Il maestro e il Professore

Nota di redazione

La necessità di garantire una conclusione ‘regolare’ ai percorsi di secondaria superiore, secondo quanto previsto dalla stessa Costituzione attraverso l’Esame di Stato,  si è  ulteriormente complicata (per gli ottimisti; si è arricchita)  negli ultimi due anni a causa dei provvedimenti che la pandemia ha imposto alle scuole. Lo scorso anno avevamo proposto qualche riflessione sul destino della prova scritta, la tesina e lo svolgimento del colloquio. Quest’anno l’organizzazione della prova si consolida nella preparazione degli studenti a sostenere un colloquio complesso e complessivo su quanto appreso, e nello stesso tempo fornisce strumenti,  griglie di valutazione e guide alla predisposizioni delle certificazioni finali per renderne trasparenti, condivisi,e quindi condivisibili, gli esiti. L’impressione è che si consolidino prassi,  già di fatto presenti negli anni, nella formulazione dei giudizi finali, che dovrebbero rendere esplicitamente e quindi spendibile fuori dalla scuola e in nuovi percorsi di lavoro  o di studio, l’esito  del lavoro di apprendimento costruito dallo studente e dalla scuola. Che questo provochi perplessità , discussioni, proposte, e critiche non stupisce, pensiamo quindi di  seguire, attraverso i contributi che pubblichiamo sull’argomento, le reazioni dei diretti interessati e di quanti riflettono su questi nuovi processi , come in questo caso in cui entra in campo la polemica di Dario Missaglia sulle tesi di Ernesto Galli della Loggia. 

 

 Ricordo il  furibondo attacco di Galli della Loggia  a Tullio de Mauro, accusato come corresponsabile della decadenza della lingua italiana nella nostra scuola. Tesi del tutto legittima per chi, come Galli Della Loggia pensa alla scuola come quel bel liceo di una volta, elettivo per pochi, di classe sotto ogni profilo. Certamente ai suoi occhi Tullio De Mauro, con quella vocazione a fare della lingua italiana un veicolo di crescita democratica e di civismo nazionale, doveva risultare proprio indigesto. 

Galli della Loggia è sempre coerente con se stesso, anche quando sembra sorprendere con qualche  sua uscita. Come quella, di questi giorni, in cui denuncia il carattere “‘un po’ classista’ delle norme per lo svolgimento del colloquio , previste per l’Esame di Stato. Galli della Loggia in versione di sinistra? Niente affatto. La sua denuncia sta nel fatto che, a suo vedere, la scuola è sempre più asservita al mondo del lavoro e anche questa operazione del curriculum altro non è che un servizio di tracciamento delle caratteristiche personali degli studenti in vista del loro inserimento lavorativo.

Potremmo convenire che questo rischio, in quelle norme, in qualche misura vi sia davvero ed infatti  io stesso  sostengo  con nettezza l’assoluta contrarietà a che vi sia la ben più minima correlazione tra curriculum e valutazione finale dell’esame. Ma il limite più rilevante del curriculum, e del suo utilizzo in sede valutativa, non è questo.

Un maestro avrebbe subito colto che il curriculum di cui si parla,  altro non è che la descrizione del curricolo implicito dello studente, ovvero di quell’insieme di apprendimenti informali e non formali che lo studente acquisisce in relazione alla qualità del suo ambiente sociale di origine e al capitale culturale familiare che segna la vita di ciascuno. Il maestro sa benissimo che è fondamentale conoscere quel curricolo perché è quello  il punto di partenza della sua programmazione didattica e del suo lavoro educativo. 

Quell’insieme di saperi ed esperienze, direbbero ancor oggi  Roberto Maragliano e Benedetto Vertecchi, costituisce quella variabile assegnata che il docente deve conoscere ma che non deve incidere sulla valutazione scolastica. Quel curricolo implicito è fondamentale per pensare e progettare il curricolo esplicito, ovvero l’insieme delle azioni didattiche che i docenti devono attivare per promuovere, nel senso pieno, gli studenti. Ed è questa la variabile indipendente che è in mano al docente per cercare di contrastare le diseguaglianze rilevate e offrire a chi ha avuto meno,   le stesse opportunità dei più fortunati. I risultati rilevati, ovvero la variabile dipendente,  diranno se e in che misura l’obiettivo sia stato raggiunto.    Per questi motivi la valutazione è in primo luogo verifica attenta dell’azione che la scuola e gli insegnanti mettono in opera. 

È per questa fondamentale ragione pedagogica che l’eventuale  relazione tra curriculum dello studente e valutazione finale, sarebbe un grave ed inaccettabile errore. Non perché figlia di un modello funzionalista agli interessi dell’impresa, o perchè subalterna al mondo del lavoro.

 Ma queste sono riflessioni di un maestro. il Professore ha  altro da pensare e soprattutto si batte per il sapere ‘puro’, distante dal mondo del lavoro.   Un mondo che per Galli  della Loggia è fastidioso; si faccia e si potenzi pure l’istruzione  tecnica superiore, egli afferma, ma il sapere, quello vero, deve essere incontaminato. Ed è un sapere alto quanto più è distante dal mondo del lavoro.  E così la cultura, quella ‘vera’, rafforza la propria autoreferenzialità e consegna il lavoro a una posizione marginale. Certo, se il lavoro è un’attività usa e getta, precario, perché l’impresa scommette sui bassi salari anziché sulla qualità e sull’intelligenza di chi lavora, la cultura starà sempre da un’altra parte, estranea al mondo del lavoro. Ma gli esiti, sociali ed economici di questa scelta li abbiamo già visti e non può essere la scelta di oggi. La pandemia, con il suo carico dirompente, ci ha messo di fronte alle responsabilità di un modello sociale e produttivo  che va capovolto, reinventato, ricostruito con un grande slancio di intelligenza, cultura e creatività . Riconnettendo , come da tempo scrive Richard Sennett, la mano con la mente, il sapere con il lavoro. Quel lavoro nuovo ,profondamente connesso al sapere,  che darà senso al futuro dei giovani e delle comunità.  Anche se Galli della Loggia non sarà d’accordo. 

Dario Missaglia Presidente Associazione Proteo Fare Sapere Fondazione Di Vittorio.