 12.351 laureati presenti nell’archivio delle comunicazioni obbligatorie (il 56% dell’intera popolazione 2008/2009) hanno avuto poco meno di 4 contratti a testa in tre anni, hanno avviato 46.499 rapporti di lavoro, compresi i tirocini, per 498 giornate lavorative sulle 1095 disponibili nel triennio considerato (Renda, Zanazzi, 2016).

Per studiare più approfonditamente il valore educativo dell’esperienza di lavoro, sono state svolte 60 interviste a laureati Sapienza con minimo tre, massimo quattro anni di esperienza lavorativa. Le interviste semi-strutturate hanno avuto come riferimento concettuale proprio la teoria dell’esperienza di John Dewey ed hanno esplorato questi problemi. Quale può essere il contributo di un educatore nel guidare i giovani con elevati livelli di istruzione verso esperienze educative, piuttosto che diseducative? In un momento in cui fare esperienza di lavoro è estremamente importante, come si può valorizzare la qualità delle esperienze, soprattutto per quanto riguarda l’effetto sulla persona e sulla sua crescita intellettuale ed etica? Lo studio delle interviste ha permesso di ricondurre le 60 storie alle nove tipologie, che vengono di seguito presentate.

Gli Invisibili, lavoratori in situazione di estrema precarietà. Alcuni hanno deciso di investire in percorsi formativi post lauream, interamente a loro spese, senza tuttavia trarne alcun vantaggio concreto in termini di opportunità professionali o crescita economica. I loro percorsi professionali presentano livelli bassi di continuità e di coerenza con gli studi e sono caratterizzati da contratti brevi e poco remunerati, limitate possibilità di apprendimento sul lavoro, in ruoli scarsamente definiti e non riconosciuti. Per gli Invisibili il lavoro è più frequentemente fonte di preoccupazioni ed ansie che di stimoli e soddisfazione.

Gli Studenti adulti, laureati impegnati in un percorso triennale di dottorato di ricerca. L’iscrizione al dottorato è stata una sorta di ripiego dopo la ricerca infruttuosa di un lavoro nel mondo delle imprese. Alcuni, infatti, hanno scelto il loro ambito di ricerca dopo aver valutato la domanda espressa dalle imprese per il proprio settore. È possibile ipotizzare che solo una minoranza degli Studenti Adulti avrà la possibilità concreta di intraprendere una carriera accademica. Gli altri dovranno ricollocarsi in altri settori, ma viene naturale chiedersi se tale “ricollocazione” terrà in considerazione gli studi fatti e il livello più elevato di istruzione conseguito.

I Realisti si trovano in una situazione di stabilità contrattuale, ottenuta accettando un compromesso. Nelle loro storie, i sogni e le aspirazioni personali vengono messi da parte allo scopo di ottenere altri benefici, tra cui un contratto di durata più lunga, maggiori tutele, compensi migliori, oppure semplicemente la possibilità di restare nel proprio paese. Pur essendosi adattati ad un contesto non coerente, o non completamente coerente, con i loro studi e le loro aspirazioni, i Realisti mostrano un buon livello di soddisfazione, grazie ad ambienti di lavoro dinamici, attività non del tutto estranee ai loro interessi, condizioni contrattuali convenienti, possibilità di crescita professionale.

Gli Utilitaristi sono impiegati in imprese medio-grandi con contratti relativamente stabili e concrete possibilità di apprendimento e di avanzamento. A differenza dei realisti, che “subiscono” il tradeoff negativo, gli utilitaristi sono naturalmente propensi al compromesso, se questo garantisce loro un’utilità concreta. In questo gruppo la coerenza delle attività con gli studi è presente solo in termini di “area disciplinare”, ma la maggior parte di questi ritiene che le proprie mansioni non siano molto vicine agli studi fatti. Gli Utilitaristi non hanno un grande controllo sui loro percorsi, piuttosto danno fiducia all’organizzazione e ai suoi meccanismi interni.

I Camaleonti sono lavoratori con una caratteristica in comune: l’ecletticità. Hanno un’identità professionale sfaccettata, svolgono più attività contemporaneamente, con diversi obiettivi: pagare l’affitto, costruire relazioni o semplicemente coltivare una passione. Per loro la continuità è una scelta, portare avanti un’attività significa semplicemente dedicarvi tempo ed energie, anche in assenza di un ritorno economico soddisfacente. Mentre alcune delle attività svolte presentano una certa coerenza con gli studi, altre sono molto distanti, ma comunque sono tessere necessarie di “puzzle di vita”, composti con fatica e altrettanta creatività.

I Competitivi mostrano grande determinazione, assertività e sicurezza. Pronti ad assumersi responsabilità, lavorano sodo e, allo stesso tempo, sono consapevoli delle proprie competenze e in grado di farsele riconoscere all’interno degli ambienti di lavoro. In questo gruppo si riscontrano elevati livelli di continuità e di coerenza delle esperienze di lavoro con gli studi universitari. Si può utilizzare il termine “carriera” per descrivere percorsi di crescita non solo umana e professionale, ma anche gerarchica. È possibile ipotizzare che il background socio-economico giochi un ruolo importante nel successo professionale di questi giovani lavoratori, che hanno la possibilità di dedicarsi pienamente e senza preoccupazioni alla costruzione di relazioni professionali e alla propria formazione.

