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Il merito dei docenti

Pubblicato il: 09/02/2017 10:38:41 -


La valutazione dei docenti ieri e oggi.
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La valutazione dei docenti c’era già, si chiamava “merito distinto”, un concorso bandito dal Ministero, facoltativo, esterno alla scuola, per chi avesse maturato una certa anzianità di ruolo, che produceva miglioramenti stipendiali permanenti nel corso della carriera.

C’erano altresì le “note di qualifica”, come per gli altri dipendenti pubblici, che andavano dall’ottimo all’insufficiente e solo in quest’ultimo caso potevano recare danni alla retribuzione. Da un lato un modo per premiare il merito, traendone perlopiù l’aspetto culturale, dall’altro uno spauracchio per chi non era ritenuto all’altezza, magari a seguito di segnalazioni esterne.

Tutto questo fu cancellato con lo stato giuridico del 1974, all’insegna di una scuola più democratica e partecipativa, dove la carriera procedeva in base all’anzianità, senza fughe in avanti; eventuali sanzioni venivano comminate dall’amministrazione scolastica, con un esame collegiale del contenzioso: i consigli di disciplina legati ai Consigli Scolastici Provinciali e al Consiglio Nazionale della P.I. Un comitato di valutazione, composto da docenti dell’istituto, presieduto dal preside, valutava la carriera dei docenti a domanda ed il periodo di prova per le immissioni in ruolo. Per tutto questo tempo la situazione è rimasta sostanzialmente inalterata pur passando attraverso il periodo delle contrattazioni sindacali.

Si voleva uscire da una visione impiegatizia e un po’ paternalistica per andare verso l’autonomia professionale; in tale contesto i docenti erano convinti di acquisire più potere sui destini della scuola, non tanto pensando a posizioni individuali, ma secondo un’ottica collegiale.

Man mano che passa quella generazione si fa strada una visione più tecnocratica dello stesso servizio scolastico, su di esso vengono a gravare influenze esterne, da parte del mondo del lavoro e dei processi di internazionalizzazione, che enfatizzano concetti di qualità e di competitività, introducendo strumenti meritocratici e selettivi. Un dibattito iniziato nel nuovo secolo che però è rimasto ancora per molto tempo senza ricadute sul piano della valutazione.

La legge 107 ha cercato di applicare concretamente questo principio diffuso più nell’opinione pubblica che nella categoria, introducendo il bonus, con tutto l’apparato che lo accompagna, ma essendo destinato al personale di ruolo ha colpito soprattutto quei docenti della generazione che aveva sventolato la bandiera della partecipazione, poco sensibile alla competizione nella scuola pubblica; solo gli ultimi assunti, dicono le ricerche, si dimostrano più sensibili ad incentivare in termini monetari comportamenti virtuosi nella professione.

Quest’ultima normativa ha sorvolato su numerosi problemi ancora aperti nell’iter valutativo, senza dare sicurezza praticamente a nessuno e ritenendo in maniera un po’ presuntuosa che alla fine anche un pochi soldi avrebbero coperto le diversità di vedute. Non potevano certo essere soddisfatti coloro che pur avevano dimostrato una certa condiscendenza al riconoscimento del merito, avrebbero voluto giungervi nel pieno esercizio dell’autonomia dei docenti e delle scuole, invece sono ripiombati in una procedura di tipo amministrativo che ha visto in imbarazzo anche non pochi dirigenti scolastici, ai quali peraltro a loro volta sarà chiesto conto soprattutto per il modo con il quale avrebbero individuato i meritevoli.

Il comitato di valutazione, a giudicare dai verbali comparsi in rete, non ha avuto quel rilievo di cui si è tanto discusso all’inizio dell’operazione; sono state le direttive ministeriali che hanno fatto l’andatura: l’unica cosa chiara riguardava la segnalazione delle attività aggiuntive, che avrebbero dovuto essere retribuite da risorse provenienti dal fondo di istituto, ma che in mancanza di disponibilità sono state dirottate verso il bonus.

La parte relativa alla qualità dell’insegnamento aveva indicatori piuttosto ambigui: si sono evidenziati alcuni aggettivi, il più diffuso era inclusivo, oppure far emergere la ricaduta positiva della formazione in servizio, fino ad arrivare all’utilizzo dei risultati degli alunni nelle prove INVALSI , che sul piano dell’evidenza potevano essere affidabili, ma si sa quanto difficili da trasferire nella valutazione degli insegnanti. Un’altra cosa poco convincente ha riguardato le emergenze empiriche da cui trarre le necessarie informazioni.

Alla fine il comitato si rimetteva sempre al dirigente scolastico. Imprese piuttosto astruse sono state quelle che hanno cercato di elaborare i criteri con parametri statistici. La parte più propriamente educativa rischia di scomparire in quelle tabelle, ma l’eroismo dei docenti spesso è proprio legato alla gestione delle relazioni, con i “bisogni educativi speciali”, il bullismo, ecc. La tensione della meritocrazia avrebbe senso se fosse inserito, come si è detto, in una vera autonomia professionale e gestionale, che possa generare maggiore competizione; se invece si tratta di introdurre alcuni bonus nel corso della carriera, che è ancora tutta da costruire, allora si potrebbe continuare con accertamenti esterni, magari obbligatori ogni tanti anni, a rotazione, in collegamento con l’università e la formazione in servizio.

Questo potrebbe riguardare anche gli accertamenti sul versante psico-pedagogico, non solo in base alla simulazione di una lezione, ma con dei veri e propri laboratori nei quali lavorare sugli apprendimenti e dove viene valorizzata maggiormente la dimensione collegiale. Il merito dei docenti potrebbe essere parte integrante della valutazione esterna, periodica delle scuole.

Ma fra quanto tempo?

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