La matematica è un’espressione intrinseca della bellezza

“Ci possono essere allievi che hanno delle particolari difficoltà ma nessuno rimane freddo davanti alla bellezza di talune questioni, anche elementarissime, di matematica: […] chi potrà rimanere indifferente davanti alla fuggevole visione delle sezioni luminose di un cono? Curve di luce che non sono uguali agli occhi ma che appaiono uguali al pensiero” (Emma Castelnuovo).

Difficile, a prima vista, il rapporto tra matematica e bellezza. Soprattutto lo è per chi pone la centralità dell’educazione matematica nella concretezza costruttiva di oggetti, perché vuole evidenziarne le proprietà relazionali, osservando anche ciò che muta e ciò che si conserva nel loro trasformarsi. Sembra più facile supporre che il rapporto tra bello e matematica sia maggiormente evidente a chi confida nella purezza delle formalizzazioni, di quelle astrazioni che si presentano nella loro semplicità con un valore anche estetico, oltre che logico.
Eppure Emma Castelnuovo, che nel rapporto tra realtà e leggi matematiche, tra costruzione e proprietà e, quindi, tra concretezza e senso delle formalizzazioni ha centrato riflessione ed esperienza didattica, vedeva nella matematica un’espressione intrinseca della bellezza: la bellezza della varietà delle forme in natura e quella della regolarità costruttiva dell’opera dell’ingegno umano. È sua l’affermazione precedente a conclusione di un suo memorabile testo di didattica della matematica che “La Nuova Italia” pubblicò nei primi anni Sessanta.

Insegnare il bello è compito difficile, così come lo è insegnare a riconoscere la bellezza. Ma, è compito entusiasmante perché riesce a coinvolgere l’attenzione del giovane che apprende per portarlo a osservare al di là della mera immagine, individuando quelle regolarità strutturali e quelle apparenti irregolarità d’interruzione di ritmo, che del bello sono causa ed espressione. In questa sua ricerca, lei insegnava a comprendere le forme, a partire da quelle naturali, a leggerne l’armonia delle parti, a trasferire questa lettura nell’universo simbolico matematico, quasi interprete sul piano didattico del Galileo del “Dialogo dei massimi sistemi”, quello del libro della natura scritto in lingua matematica.
Da qui l’insegnamento visto come educazione alla scoperta e la capacità di cogliere anche il bello dello stupore del giovane che apprende e scopre aspetti di ciò che osserva; in un certo senso se ne appropria e li conserverà in un processo di apprendimento meno esposto a quella caducità che caratterizza troppo spesso le conoscenze apprese a scuola. Quelle scientifiche in particolare. Le annotazioni sulle osservazioni dei suoi allievi, che Emma Castelnuovo ha riportato nelle sue riflessioni didattiche sono così un’indicazione vissuta, veritiera, sia dei tortuosi e vari percorsi della costruzione dei concetti da parte di un adolescente, sia delle proprietà di un oggetto matematico che emergono diversificate a seconda dello sguardo analitico e selettivo con cui lo si osserva. Sono annotazioni che rinviano ad alunni ormai divenuti adulti, a volte anche con nomi famosi, accomunati nel ricordarla per la grande esperienza di vita e di scienza che quei tre anni di scuola media passati con lei hanno lasciato indelebilmente in loro.

Non solo scienza, non solo matematica, tuttavia. Anche amore per la vita all’aperto, nei suoi soggiorni a Cenci, densi di comunicazione scientifica e anche di rapporto con l’aria aperta, con il cielo stellato, i sassi, le piante e le passeggiate. Soprattutto anche impegno civile e inflessibile coerenza sui principi. La vita l’aveva portata a questo impegno e alla capacità di discernere il bianco dal nero, senza concedere molto alle sfumature di grigio. A questo impegno era stata educata anche dalla drammatica vicenda del tormentato secolo breve: ebrea, sospesa dall’insegnamento pochi giorni dopo aver vinto la cattedra nella scuola media, insegnante durante i primi anni di guerra nella scuola israelitica per gli ebrei cacciati dalla scuola pubblica che Guido Coen aveva organizzato, partecipe dell’esperienza di quei “Corsi integrativi di cultura matematica” che erano, di fatto, un’università clandestina che suo padre era riuscito a realizzare in collaborazione con l’Istituto tecnico superiore di Friburgo; poi nascosta, dopo che la sua famiglia fu costretta dagli eventi a dividersi, in varie case, istituti e ospedali.
Una vita segnata da un’esperienza agli inizi dell’adultità professionale che aveva formato un carattere apparentemente spigoloso, certamente dritto di fronte agli eventi e coerente nel proprio rigore, ma pur sempre pronto ad aprirsi alla dimensione dell’amicizia.

Nel commentare la fine del suo centenario percorso qualcuno ha sottolineato la sua importanza nel mutamento della didattica della matematica, ma ha sorvolato sul contributo da lei dato alla matematica stessa. Quasi limitandone la figura alla divulgazione, quantunque motivata dalla finalità di costruire competenze matematiche solide nei giovani.
Il mondo accademico ha in alcuni casi sottolineato più il suo essere figlia del grande artefice della scuola geometrica italiana, che non i suoi studi e il suo contributo. Il suo è stato invece un contributo di studio precipuamente matematico, non perché a lei s’intitoli qualche teorema, ma per l’aver sciolto la dicotomia tra oggetti astratti e astrazioni di oggetti concreti; quella dicotomia che molti hanno visto come insanabile e che il lavoro di Emma Castelnuovo ha riportato a sintesi, perché sono le prime a costruire il secondo ed è questo a permettere di ritornare a esse in modo più ampio.
Non c’è conflitto tra la geometria dei segmenti, quella dei teoremi matematici e quella dei bastoncini, delle aule scolastiche di una scuola media, se quest’ultima è in grado di educare al rigore logico e condurre a quella multi-concretezza che i concetti formali devono esprimere per essere cognitivamente produttivi.

Correlazioni
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VIDEO – Emma Castelnuovo: insegnare la matematica Lectio magistralis di E. Castelnuovo, Festival della matematica 2007

Mauro Palma