ClanDESTINI (trentaseiesima puntata)

Il Chiller Bianco vide la pala del fico d’India accanto alla sua testa frantumarsi e cominciò a ripiegare verso gli alberi.

Si nascose dietro un tronco, depose a terra la balestra e si scompigliò i folti capelli ricci, mentre osservava attentamente la vegetazione circostante. Riconobbe, da intenditore appassionato, che il boschetto era dominato dal leccio e dalla roverella, cui si associavano l’alaterno, il terebinto e il bagolaro. Doveva essere un posto col microclima piuttosto piovoso, perché vedeva che quel boschetto confinava lungo la strada con piante di Orniello, Carpino nero ed Acero.

Un bel rifugio. Poteva stare tranquillo coperto dalla difesa offerta dai tronchi e sorvegliare che nessuno armato di pistola s’avvicinasse dalla parte della curva.

In quelle occasioni gli veniva sempre in mente quel dialogo di Sergio Leone, che Cascio Ferro gli aveva parafrasato per criticarlo “Attento, quando uno col coltello incontra uno con la pistola, quello col coltello è finito.”

C’erano momenti che il suo capriccio gli pesava, ma non aveva mai ceduto e se l’era sempre cavata alla grande, ora non era certo un ragazzino soldato che poteva impensierirlo, anche se aveva avuto la buona idea di rovesciare l’Ape sul fianco per ottenere un riparo.

Un’altra pallottola distrusse inutilmente la base del fico d’India lungo la strada. Il Chiller bianco sorrise e si sfiorò il panciotto attrezzato con sedici coltelli da lancio, un panciotto che spesso gli aveva funzionato da presidio antiproiettile.

Riprese la balestra con i dardi e studiò la possibilità di penetrare le lamiere della motocarrozzetta.

Aveva certo colpito due ragazzini, a parte la suora, ma doveva esser sicuro della morte del negro, perché quella era la missione.

Non aveva fretta, se l’aveva preso sarebbe morto dissanguato; stava pensando, un’altra volta, di avvelenare le punte delle frecce, per perdere meno tempo.

Dunque, un ragazzino era con la suora, ce n’era un altro che non era stato nemmeno ferito, sperava non fosse il negro.

Una terza pallottola colpì, lontano da lui, i fichi d’India. Bene! Se aveva solo un caricatore, come gli avevano detto, di lì a poco poteva farla finita avvicinandosi all’Ape.

Lanciò due dardi per dare una mossa alle pale dei fichi d’India e fu contento di fargli sprecare ancora un’altra pallottola. Quattro colpi.

Per pura prudenza da professionista si guardò intorno, dalla parte della curva i tronchi degli alberi erano radi, solo le chiome si congiungevano a intessere una specie di tettoia. Non c’era nessuno. Il soldatino doveva essere rimasto lì a sparare i suoi ultimi colpi e presto proprio dietro l’Ape sarebbe morto assieme agli altri. Poi avrebbe buttato l’Ape coi cadaveri a mare e tanti saluti.

Lanciò un dardo sul serbatoio e fece centro. Il combustibile infiammabile cominciò a uscire e a disegnare una pisciatella sull’asfalto, che guadagnava terreno. Preparò un dardo incendiario e l’accese. Mentre prendeva la mira avvertì il vento muovere le fronde sopra la sua testa. Poi sentì il colpo che gli ruppe le gambe e vide a malapena, sconvolto dal dolore, la sagoma di un maledetto piccolo negro che si protendeva a tirargli i capelli ed a toccargli la gola con leggerezza. Anche lui aveva spesso cercato la carotide con il coltello. Non riuscì a tirarsi in piedi, morire per un colpo d’arma bianca, proprio lui…

***

Kamal, il braccio al collo, s’era avvicinato aggirando il Chiller dalla parte della curva. Quando lo vide a terra con Didier padrone della situazione, percorse correndo l’ultimo tratto con la pistola spianata. Il bambino soldato gli sorrise.

“È finita?” chiese il magrebino.

“Morto.” rispose semplicemente Didier.

Kamal si sistemò il braccio ferito sulla tracolla fatta col lembo della tonaca di suor Annunciazione. “Ma tu come hai fatto ad avvicinarti, Questo tratto è allo scoperto.”

“Hai fatto male a muoverti, io stavo tranquillo. Dovevi rimanere a proteggere i nostri amici feriti.”

