Insegnare non basta: la didattica in una prospettiva di genere
Il libro è il prodotto di un’intensa e positiva collaborazione tra scuola e università, che ha coinvolto in numerosi dibattiti e confronti le autrici dei saggi che lo compongono e le molte insegnanti, che hanno esposto e messo in discussione esperienze di lavoro e di ricerca didattica nel corso di un convegno che si è tenuto presso la Facoltà di lettere e filosofia, della Sapienza (Roma, febbraio 2013).
La scuola e l’università sicuramente acquistano una funzione sempre più importante nella formazione di individui autonomi, responsabilmente capaci di vivere con consapevolezza la propria condizione di parità nella valorizzazione della differenza e dei modi di viverla liberamente. I saggi e le esperienze di lavoro didattico rileggono contenuti e valenze educative di fondamentali blocchi disciplinari e, nello stesso tempo, ripercorrono il complesso cammino di quante hanno sottoposto a critica e revisione l’idea astratta di Uomo, che tradizionalmente ha offuscato la ricchezza di un mondo vissuto di uomini e di donne.
Il lavoro presenta un’utile “messa a punto”, un bilancio, in termini di cultura e di educazione, di quella che Hobsbawm ha riconosciuto come l’unica vera rivoluzione del Novecento, la rivoluzione femminista, appunto. Tutti gli ambiti disciplinari sono oggetto d’interrogazione nei vari saggi, dalla cultura filosofico/giuridica, alla storia, alle letterature, alla grammatica, al pensiero scientifico, alla storia dell’arte ecc., e una serie di unità didattiche contenute in forma PPT nel web, cui è collegata una ricca bibliografia, completa un quadro che mette a disposizione della scuola uno strumento accuratamente costruito.
Come si colloca l’approccio di genere in un’istituzione che si confronta con i fenomeni drammatici rispetto ai quali le/i giovani appaiono sole/i, prive/i di punti di riferimento di fronte a carenze affettive, povertà di strumenti comunicativi e relazionali appaganti, devianze, violenze e fenomeni di aggressività e bullismo? Le istituzioni sembrano aver preso atto della difficoltà, ma la risposta è al solito più balbettata che dichiarata: introduzione dell’educazione di genere in tutti i livelli d’istruzione, non come materia a se stante, ma come tematica trasversale a programmi e discipline. Come? Con quali strumenti? In quale modello di scuola? Saper costruire spazi di socializzazione intelligentemente formativa, rispettosa delle bambine e dei bambini, dei ragazzi e delle ragazze che li abitano dovrà diventare il banco di prova per una scuola che non “insegna” soltanto, ma che sostiene processi di crescita e di orientamento verso la vita adulta.
Del resto studi e ricerche recenti dimostrano che, se è proprio nella scuola che ciascuno/a diventa un certo tipo di uomo o di donna, questo avviene nella relazione con i pari e con gli insegnanti che, spesso più o meno consapevolmente, rafforzano o mettono in crisi stereotipi sul maschile e sul femminile, difficilmente estirpabili. È molto importante allora saper rovesciare i termini per cogliere fino in fondo il messaggio che questo libro vuole trasmettere: la differenza non insegna né si insegna, ma la prospettiva della differenza deve divenire la dimensione entro la quale tutti e tutte apprendono a mettersi in gioco e a riconoscere e riconoscersi nell’altro/a, docenti compresi.
Il merito del lavoro è quello di presentarsi come atto di “passaggio del testimone”, che conclude una fase della costruzione del femminile, per e nella scuola, e apre una fase nuova, in cui non basta contare le percentuali di incremento della popolazione femminile o il livello positivo delle performance di questa, ma diviene cruciale la capacità di leggere, di suscitare curiosità e domande, formulare risposte e sviluppare il gusto di crescere apprendendo.
Scheda del libro “La differenza insegna” di Maria Teresa Sapegno
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Immagine in testata di UIL Viterbo
Vittoria Gallina