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Un’esperienza di valutazione nel Regno Unito

Pubblicato il: 15/06/2015 16:24:19 -


Il disegno di legge “La Buona Scuola” ha riportato alla ribalta la discussione sulla valutazione degli insegnanti. Qui parlo del sistema di valutazione nel Regno Unito, di cui ho esperienza diretta per aver lavorato lì quasi otto anni.
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Il disegno di legge “La Buona Scuola” ha riportato alla ribalta la discussione sulla valutazione degli insegnanti. Qui parlo del sistema di valutazione nel Regno Unito, di cui ho esperienza diretta per aver lavorato lì quasi otto anni. Spesso, a proposito o a sproposito, si tirano in ballo i sistemi scolastici esteri per sostenere le posizioni più varie sull’argomento. Nel sistema inglese, si è valutati dalla scuola in cui si lavora principalmente in tre modi: osservazione diretta in classe, analisi dei risultati e valutazione degli standard professionali.

In classe, normalmente con un po’ di preavviso, ci osserva un collega con responsabilità di dipartimento o di scuola, che prende appunti su ciò che vede e fornisce feedback successivamente. Essere osservati è parte dell’esperienza normale per un insegnante in UK. Avviene di norma due o tre volte durante l’anno, ma non c’è un limite legale al numero di osservazioni.

Riconosciuto un po’ d’inevitabile stress, essere osservato e osservare altri è una delle esperienze più formative che ho avuto. Vedere la propria lezione con altri occhi, spiegare la logica dietro ciò che si fa e discutere i pro e i contro delle proprie scelte è un modo formidabile di migliorare come insegnante. Questo, chiaramente, richiede un buon osservatore: criteri eccessivamente rigidi o osservatori superficiali possono decisamente rovinare l’esperienza. Nel Regno Unito la valutazione degli studenti è standardizzata: gli esami legali sono test scritti che, resi anonimi, sono corretti altrove. I risultati di questi esami e dei test interni della scuola sono utilizzati per monitorare i progressi della classe, dell’alunno, dell’intera scuola, chiaramente tenendo conto della situazione di partenza degli studenti.

Prima di approdare nel Regno Unito avevo un’esperienza molto ridotta della valutazione e mi sentivo abbastanza insicuro in questo aspetto del lavoro. Quello che ho imparato mi aiuterà sicuramente nel resto della mia carriera – e aiuterà i ragazzi ai quali insegno. Tuttavia, ci sono anche dei rischi importanti. L’ossessione per i risultati “oggettivi” falsa la prospettiva e mette a rischio l’etica professionale: scuole e insegnanti rischiano di compiere scelte che non sono nel migliore interesse dei ragazzi soltanto per proteggere “i risultati”.

Per di più, l’idea che l’insegnante è il principale responsabile dei risultati toglie responsabilità agli studenti, oltre a ignorare le disparità sociali di partenza e, in qualche modo, ad assolvere chi le dovrebbe affrontare. Infine, la pressione abnorme sui risultati innesca una serie di pratiche burocratiche volte soltanto a “coprirsi le spalle”: si riempiono pile di fogli per analizzare i risultati, improvvisandosi statistici o avvocati di se medesimi; si versano fiumi d’inchiostro sul lavoro dei ragazzi per dimostrare che abbiamo dato loro abbondanti feedback; si redigono dettagliati piani d’azione semplicemente per dimostrare che stiamo facendo qualcosa.

Una volta l’anno, in uno o più colloqui, un collega valuta la mia pratica confrontandola con i Teaching Standard: una lista di atteggiamenti, abilità e azioni che il sistema d’istruzione si aspetta dall’insegnante, lista che è pubblica e accessibile a tutti.
Alla fine, si concordano tre obiettivi professionali per l’anno successivo. L’attuale governo inglese ha legato a questo processo gli avanzamenti di stipendio.

Ho trovato questo processo positivo e significativo: è utile riflettere con qualcuno su dove sono e dove voglio andare come insegnante e, di solito, mi è permesso di scegliere obiettivi professionali che ritengo utili e interessanti. Il punto su cui sono più dubbioso è l’aspetto economico. Pur accettando che, ai fini dell’avanzamento stipendiale, debba essere valutato positivamente il mio operato, tuttavia, in un’era di tagli, le scuole e i governi potrebbero usare questo processo per risparmiare soldi, decidendo a priori quanta gente può “passare” e questo, secondo me, sarebbe improprio.

Cosa mi ha insegnato la mia esperienza, in termini di valutazione insegnanti?
Primo: per quanto nessuna valutazione sia perfetta, essere valutati è meglio che non esserlo. La valutazione mi ha permesso di capire i miei punti di forza, di giocarmeli al meglio, e di progettare la mia crescita professionale. Mi ha anche aiutato ad apprezzare i punti di forza dei miei colleghi e a intrecciare relazioni di mutuo sostegno con loro. Ha creato intorno a me ambienti in cui le persone si sforzavano di migliorare e di condividere i propri punti di forza. Questo dà significato e profondità al nostro percorso professionale e si traduce in un’esperienza migliore per i ragazzi.

Secondo: può essere un processo positivo, date determinate condizioni. La valutazione può avvenire bene e far bene alla scuola se c’è una cultura professionale che è difficile da imporre per legge. Serve la disponibilità a essere valutati, ma anche, dall’altra parte, la capacità di ascoltare, di assumere la buona fede del collega e di cogliere la complessità delle situazioni.

Serve il giusto equilibrio fra criteri “oggettivi” e rispetto della soggettività: identificare aspetti osservabili che ci permettano di capire se stiamo lavorando bene e, allo stesso tempo, riconoscere il limite e l’approssimazione di questi aspetti osservabili per poterli usare in modo efficace.

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Immagine da Connected principals.com

Marco Martinelli

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