Morire tra i banchi
Il racconto. Blu (Valentina Romani) e Antonio (Leonardo Pazzagli), frequentano una terza superiore di un liceo di provincia (Udine). Sono quegli studenti che, pur appartenendo a una classe, non fanno parte di alcun gruppo, stanno per conto loro. “Buono come il pane”, un po’ ruvido e chiuso, eterosessuale, Antonio è accettato dai compagni solo perché sa giocare (molto bene) a basket. Blu (quando la conosciamo è in biblioteca, per un turno punitivo, per aver litigato con tre compagne invidiose che le hanno dato della “troia”), è disinibita, ribelle e innamorata di Giò (Eugenio Franceschini, lo incontreremo nel prefinale). Si muove in motorino e lo spettatore segue, spesso, in over, il suo diario in cui parla della sua adolescenza (“a sedici anni la vita fa schifo”), rivolgendosi a una futura se stessa adulta.
In classe, un giorno, arriva Lorenzo (Rimau Grillo Ritzberger), da un’altra città (Torino), adottato da una coppia senza figli. È dichiaratamente gay e lo manifesta provocatoriamente, con sottile autoironia, sin dal primo giorno di scuola. È anche per reagire alle offese e ironie dei compagni contro Lorenzo, che Blu, sua compagna di banco, lo ascolta; poi si avvicinerà anche Antonio. Tra i tre nasce una vera amicizia. Reagiscono al branco – che scrive sui muri “gay” e “Blu troia”-, via web, con fine ironia, attraverso la forza dirompente di Lorenzo (con un piccolo tg- parodia). Sottofinale: Lorenzo s’innamora di Antonio che a sua volta (nel frattempo) si è innamorato di Blu, la quale, naturalmente, è (ancora) innamorata del suo ragazzo. Antonio, baciato sulle labbra da Lorenzo, non accetta i sentimenti omo che sente pulsare dentro di sé; non regge al fatto che a scuola Lorenzo mostri pubblicamente il suo affetto verso di lui. Nel frattempo, Blu ha scoperto che Giò non l’ama. Anzi, che nella festa di fine anno scolastico precedente, Giò (tornato per le vacanze, ora le mostra il filmato come “ricordo”) l’ha fatta abusare, in un momento di debolezza della ragazza (qualche spinello e un po’ d’alcol, immaginiamo) dai suoi tre amici.
La scena finale è di Antonio. Una mattina entra in classe, si dirige verso Lorenzo, che gli sorride, e gli spara con la pistola del padre metronotte. Un colpo con il quale, oltre a spegnere per sempre la gioiosa vita di Lorenzo, s’illude d’uccidere la sua verità interiore e di mettere a tacere chi fuori – i compagni omofobi – è pronto a ucciderti con le parole oppure “premendo” un grilletto.
Ma il regista, offre un secondo finale, con l’happy end (il primo esempio di doppio finale si deve a F.W. Murnau, nel 1924). Si riavvolge la pellicola sul penultimo episodio, il bagno dei tre al fiume: qui l’approccio di Lorenzo verso Antonio si ferma prima del gesto intimo che “turberà” Antonio. La voce over di Blu commenta, “se si fosse aspettato non sarebbe finita così”.
Ivan Cotroneo parte da un soggetto (a sua volta tratto da un suo romanzo) da nomination e ci consegna un film (sceneggiatura e regia) costellato delle astuzie del debuttante (con, tra l’altro, scoperti omaggi a Jules e Jim di Truffaut e L’età acerba di A. Techiné), quali montaggio corto, camera agitata, fusione di generi (musical, commedia romantica e tragedia) e tecniche (riprese dal vero, animazione digitale).
La scuola filmata. L’effettiva vita scolastica è assente. Vediamo una breve sequenza in cui la preside è tratteggiata in un atteggiamento incerto di fronte all’omofobia; una prof d’inglese che si becca un gratuito “stronza” dal padre di Lorenzo (nella vita reale è denuncia secca: ma in sala la platea ride). Per la didattica, stessi luoghi comuni: l’unica prof cui è concesso qualche secondo di lezione è, ovviamente, quella di lettere: legge Dante senza commentarlo (neanche all’università); in un’altra scena fa dei complimenti a Lorenzo per un tema ben scritto, su Petrarca. Blu, scoperto che la madre la usa per un suo blog, lascia la classe come una furia, afferrando il casco, neanche uscisse da un bar. Tutto qui. (Rimpiangiamo Vigo, Truffaut, Zurlini, Luchetti e Cantet).
Le sole “lezioni” cui assistiamo sono le partite di basket, tra l’altro in una palestra super professionale (che i nostri istituti, ci auguriamo, avranno negli ultimi trent’anni del secolo XXI). La classe è semplicisticamente manichea: tutti contro i tre. Sappiano che in una classe vi sono diverse graduate posizioni psicosociali su un determinato fatto o situazione.
Composizione familiare. I genitori adottivi di Lorenzo sono “super-normali”: lui operaio in fabbrica, lei commessa di supermercato. Sorprendente, però, che esibiscano un livello linguistico alla Woody Allen (inclusa l’ironia), e incoraggino, da perfetti engagé, l’uso della marjuana. Antonio, e i suoi genitori, stanno elaborando ancora il lutto del fratello maggiore, dominante estroverso solare, deceduto in un incidente d’auto. Come porlo, narrativamente, in relazione con Antonio? Semplice: usando il surreale hollywoodiano: i due fratelli (il vivo e il morto), all’occasione, conversano affrontando i problemi di Antonio, nella cameretta di quest’ultimo. I genitori di Blu? Naturalmente in crisi e assenti (forse la coppia più credibile).
Qualche perplessità e alcuni limiti. A che pro un finale alla Tarantino-Gus Van Sant? Perché il “doppio finale”? Perché solo basket? Perché un’assordante colonna di brani americani pop? Per vendere meglio all’estero? Il limite principale di Un bacio è un’aporia estetica: la bravura degli attori (su tutti il padre di Lorenzo) con indosso personaggi credibili a metà (tra l’altro, ventenni che recitano degli adolescenti: questo lo faceva l’Hollywood classica) dentro una sceneggiatura, lo abbiamo anticipato, almeno disomogenea. Un gay sedicenne, soprattutto a scuola, non sarà mai estroverso e “aggressivo” come Lorenzo (verosimile, quella recitazione, per un personaggio adulto). Antonio risulta troppo prevedibile. Blu, che esordisce come enfant terrible (da sola contro la classe; “i prof sono tutti stronzi”, ecc.), ragazza estremamente matura, non possiamo scoprirla, a racconto quasi finito, legata ad un ragazzo immaturo che l’ha brutalmente usata e fatta violentare, per il solo scopo di motivare un finale “a sorpresa”. Per giustificare la cadenza non friulana di Blu le facciamo dire di aver vissuto “4 anni a Trastevere”.
Un capolavoro? Se sul versante estetico il film appare ondivago (dimenticavamo gli stucchevoli inserti di “videoclip” dadaisti alla Pierre Albert-Birot: i sogni ad occhi aperti di Lorenzo), da un punto di vista etico è abilmente costruito: con il suo forte, indiscutibile, messaggio antiomofobico e di denuncia contro la violenza sessuale. Per tale struttura anfibologica Un bacio, film da vedere, ha tutto il diritto di essere scambiato per un capolavoro.
Voto: 6 (contenuto 7; forma 5).
Eusebio Ciccotti