DL 36 formazione dei docenti

Siamo ormai a due settimane dal 30 giugno, la data limite  definita nel PNRR per l’approvazione in Parlamento del decreto 36 dedicato a un insieme di temi strategici per  una ri-valorizzazione del lavoro docente: formazione iniziale tra università e scuola, abilitazione professionale e reclutamento; formazione continua; carriere basate su sviluppo e articolazione delle competenze e delle funzioni professionali.  Anche in altri paesi europei si cerca di rendere più attrattivo il lavoro nella scuola per attirare  i laureati migliori, per contrastare  la scarsità di vocazioni alla professione docente. Si tratta  di questioni che non riguardano solo le condizioni del personale docente  ma anche la qualità del funzionamento scolastico: le scuole, come si è  visto assai bene anche nella crisi pandemica, hanno bisogno di  innovazioni non solo didattiche ma anche organizzative. Di tutto ciò si discute da anni e, almeno dall’introduzione dell’autonomia degli istituti scolastici, sono state elaborate numerose proposte di riforma sensate e fattibili, sempre più urgenti a fronte dell’aggravarsi di problemi da tempo irrisolti, tra cui il continuo riprodursi di un gigantesco precariato ( circa 200mila gli insegnanti precari ), la carenza di insegnanti in certi ambiti professionali,  modestia degli stipendi iniziali e della loro evoluzione, l’affidamento a un volontariato professionale non riconosciuto della qualità della didattica e dell’organizzazione scolastica. Ma quando, come oggi, su questo insieme di temi, si deve finalmente intervenire, sia con quanto prevede il PNRR sia, e quasi contestualmente, con il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro, le proposte delle parti, del governo da un lato, delle rappresentanze professionali dall’altro, presentano limiti, vuoti, carenze molto gravi: di risorse economiche messe in campo, di idee, di capacità di impostare e gestire un confronto costruttivo. Di metodo e di merito, come si diceva una volta. Al punto che, prima ancora di cominciare, c’è stato uno sciopero della categoria  senza una piattaforma organica e comprensibile, e ancora oggi non si capisce bene a che tipo di approdo si possa pervenire,  rispetto sia al decreto che al rinnovo contrattuale. Col risultato che finiscono, apparentemente almeno, col prevalere vecchi vizi e pregiudizi: la pretesa di innovare senza risorse sufficienti, l’idea sbagliata che il precariato si  possa risolvere solo con le sanatorie, il rifiuto di considerare gli effetti nella scuola del calo demografico, perfino la bizzarra convinzione che la formazione continua possa non essere un dovere oltre che un diritto.  Settorialità e corporativismi, ma anche gravi mancanze, in chi è tenuto a presentarle, di proposte lungimiranti e appropriate.   Il problema potrebbe essere liquidato bruscamente con una frase del tipo: tutti i nodi non risolti alla fine vengono al pettine, ma qui  c’è il rischio di soffocare ancora una volta  le tante energie  che negli anni hanno continuato a produrre esperienze significative  e di accentuare gli aspetti di centralizzazione verticistica del funzionamento della istituzione scolastica, sancendo in via definitiva  la sparizione dei valori e delle potenzialità  dell’autonomia scolastica, che invece proprio oggi, potrebbe essere garanzia di  equità e inclusività nell’educazione e  formazione.

Cercando di mettere in fila i problemi, appare utile iniziare individuando i nodi  che devono essere sciolti preliminarmente.

  1. I provvedimenti per la scuola secondo la filosofia  del PNRR si collocano entro “il Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale” del 10 marzo 2021 ed esigono  quindi di essere contestualizzati  nel quadro della riforma della pubblica amministrazione vista sotto il duplice aspetto  delle condizioni di lavoro di chi vi opera e  della qualità / quantità di tutti quei “servizi” che caratterizzano patti sociali, diritti dei  cittadini e condizioni di welfare .
  2. La distinzione, a proposito del lavoro nella scuola, tra le materie di competenza parlamentare ( perché è di una modifica dello stato giuridico dei docenti che si tratta, e in particolare della “funzione unica docente “ ) e le materie che appartengono invece alla definizione pattizia  tra le parti  sociali  che sono quindi di competenza sindacale

La difficoltà con cui i sindacati della scuola hanno ricostituito un fronte unitario per lo sciopero del 30 maggio si è evidenziata proprio nella molteplicità delle parole d’ordine che sono state pronunciate in quella occasione e che difficilmente appaiono sintetizzabili in una piattaforma su cui ci siano punti fermi che qualifichino una trattativa. A partire da queste difficoltà, ma  cercando di praticare una forma di attenta vigilanza su quanto si sta “preparando”, elenchiamo qui  in forma di quesiti gli aspetti più problematici, ma essenziali per il futuro della scuola, colti nelle elaborazione e  nelle preoccupate espressioni dei punti di vista di molti addetti ai lavori. Sono alcune domande che Education rivolgerà a qualificati protagonisti del dibattito che accompagnerà il  percorso che il decreto seguirà fino all’assunzione dei regolamenti attuativi.

  1. Quali potrebbero essere le modifiche ancora possibili nella fase di proposta fino alla scadenza del  30?  
  2. Quale potrebbe essere il destino del doppio canale nelle assunzione dei docenti che di fatto rimane ma che secondo il decreto dovrebbe essere riassorbibile con l’eliminazione del precariato strutturale?
  3. Quale potrebbe essere l’effetto del calo demografico nella programmazione degli organici e nella rivalutazione degli stipendi?
  4. Il decreto esplicita una visione e una prospettiva per il sistema scuola di lungo periodo? Se sì quali sono tali prospettive?
  5. Quale è il peso dei vincoli e delle risorse posti dal PNRR in una fase politica che sembra ridurre il ruolo di elaborazione delle forze politiche, delle forze sociali e delle istituzioni culturali? 

Purtroppo senza una visione di cosa deve fare la scuola, senza idee forti su cosa vorrà essere la nostra società nel prossimo futuro, ogni intervento legislativo sulla scuola rischia di essere una perturbazione che cancella o frena quanto pochi anni prima una diversa maggioranza politica ha cercato di realizzare. In particolare, la competizione tra scuole o tra docenti o tra studenti rischia che sia la chiave di volta della qualità, e ciò può arrecare solo danni al clima generale e avvilire la crescita delle persone e delle comunità.

Il decreto del governo, molto centrato sulla questione della qualità del personale docente, appare però privo di una visione condivisa da una maggioranza politica riconoscibile e di una analisi seria delle responsabilità in capo alle istituzioni che vorrebbero ora rimediare ai problemi che esse stesse hanno generato. Il riferimento alle Università è ovvio. Discutibilissima l’idea di costituire un nuovo carrozzone per l’alta formazione dei docenti in servizio.

Urge un ripensamento serio da parte di coloro che all’interno del sistema scolastico elaborano ipotesi e le diffondono in modo riflessivo per il miglioramento: la nostra rivista vorrebbe ospitare contributi critici che non siano troppo condizionati dal clima emergenziale che ci sovrasta per ogni aspetto della vita sociale.

redazione