Gli Impegnati sono lavoratori la cui esperienza è caratterizzata da una forte dedizione al lavoro, vissuto quasi come una missione, in quanto rivolto a soggetti svantaggiati. L’attività svolta è coerente con gli studi e presenta un buon livello di continuità, spesso ottenuto accettando compromessi su altri fronti, primo fra tutti quello economico. Per questi giovani lavoratori è fondamentale riuscire a svolgere una funzione sociale che essi stessi considerano estremamente importante. Tutti hanno investito in percorsi formativi post lauream, nella maggior parte dei casi a proprie spese e nel proprio tempo libero: lo sviluppo di nuove competenze o il rafforzamento di quelle esistenti, infatti, è considerato un modo per riuscire meglio a svolgere il proprio ruolo sociale e a soddisfare le esigenze degli utenti finali.

Gli Appassionati sono mossi da una forte passione e motivazione intrinseca. Si tratta di free lance che disegnano attentamente il loro percorso, passo per passo, e sono in grado di guidare le loro carriere. Essi vivono letteralmente immersi nel loro lavoro, anche se con ritorni economici molto bassi, semplicemente perché l’attività per loro è fonte di piacere. Questi lavoratori non sono disposti ad accettare compromessi per ottenere migliori condizioni di lavoro: al contrario, in certi casi sembrano essere imprigionati in quella che alcuni esperti hanno definito “la trappola della passione”, lasciando che il lavoro travolga tutta la loro vita.

I Migranti hanno lasciato il loro paese per cercare migliori opportunità all’estero e attualmente godono di un buon livello di continuità e di coerenza del lavoro con gli studi. Tuttavia, la loro prospettiva professionale è strettamente legata alla disponibilità a stare lontani da casa: nelle loro storie emerge la consapevolezza di essere partiti principalmente per ragioni lavorative, anche se è importante sottolineare che, grazie all’esperienza di vita all’estero, i migranti riescono a sviluppare competenze socio-relazionali ed emozionali importanti.

Solo in uno dei 9 gruppi sembrano esserci le condizioni per un’esperienza educativa in senso deweyano: è il gruppo dei Competitivi, individui che mostrano caratteristiche di determinazione e assertività “superiori alla media” e godono di condizioni socio-economiche particolarmente favorevoli. I Realisti, gli Utilitaristi, gli Impegnati, gli Studenti adulti e i Migranti si trovano in una situazione intermedia in cui crescita e soddisfazione sono in una certa misura presenti, ma pagate a caro prezzo. Gli Appassionati e i Camaleonti sono buoni nuotatori in acque difficili, vivono una vita apparentemente piena di soddisfazioni … tuttavia, nelle loro narrazioni manca equilibrio e senso della realtà. Gli Invisibili, infine, sono il gruppo più numeroso. Nelle loro storie non si riesce a vedere nessuno “stimolo o opportunità per crescere ulteriormente in nuove direzioni” (Dewey, 1938).

I risultati di questa ricerca mostrano innanzitutto i rischi connessi ad una sorta di “retorica della passione” presente nella nostra società. Gli Appassionati, i Migranti, gli Impegnati, i Camaleonti sono, anche se in modo diverso, “intrappolati” in una forma di passione. Mentre la passione, o almeno un forte interesse per il proprio ambito lavorativo, sono certamente fattori cruciali per lo sviluppo dell’agency individuale e della resilienza, è importante che non siano gli unici elementi considerati nella realizzazione di un progetto professionale. Il supporto dato da un professionista ad un giovane laureato dovrebbe essere indirizzato, quindi, verso l’individuazione di tutti gli elementi da tenere in considerazione per la creazione di condizioni concretamente realizzabili, dati i fattori esterni e quelli individuali.

Dopo la laurea e nel corso della vita grande attenzione dovrebbe essere rivolta allo sviluppo e al rafforzamento delle competenze necessarie per svolgere al meglio il proprio lavoro. Mentre è frequente, infatti, sentire superficiali incoraggiamenti ad andare “dove porta il cuore”, è essenziale che il professionista sottolinei ciò che occorre fare prima e durante “il viaggio” per assicurare la riuscita del progetto. Per aiutare il giovane a costruire un progetto professionale, risulta fondamentale anche la conoscenza del contesto, che influisce fortemente sulla natura e qualità dell’esperienza professionale e a volte sulla possibilità concreta di realizzare un percorso. È importante maturare la consapevolezza dell’esistenza di una “struttura” rispetto alla quale occorre prendere le misure, costruire modalità di adattamento e di reazione, sviluppare aspettative coerenti e realistiche. Solo così si scongiura il rischio che le aspettative si scontrino con la realtà, favorendo invece l’incontro tra esse in un rapporto dialogico, in una sinergia positiva e costruttiva, che a volte può addirittura riuscire a modellare il contesto esterno fino a renderlo più collaborativo e partecipativo.

Per approfondire

E. Renda – S. Zanazzi, Una lettura educativa del lavoro che c’è

Silvia Zanazzi

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