Pratiche didattiche e linguaggio dei docenti
Sebbene chi scrive abbia alle spalle molti anni di insegnamento, con sorpresa confessa di osservare costantemente l’incapacità di fare autocritica della maggior parte dei docenti. Esiste nella scuola un gergo condiviso tra insegnanti, che si potrebbe definire lo scolastichese, fatto di luoghi comuni (sulla valutazione, sulle prove Invalsi, sui giovani di oggi che non hanno voglia di studiare, ecc.), un gergo che spesso nasconde l’imperizia di chi lo usa. Un linguaggio parlato nelle scuole e usato con l’intento di non fare seriamente autocritica per affrontare i problemi e cercare soluzioni, ma come ulteriore tentativo, soprattutto nelle scuole di periferia, per giustificare e archiviare le problematiche interne, spesso causate da impreparazione nella didattica delle discipline.
Conoscere una disciplina è risaputo, non significa saperla insegnare, considerato che nella scuola italiana sia l’università sia il sistema di reclutamento non preparano all’insegnamento. Numerosi sono stati i tentativi di strutturare le modalità di inserimento dei giovani laureati nel mondo della scuola, tuttavia, ad ogni cambio di governo, le regole sono cambiate (Sissis, TFA, ecc.) e così di strutturato rimane ben poco, come in un continuo gioco dell’oca, si riparte dalla casella zero.
La domanda è: oggi quali dovrebbero essere le competenze di un docente?
La risposta è innanzitutto la conoscenza della propria disciplina, per la quale basterebbe quanto certificato dall’Università, anche se la pratica smentisce un dato certo (vedi modalità dei concorsi).
Alla conoscenza disciplinare andrebbero poi aggiunte, tra le competenze dei docenti, la competenza didattica e la competenza relazionale, altrettanto importanti.
A supporto di quanto appena indicato si richiamano i dati dell’osservazione, fatta nel 2014 dalla Fondazione Agnelli e dall’Invalsi, delle pratiche didattiche di oltre 1.600 insegnanti di italiano e matematica in V primaria e I secondaria di primo grado. Una osservazione che ha permesso di analizzare le strategie didattiche degli insegnanti; la loro gestione della classe; il sostegno, la guida e il supporto che ciascun insegnante dà ai propri allievi, come classe e personalmente; il clima in classe e le modalità con cui gli insegnanti gestiscono la dimensione sociale ed emotiva dell’apprendimento[1], basandosi su un quadro di riferimento teorico ampio, che tenendo conto di indagini in ambito internazionale con diversi strumenti di analisi (questionari) e di osservazione (check-list e scheda di osservazione), ha permesso di caratterizzare gli effettivi processi e le concrete dinamiche di insegnamento.
Le strategie didattiche, in una scala di priorità sono fondamentali, esse puntano ad analizzare l’utilizzo da parte dell’insegnante di tecniche in grado di incoraggiare il ragionamento degli studenti, sollecitandoli ad esplorare le proprie conoscenze. Le strategie messe in campo dai docenti mirano ad aiutare lo studente a riflettere sulle proprie strategie di pensiero e di ragionamento. Il ruolo dell’insegnante è di sollecitare l’autonomia dello studente nel pensare.
Ripensandoci forse quarant’anni or sono anche i docenti di allora puntavano a suscitare negli alunni, autonomia di pensiero e osservando le classi di un tempo e gli adulti che ci sono oggi, molti dei nostri docenti sembrerebbero essere riusciti nell’impresa.
E’ importante osservare le attività degli insegnanti ed altrettanto importante è osservare la coerenza nel sistema scuola, fatta non di affermazioni (scolastichese) ma di modelli credibili, altrimenti il rischio sarà sempre lo stesso, guardare il dettaglio, perdendo di vista l’insieme.
La classe di studenti di quarant’anni fa non esiste più e non può essere paragonata alla classe di studenti del 2023.
Purtroppo alcune cose nella pratica quotidiana non sono ancora cambiate, nonostante le indagini, i corsi di formazione, ecc. come la cattedra posta sopra la pedana e in posizione frontale proprio davanti alla lavagna. Dimenticavo la lavagna oggi è digitale e gli alunni siedono di fronte alla professoressa sui banchi a rotelle, anche se i banchetti colorati risultano essere scomodi durante una versione di greco, perché il Rocci si sa ha sempre le stesse dimensioni e gli alunni per tradurre consultano ancora il mitico vocabolario!
Lo scollamento generazionale e la scelta di pratiche didattiche “superate” vengono attribuiti per certi aspetti all’età media dei docenti italiani, che è la più alta in Europa.
Eppure anche i giovani docenti italiani, soprattutto, quelli che frequentano i licei appaiono vecchi nelle metodologie didattiche utilizzate, nelle strategie individuate, insomma, nell’idea di scuola che trasmettono ai ragazzi, sarà forse un problema di contesto o di scarsa valutazione? Se i docenti, infatti, valutano gli studenti per certificarne la crescita culturale, chi valuta i docenti? E poi a cascata chi valuta i dirigenti?
Il DPR 80 del 2013 forse sarà andato in pensione o più semplicemente la valutazione vale solo per gli studenti e quindi chissà stiamo assistendo alla supremazia dello scolastichese che fagocita, consapevolmente o inconsapevolmente, quanto di bello e formativo ci possa essere nella valutazione scolastica[2].
[1] LE STRATEGIE DIDATTICHE IN ITALIA N.0 Scopi e metodologia di una ricerca innovativa, 2014
[2] https://www.invalsiopen.it/valutazione-per-apprendimento-caratteristiche-finalita/
Sebastiana Fisicaro Già dirigente tecnico. Formatrice per Invalsi e Indire. Coordinatrice Rete SOPHIA 3.0.