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Politiche e strategie per l’integrazione degli immigrati nel sistema di istruzione statunitense: ep.6 Salt lake city pt.2

Pubblicato il: 27/07/2017 17:31:36 -


Dare a tutti i bambini le stesse opportunità, ottenere il meglio da ciascuno!
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I mormoni si stabilirono nel 1847 a Salt Lake City, che divenne la capitale dello Utah e della Chiesa mormone nel mondo. Lo stato è abitato da circa 4 milioni di persone nel quale quasi l’80% sono fedeli di questa Chiesa.
La città è famosa anche come meta dei pionieri, infatti la più importante vena d’oro delle Montagne Rocciose, che solitamente si associa alla costruzione della ferrovia transcontinentale, venne trovata proprio qualche chilometro a nord.
È proprio nella parte settentrionale di Salt Lake City che visitiamo il Granite School District, una realtà con 68.000 studenti, una delle più grandi del Paese, cui afferiscono 93 scuole di ogni grado.

Fino ad alcuni anni fa’ il resto d’America pensava allo Utah come uno Stato monoculturale, invece da circa 10 anni vengono accolti molti rifugiati, il 69% dei quali vivono in questo distretto. Qui ci sono 25 scuole in cui viene utilizzato il Titolo I, ovvero un contributo federale che garantisce agli studenti non abbienti il pranzo scolastico gratuito, spesso anche la cena e la colazione.
Il Distretto, che somiglia per dimensione e articolazione ai nostri Uffici Scolastici, ha un consiglio eletto direttamente dai cittadini, perché le tasse sulla casa danno diritto al voto anche a coloro che non hanno figli a scuola. Con queste tasse viene offerta l’istruzione obbligatoria gratuita a tutti i residenti.

La direttrice Charlene Lui, la sua collaboratrice Michelle Love-Day e la soprintendente Linda Mariotti, che ci accoglie con qualche parola in italiano, raccontano che per loro il lavoro più significativo è quello di costruire una condizione di parità in partenza per gli studenti. Il nostro collega Luca Agostinetto ricorda subito la frase di Don Milani “non c’è niente di più ingiusto che fare parti uguali tra diversi”. Capiamo ben presto di trovarci a condividere molti presupposti ed obiettivi con le rappresentanti di questo distretto, associato al NAME (National Association for Multicultural Education), che si ispira alle teorie di Gary R. Howard, fondatore del Centro di Ricerca per l’Educazione Multiculturale.

Investono buona parte delle loro risorse nella formazione dei docenti e nellle relazioni dei gruppi classe. Per gli insegnanti promuovono corsi sulla consapevolezza delle relazioni, sul rapporto tra privilegi, potere e differenze; sulla disparità implicita di condizioni di partenza e su come vengono perpetuate. Partendo dall’idea che sia necessario riconoscere la narrazione culturale unica di ogni persona, aiutano i docenti a comprendere gli aspetti storici delle culture di provenienza degli alunni, a riflettere sulle radici dei pregiudizi personali e a capire che nella comunità educante le relazioni precedono l’insegnamento.
I docenti, esposti a una maggiore comprensione di come l’identità culturale influenzi l’insegnamento e l’apprendimento, fanno nascere quello che chiamano insegnamento socialmente responsabile.

L’inserimento iniziale dei giovani studenti migranti avviene presso il Tumaini Welcome Center, una struttura collegata al Distretto, dove fanno dieci giorni di orientamento intensivo per definire i livelli di competenza iniziali. Hanno interpreti e volontari che offrono basi linguistiche e guidano i ragazzi nel nuovo contesto sociale. Questi mediatori accompagno gli studenti nell’inserimento a scuola ma il rapporto continua anche dopo, soprattutto con la famiglia. Da quel momento l’educazione interculturale è una responsabilità collettiva, non solo di chi ha fatto da mediatore. Sabina Banfi a tal proposito cita un proverbio africano che dice “per crescere un bambino serve un villaggio”. Un villaggio in cui tutti devono fare la loro parte.

Ci spostiamo alla Utah International Charter School. Incontriamo Angela Roland, una dirigente dalla lunga esperienza, che è passata anche attraverso insegnamento nelle riserve dei Navajo. Qui non ci sono classi separate, hanno alunni che lavorano insieme ad ogni livello e gli insegnanti si limitano a guidare l’apprendimento cooperativo. L’inglese lo imparano attraverso l’utilizzo della didattica curricolare. Angela si sofferma su un concetto: dare a tutti le stesse opportunità significa contribuire alla crescita personale di ciascuno, ma anche alla crescita di tutto il Paese.

Entriamo nelle classi dove i ragazzi stanno preparando i loro progetti di fine anno. I più piccoli lo fanno con dei cartelloni, i più grandi con una presentazione in PowerPoint. Uno di loro si avvicina curioso, poi orgoglioso ci fa vedere come abbia creato una presentazione di fine anno sulla Ferrari, con tanto di link e video della casa automobilistica italiana.
Mangiamo a scuola: è la palestra che è adibita a spazio mensa, così a fine pasto i ragazzi tirano una grande tenda e si mettono a giocare a basket dall’altro lato. Non si fa una grande attenzione all’educazione alimentare: panini con hamburger o cotoletta per tutti.
Alle 14 le nostre interpreti, Julie Donut e Lucia Mentani, ci invitano a spostarci verso il centro città: dobbiamo incontrare lo staff di un deputato repubblicano. Il nostro colloquio con Gary Webster, portavoce del deputato, non aggiunge molto alle nostre conoscenze in materia di scuola o integrazione. Ci racconta invece come lo Utah sia uno degli Stati con la maggiore crescita economica degli USA. Al contempo il costo della vita è più basso che in altri Stati quindi nell’ambito delle migrazioni interne al paese questa zona è diventata un attrattore. Il tasso di disoccupazione è il più basso degli USA, attorno al 3%. L’economia dello stato si fonda sui servizi finanziari, sull’high-tech, sul turismo sportivo, sulle miniere di rame e di carbone.
Più interessante è invece l’ultimo meeting con la Catholic Community Services of Utah, dove ci accolgono Julianna Potter e Alexx Goeller. Si occupano prevalentemente di minori non accompagnati: ne arrivano circa 600 l’anno. A volte le famiglie separate dalla guerra qui si ricongiungono, a volte per i minori vengono trovano famiglie affidatarie, che possono essere sposate o anche single. Fanno molta solidarietà materiale, tanto che ci coinvolgono nella preparazione di alcuni zaini con accessori scolastici che poi verranno donati. Oltre a questo cercano di superare l’approccio paternalistico con un grosso lavoro di sostegno psicologico ai ragazzi e alle famiglie, con consulenti appositi che le seguono per anni.
Il giorno dopo si parte per Detroit: un altra tappa, un altro mondo.

Fabio Rocco

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