Educazione alle differenze: il punto di vista di un sociologo

Le grandi trasformazioni economiche, sociali e politiche che investono il mondo globale impongono di aggiornare costantemente la nostra riflessione sui destini delle comunità di appartenenza e, dunque, sull’importanza di quelle azioni che prevedono uno scambio gratuito tra gli attori sociali, nonché un servizio pubblico senza scopi di lucro.

Sulla base di questo assunto, il sociologo francese Alain Caillé nel “Manifesto del convivialismo” (2011), riprende le fila di un dibattito di forte attualità formulando una serie di interrogativi ai quali non esita a trovare risposte e che a loro volta suscitano ulteriori interrogativi.
– “Dove” tornano i soggetti una volta che hanno appagato i loro bisogni essenziali e dopo che hanno sperimentato con l’azione le possibilità inscritte nella natura dinamica del desiderio?
– Sempre verso nuove mete, in una spirale senza fine, o piuttosto verso l’“Io che è Noi e Noi che è Io” come vuole Hegel, ovvero nella comunità, modificata dall’intersoggettività e resa dinamica dallo scambio gratuito tra soggetti senza fini di lucro?
– È ancora possibile circoscrivere le comunità nei confini dello Stato-nazione, anche contrapponendosi, ma senza massacrarsi?

Sulla scorta di questi interrogativi fondamentali, dopo le sfide delle grandi ideologie e le “provocazioni” del post-moderno, Caillé concentra l’attenzione sulla “complessità” della natura umana, proprio nei casi in cui essa manifesta tre dinamiche che la rispecchiano:
1. l’appagamento dei bisogni fondamentali;
2. l’esperienza illimitata del desiderio vs. l’etica del limite (“homo oeconomicus”);
3. il ritorno “gratuito” alla comunità, la cui legittimità consiste nell’assicurare a tutti i cittadini, dentro e oltre i confini dello Stato-nazione classico, “le condizioni materiali di un’esistenza di base”.

Come nel suo viaggio di andata, l’individuo della tradizione liberale moderna ha potuto stabilire nella comunità la meta del suo agire economico, basato non solo sull’appagamento dei bisogni fondamentali, ma anche sulla dinamica illimitata del desiderio. Questo limite di fatto lo ha spinto sempre più oltre se stesso, a tal punto che il suo viaggio ha coinciso o con una messa tra parentesi o addirittura con una vera e propria “illusione di fuga” dalla comunità.

Nel contempo, trasformazioni importanti hanno progressivamente investito proprio le identità di quei popoli che si sono riconosciuti per molto tempo nell’idea di nazione. Mentre quest’ultima ha richiesto sempre un “ritorno”, un viaggio verso l’esterno segnato dalla disillusione e dal disincanto.
Negli ultimi decenni una nuova prospettiva universalistica ha preso sempre più campo guardando con interesse al pluralismo religioso e al confronto attivo con le altre culture, dentro e oltre il laboratorio dell’Europa.

La ragione fondamentale che ha consentito una tale maturazione dialettica della soggettività politica è rinvenibile nel fatto che il legame sociale, secondo Caillé, da un certo momento in poi (all’incirca dalla seconda metà del Novecento) non si è più potuto fondare solo sull’utile egoistico, ma soprattutto su un agire intersoggettivo orientato a “un nuovo universalismo”.
Purtuttavia, dopo il 1989, la forte incidenza simbolica ed economica dell’“american way of life” ha cercato a ogni costo di rinforzare l’individualismo sul fronte economico e sociale, a tal punto che la soggettività politica alternativa, sorta dalle lotte emancipatorie del Novecento, ha rischiato di perdere la capacità e la legittimità per compiere il lavoro, tanto indispensabile quanto difficile, di superamento del proprio limite storico verso il futuro; cedendo piuttosto alla tentazione di ritornare a uno stato di natura dove tutti si fanno guerra.

Secondo la proposta interpretativa di Caillé occorre creare le condizioni e i giusti antidoti affinché l’evocazione di un “ritorno” alla natura non generi l’illusione della meta, per questo motivo ancora più prepotente della stessa ipotesi nichilistica.

Per riscrivere il “contratto sociale” su scala globale e in direzione anti-utilitarista, è indispensabile considerare ciascun luogo e ciascuna cultura non come il punto di “arrivo”, ma come il punto di “partenza” verso la conquista di livelli civili di vita, di libertà democratiche e di sviluppo; fuori dai vincoli imposti dalle illusioni delle mete facilmente raggiungibili come il “ritorno alla natura”.

Più la soggettività politica si interroga, non solo sulle mete ma anche sulle effettive condizioni, nonché sulle possibilità di trasformare se stessa in direzione del bene comune, cioè nel mondo e nella vastità delle differenze, più scopre i propri limiti interni e la consapevolezza di non aver trovato ancora niente di solido. Quindi, il convivialismo risulta di fatto ancora tutto da inventare, basandosi su “una radicalizzazione e in un’universalizzazione dell’ideale democratico proposto dal socialismo liberale […] che faccia della democrazia non solo un mezzo, ma il fine stesso della politica” (A. Caillé).

Per queste ragioni il superamento di sé della soggettività politica (come nel caso richiamato dell’Europa), auspicato dal convivialismo, è quello che trova sempre e non trova mai il proprio limite; che si orienta nel mondo senza illusioni giocando al di fuori delle mete del pensiero politico classico, oltre i confini dello Stato-nazione. Proprio in questo suo orientarsi nel mondo la comunità può trovare la sua “ultimità”, non più nella sola dimensione dell’“homo oeconomicus” e nelle relazioni mercantili tra individui, ma soprattutto nei comportamenti e nelle relazioni “senza scopo di lucro” che possono svilupparsi dal basso.

Una siffatta apertura orizzontale della comunità verso altre comunità contribuisce ad aggiornare il dibattito sulla democrazia in prospettiva globale.
Se la democrazia si muove nel tempo e nello spazio, la forma della comunità è come quella di una spirale che si disperde nelle differenze mantenendo il suo centro nel sé collettivo della popolazione mondiale. Solo in questo modo la comunità si ricrea con continuità e partecipa, facendo valere l’etica del dono, contribuendo di fatto alla costituzione di una soggettività ecologica e sistemica costruita attorno a obiettivi comuni.

Se, come ammette Caillé, ogni comunità è destinata a ritornare allo Stato-nazione per riprendere il proprio cammino, il suo “peregrinare” verso altre comunità in una dimensione relazionale riapre la spirale e di fatto rimette tutto in circolo, per consentire una rinascita continua delle comunità in un ambiente ecologico globale che si rifà continuamente, in cui ogni individuo si disperde per ritrovare ancora nell’altro ciò che gli è ignoto.

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Riccardo Roni