Profumo di aranci
Andrea aveva conosciuto la Sicilia nell’inverno del ’68, quando le terre di Gibellina e Salaparuta furono sconvolte da un devastante terremoto.
Con i volontari della Cattolica aveva conosciuto le sofferenze di quella terra, l’impreparazione dei soccorsi, i dolori e le vittime del terremoto e la immediata speculazione che fin dai primi giorni prendeva forma persino nell’accaparramento dei beni che pure arrivavano disordinatamente ma in gran quantità.
E proprio in quel contesto, per la prima volta, aveva sentito parlare di Danilo Dolci e si era ben presto procurato una ampia documentazione sulla sua attività, i suoi saggi scritti, le clamorose azioni di cui era stato protagonista.
Lo aveva colpito la straordinaria originalità di quest’uomo scrittore, poeta, educatore, che aveva fatto dell’impegno civile nella sua Sicilia uno scopo di vita.
Era convinto, Danilo Dolci, che solo una politica limpida nella sua dimensione etica avrebbe potuto fare argine alla degenerazione della politica come affare, come potere, interesse, ovvero come mafia.
Il centro era molto attivo: si occupava dei diritti e delle condizioni dei lavoratori della terra, dei pochi operai che andavano a lavorare a Palermo, delle donne e dei giovani.
Andrea in quel centro aveva incontrato una gioventù nuova, scesa dal nord con grande entusiasmo, con idee rivoluzionarie.
Anche Andrea era stato chiamato a fare la sua parte. In paese infatti il centro aveva accertato che esisteva un certo numero di studenti che erano stati rimandati a settembre. Si decise così di organizzare dei corsi di recupero gratuiti, in aperto contrasto a un noto ma sottaciuto sistema di potere che, con la complicità di taluni presidi e insegnanti, definiva le quote di rimandati per poi “indirizzarli” verso docenti esperti che con le loro lezioni private avrebbero garantito la promozione.
Andrea, fresco di studi, non aveva difficoltà ad aiutare quei ragazzi.
Fu così che Luca, responsabile del centro, lo chiamò un giorno per fargli i suoi complimenti ed annunciargli che era il tempo di “allargare” l’azione. Andrea avrebbe dovuto recarsi a una frazione a tre chilometri dal paese.
Quel pomeriggio Andrea era partito come al solito per raggiungere i ragazzi della frazione. Il caldo era davvero insopportabile forse fu proprio questo che lo portò a girarsi quando avvertì alle spalle il rumore di un auto in avvicinamento. Andrea fece il segno dell’autostop e la berlina scura si fermò al bordo della strada.
Gli uomini a bordo iniziarono gentilmente a chiedere ad Andrea chi fosse, da dove venisse, che cosa facesse. Andrea rispondeva con entusiasmo; raccontava della sua formazione e del suo impegno contro la mafia, le ingiustizie, il malgoverno.
“E proprio qua, da Milano, dovete venire a rompere i coglioni” sibilò uno dei tre con un tono glaciale “A Milano dovete tornare, presto, che qua non c’è bisogno di voi, avete capito?” Altro che un atto di gentilezza, un passaggio casuale. Una intimidazione bella e buona.
Un caldo pomeriggio si presentò una ragazza di non più di sedici anni; una bellezza di quelle che la terra siciliana regala generosamente. Aveva bisogno di un aiuto in latino.
Gli incontri si susseguivano regolarmente e Rosa oramai si tratteneva spesso anche durante le discussioni con tutto il gruppo. Anche lo studio andava davvero bene e i progressi erano evidenti. Andrea provava ormai una forte attrazione per quel volto, quel corpo, quel profumo di aranci che avvertiva anche dopo la sua partenza.
Un tardo pomeriggio, al termine dello studio, Andrea le propose di fare due passi insieme.
Dopo qualche minuto, almeno quattro moto con giovani a bordo iniziarono a chiamare per nome Rosa. Lei si spaventò, prese Andrea per la mano e iniziò a correre lungo il sentiero. Le voci dei giovani erano sempre più vicine: “di qua, di qua, li prendiamo!”.
Solo allora Andrea capì il pericolo in cui si era cacciato.
Appena tornato al centro, Andrea raccontò a Luca dell’accaduto. Luca ascoltò in silenzio e, senza aggiungere altro, “Prepara la valigia”.
Andrea non disse nulla, non poteva dire nulla. Luca fin dal primo giorno era stato chiaro. Se c’era un divieto da rispettare, era quello di non avere rapporti con le ragazze del posto. I problemi che sarebbero nati avrebbero potuto pregiudicare il lavoro di tutto il centro, senza contare i rischi molto alti che avrebbe certamente corso la persona coinvolta in fatti del genere.
Che ne sarebbe stato di Rosa?
Quando salì sul treno che da Palermo lo avrebbe ricondotto al nord, sentì ancora, profondo, il profumo degli aranci.
Estratto da un racconto contenuto nel libro “Educo Ergo sum”, di Dario Missaglia, 2010, Ediesse.
Dario Missaglia