Robotica creativa per l’inclusione scolastica nella scuola in ospedale
“Nec manus nuda, nec intellectus sibi permissus, multum valet;instrumentis et auxiliis res perficitur” (Francesco Bacone, “Novum Organum”).
La robotica creativa è una disciplina che da cinque anni si è venuta strutturando nell’ambito della didattica “differenziata” della scuola in ospedale.
La scuola in ospedale, che già di per sé è un’istituzione prioritariamente inclusiva, garantisce il diritto al gioco e allo studio dei minori in condizione di malattia, contribuendo al “processo di umanizzazione delle cure”, come tutore di “resilienza” e strumento di “alleanza terapeutica”.
Tale disciplina, come già si può vedere dalla sua definizione, che ci accingiamo a esaminare, presenta elementi d’inclusività che verranno poi sviluppati all’interno della sua metodologia: “È una disciplina di sintesi, che mutua principi e impostazione teorica dalla robotica educativa, da cui deriva. Persegue obiettivi riguardanti il riciclaggio e allo sviluppo consapevole, stimolando la creatività e favorendo lo sviluppo della “persona” a livello trasversale. Sviluppa e potenzia competenze comunicative, comunicative e relazionali, promuovendo l’attualizzazione di stili individuali di apprendimento. Ha valenze transferali e riabilitative ed è utilizzata come facilitatrice degli apprendimenti curricolari”.
La costruzione di robottini creativi attraverso l’utilizzo di materiali di riciclo, prevalentemente elettronici, meccanizzati o non e programmabili o meno, oltre a favorire gli apprendimenti curricolari sottesi alla realizzazione dell’artefatto cognitivo [1] (sviluppo del pensiero logico-matematico-scientifico, con particolare riferimento a discipline come l’elettronica, la fisica e la chimica) favorisce l’inclusione scolastica.
Il tipo di “relazione” che s’instaura tra insegnante che “assiste”, “accompagna”, “sostiene” il bambino nel suo processo creativo si basa su di un tipo di comunicazione (metacomunicativa) centrata sul “fare” e da esso “mediata”, che risulta comunque coinvolgente perché legata all’“atto creativo”, anche se è meno focalizzata sul “soggetto” che, nel caso del bambino malato, non ama mettersi in primo piano, a causa del processo d’ibridazione del sé conseguente all’ospedalizzazione e ai suoi traumi. Inoltre, le valenze transferali proprie del rapporto robot-malattia non sono da sottovalutare.
Il robot, nell’immaginario collettivo, è un “personaggio” che è vissuto, per lo più, come una figura inusuale, curiosa, spesso simpatica e divertente, specie nelle opere destinate al pubblico infantile, che ha – nella sua radice etimologica – un forte legame con la sofferenza, lasciando ampio spazio al manifestarsi di vissuti empatici da parte del bambino malato [2].
La malattia può determinare una “differenza di stato”, temporanea o permanente. Il tipo di malattia emato-oncologica lascia evidenti “segni” della sua presenza sul “corpo”; termini come “rotto”, ”malato”, “guasto” e spesso, nell’utilizzo semantico della nostra cultura, hanno delle valenze simili [3].
Molto probabilmente questa è stata una delle motivazioni per cui il bambino ospedalizzato ha provato piacere a “misurarsi” con la realtà e le sue leggi scientifiche, scoprendo con soddisfazione che tutti i minuscoli pezzetti di oggetti riciclati potevano essere riassemblati creativamente, dando origine a nuove e ulteriori soluzioni creative.
Un altro dato molto importante sull’indice d’inclusività della robotica creativa c’è dato dal fatto che al bambino, tanto più se malato, piace operare su oggetti concreti, in 3D, perché in un certo senso lo “alleviano” dal mettere in primo piano le proprie competenze prassico-motorie, come ad esempio la “motricità fine”, spesso messa a dura prova dall’assunzione di farmaci chemioterapici e cortisonici, nonché dagli interventi chirurgici. Anche il “principio collaborativo” e di “condivisione della responsabilità”, entrambi di matrice costruzionista, sottesi a tale disciplina, contribuiscono a sottrargli un ruolo di protagonismo.
La robotica creativa, proprio per la sua caratteristica di operare sul tridimensionale, ha dato buoni risultati anche con soggetti non vedenti, dimostrandosi propedeutica all’apprendimento del Braille [4].