“Erano terrorizzati. Non potevo rimanere ad aspettare di morire e vederli morire, a volte ci si difende attaccando. Totuccio non è ferito, la freccia ha colpito la pompa portatile della chemio e non gli ha fatto niente. La suora ha una freccia nella spalla ma si è spezzata l’asta da sola, come ho fatto io con la mia. Non sanguina più quasi per niente. Deve farle male ma si è occupata di me e di Totuccio.”

“Tosta!”

Kamal fece una smorfia. “Merito del tempo che ha passato in Africa!” verificò che il Chiller fosse morto davvero e guardò l’altro ammirato “Ma tu qui… come hai fatto a sgozzarlo? Con un coltellino svizzero, poi!”

“La gente non sa cosa può diventare un’arma. Basta poco per morire, lo so bene. Per questo non credo che me la caverò.” sospirò “Mi sono avvicinato in silenzio e gli sono saltato addosso dall’albero. Lui guardava di sotto, ti avrebbe visto tra i tronchi, ma io sono passato di sopra, non ci crederai ma è merito di una storia raccontata dalla maestra… La guerra poi mi ha insegnato a muovermi senza far rumore.”

“Ti ha insegnato a uccidere, per fortuna nostra.”

“Volevo dimenticare certe cose, quando ero un assassino che preparava addirittura gli altri ad uccidere. Avevo cominciato ad essere un altro, si vede che non m’è concesso. Vi stava ammazzando, ci avrebbe ucciso tutti. Ho fatto il giro dalla curva. Mi so muovere silenziosamente anche sugli alberi, come il barone rampante di quella storia! Qui non c’era altro modo.”

Guardarono il morto annegato nel suo sangue e si guardarono negli occhi. “Non li facciamo avvicinare, sembra un film dell’orrore splatter.”

Didier annuì. “Sì, certo, mi fa sempre impressione vedere quanto sangue esce da una ferita… non voglio che lo vedano… Andiamo da loro, so come si tira fuori una freccia, se non è vicino al cuore. Prima lei, poi te.”

“Ecco la punta dev’essere come questa” disse Kamal “Se non si sono rotte le bottiglie sul retro della moto ho visto una cassetta che contiene whisky. Disinfetta e riduce il dolore…”

Didier annuì. “Meglio di niente.”

“Dobbiamo toglierle la tonaca e metterla a torso nudo. Una volta ho dovuto farlo con mia madre… E da noi è brutto come per una monaca, ma aveva dentro la schiena una scheggia…”

“E se la portassimo alla scuola ospedale, dal dottor Gemito e dagli altri?”

“È lontano e poi come spieghiamo questo pazzo con le frecce? E poi ci prenderebbero. Sentiamo che dice… Facciamo decidere a lei.”

“Quella è tosta!”

“Per me si fida di noi e ce lo farà fare, vediamo di tenerla coperta e di non spiare…”

Kamal scosse la testa preoccupato e osservò ancora il cadavere. “Guarda che bel panciotto pieno di coltelli da lancio! Io me lo prendo!”

Didier lo guardò indifferente e si asciugò le mani sporche di sangue sul vestito del morto “Andiamo da suor Annunciazione e togliamoci questo altro impiccio! Prima col whisky ci dobbiamo lavare le mani.”

“E non lo beviamo, da bravi bambini.” Sorrise Kamal mentre sfilava il panciotto dal corpo insanguinato del Chiller bianco. “Sarà anche un omaggio all’Islam.”

(continua)

(La storia di ClanDESTINI è frutto della fantasia degli autori: qualsiasi riferimento con la realtà, fatti, luoghi e persone vive o scomparse, è puramente casuale).

TUTTE LE PUNTATE PRECEDENTI



IL CALENDARIO 2012
Di Lidia Maria Giannini, studentessa. Dono per tutti i lettori e le lettrici di Education 2.0.








Calcerano e Fiori: il viaggio di Didier, un video riassunto che svela scenari inediti sulla storia di Clandestini

È in libreria “Teoria e pratica del giallo“, la nuova fatica di Luigi Calcerano e Giuseppe Fiori per le stampe di Edizioni Conoscenza.

Qui le modalità per l’acquisto del libro.

L’intervista agli autori, Il giallo d’appendice


La video presentazione di Luigi Calcerano e Giuseppe Fiori, Un giallo prezioso: ClanDESTINI


Luigi Calcerano e Giuseppe Fiori, narratori e saggisti, vivono e lavorano a Roma. Hanno scritto insieme numerosi romanzi polizieschi. Per ulteriori informazioni si possono consultare:
http://it.wikipedia.org/wiki/Luigi_Calcerano

http://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Fiori_(narratore)

http://www.luigicalcerano.com

http://www.giuseppefiori.com

Calcerano e Fiori