L’alluvione di Genova: educazione alla cittadinanza e scienze della terra
L’ennesima alluvione, l’ennesima generazione di genovesi che si apre alla vita civile spalando fango dalle strade e dai negozi della sua città. Un copione tristemente noto e preoccupantemente pronto a verificarsi di nuovo, considerando i malfunzionamenti del nostro sistema amministrativo, e il danno inflitto a un territorio idrogeologicamente fragile. Una voce “originale” si è inserita nelle polemiche successive al disastro: Paolo Villaggio considera responsabili di questo disastro annunciato anche i ragazzi, colpevoli di non aver saputo prevenire: “predicate una città diversa e non la fate”.
Non voglio scendere in polemica con l’attore, ma solo prendere spunto da questa strana accusa rivolta ai volontari, tra cui moltissimi giovani studenti delle superiori, per riflettere sul modo in cui la scuola prepara i giovani italiani alla cittadinanza attiva.
Abbiamo una materia, educazione alla cittadinanza, considerata da molti una finzione, sulla base dell’assunto che non avendo né valutazione né un monte ore proprio non sarà mai svolta. Abbiamo una materia trasversale, assegnata a tutti e quindi a nessuno; di fatto è relegata all’iniziativa degli insegnanti di lettere – onnipresenti – di storia e filosofia, di diritto – là dove sono presenti. Le materie scientifiche non hanno, sembra, nulla da dire ai cittadini; sono rinchiuse in un asettico laboratorio atto a costruire conoscenza.
La vicenda di Genova ci insegna il contrario. Essa è il frutto di un cambiamento climatico che modifica sistemi di venti e piogge; è il frutto di una dissennata politica di costruzioni che non tiene in considerazione la conformazione geologica del territorio, le rocce su cui costruiamo le nostre abitazioni. Si tratta di argomenti (clima e rocce) ampiamente trattati nei programmi di scienze, una materia che ha conosciuto un progressivo allargamento, essendo ormai presente dalla prima elementare alla seconda superiore in tutti i tipi di scuole e continuando nel triennio in molti indirizzi. Ma con quale impostazione?
Le lezioni sono sempre improntate a nozioni generali, con schede che fanno riferimento ai grandi problemi mondiali, ma sono relegate in fondo ai capitoli, stampate in colori e formati particolari, simboli in genere del fatto che possono essere tralasciate: non fanno parte della scienza.
Come faranno allora i nostri giovani a riportare al territorio su cui vivono queste grandi questioni? La Liguria paga l’urbanizzazione degli anni Settanta e una fragilità determinata dalla sua conformazione con colline ripide a strapiombo sul mare, ci hanno ripetuto in tutte le salse i mezzi di informazione nei giorni successivi all’alluvione.
È proprio necessario che i futuri cittadini genovesi imparino queste essenziali nozioni sulla loro terra dalla cacofonia dei giornali dopo che il disastro si è verificato e mentre puliscono stivali e guanti infangati? Non potrebbero impararlo prima, nelle aule di scuola, dai loro insegnanti, in lezioni che parlano dei grandi concetti e li declinano in relazione al luogo dove i nostri ragazzi vivono? Non è quest’aggancio con la realtà il modo per rendere più viva, veritiera e civile la scuola? Non è il contributo che le scienze della terra dovrebbero dare a Cittadinanza e Costituzione?
La scienza oggi rende il cittadino capace di ragionare sulle scelte fatte dagli amministratori, e va ribadito con forza che questa conoscenza è una forma di libertà.
Pongo un’ultima domanda: chi dovrebbe preparare il materiale su cui le scuole poi lavoreranno? Non è ipotizzabile che le case editrici si occupino di Genova, di Sarno, del Vesuvio… delle singole fragilità e caratteristiche che rendono unici i Comuni dove ciascuno di noi vive.
A mio giudizio sono gli enti locali, le Università e gli ordini professionali che dovrebbero preparare opuscoli sui rispettivi territori per integrare i libri di testo, svolgendo così una funzione educante nei confronti delle nuove leve di cittadini.
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Immagine in testata di Urbanpost
Chiara Saracco