Di per sé, già la teoria sottesa al concetto di “artefatto cognitivo” concepisce il sapere come qualcosa di modificabile da parte del soggetto conoscente, come qualcosa di duttile e plasmabile che, attraverso gli strumenti dati dalla cultura, come il linguaggio e le tecnologie, può appropriarsene rendendolo a portata delle proprie strutture psichiche. Ciò significa spostarsi di prospettiva, da quella del “docere ” a quella del ”discere”, in un’ottica inclusiva.
Le NT rientrano, sviluppano e potenziano questo quadro teorico, supportando gli artefatti creativi.
Nella nostra esperienza, in particolar modo, si è fatto uso dell’Ide Arduino [5], un microcontrollore, facile da collegare al mondo reale, cui si possono connettere sensori (potenziometri, ecc.) e attuatori (LED, motori, ecc.) e programmarne il funzionamento.
Si è, poi, utilizzato un software del MIT, S4A (Scratch for Arduino), come interfaccia, per programmare storie e animazioni inventate dai bambini sui robottini costruiti. S4A, grazie alla possibilità che offre di selezionare tra una vasta scelta di lingue, rende fruibile il programma anche agli alunni stranieri, promuovendo uno sviluppo interculturale.
Abbiamo così esaminato l’implicarsi di più strumenti prostetici per un unico fine: l’inclusione scolastica.
Ben vengano questi strumenti, al fine di rendere quanto più appetibile e accattivante la didattica, specialmente se ospedaliera, inficiata da spazi e tempi istituzionali di cura, nel rispetto di quella “speciale normalità” che richiede il riconoscimento del bisogno di essere come gli altri e di essere accolto e valorizzato nella propria individualità .
Note:
[1] Un “artefatto cognitivo” è un oggetto o un processo concreto che permette la costruzione di modelli mentali validi, proprio perché su di esso si può operare.
[2] Si veda Online Etymology Dictionary
[3] Si rimanda a: Miceli M., Castelfranchi C., Parisi D., “Verso un’etnosemantica delle funzioni e dei funzionamenti: ‘rotto’, ‘guasto’, ‘non funziona’, ‘malato’”, Quaderni di Semantica, n.1/83, pp.179-209.
[4] Si rimanda ai seguenti articoli:
– Robotica Creativa e disabilità visiva, di Immacolata Nappi
– Robotica creativa, schema corporeo, spazialità: strategie per una didattica per non vedenti, di Immacolata Nappi
– [5] Si veda il sito Arduino
Per approfondire leggi il pdf sul Progetto di robotica creativa
La scuola in ospedale Gaslini di Genova fa parte dei progetti:
– Pinocchio 2.0 (il blog e la pagina Facebook)
– Soave kids
– Segni di Segni
Bibliografia
– Bacone Francesco, “Novum Organum” (1620), a cura di M. Marchetto, Milano, Bompiani, 2002.
-Bruner J.S., “La mente a più dimensioni”, Bari, Laterza, 1988.
– Miato Andrich S. e Miato L., “La didattica inclusiva”, Erickson,Trento, 2012.
– Papert S., “I bambini e il computer”, Rizzoli, Milano, 1994. Papert S., “Mindstorms.
– Bambini, computers e creatività”, Emme Edizioni, Milano, 1984.
– Vigotskij L.S., “Mind in Society: The Development of Higther Psychological Processes”, Harward University Pressed, Cambridge MA, 1978. Riviste
– Miceli M., Castelfranchi C., Parisi D., “Verso un’etnosemantica delle funzioni e dei funzionamenti: ‘rotto’, ‘guasto’, ‘non funziona’, ‘malato’”, Quaderni di Semantica, n.1/83, pp.179-209.
Biblio-sitografia
– Robot in ospedale, di Immacolata Nappi
– Robot in ospedale (2), di Immacolata Nappi
– Robotica Creativa in ospedale, di Immacolata Nappi
– Robotica Creativa: la meccanizzazione degli artefatti, di Immacolata Nappi
– Jura Gentium
– Papert e il costruzionismo
English abstract:
Methods for the inclusion of Creative Robotics within the Hospital: from the making of small robots to their mechanization, programming and graphic animation. Significance on different level of communication.
Immacolata Nappi