Cattedre e predelle fanno le scuole belle?
articoli correlati
La nuova compagine governativa alle prese con la scuola.
Le generiche formulazioni che il contratto, su cui si fonda la nuova compagine governativa, dedica alla scuola sembrano confermare una lezione che anche le nuove classi dirigenti hanno appreso: chi tocca la scuola muore…. quindi…. qualche compunta affermazione sulla inclusione, una carezza sulla testa di docenti colpiti dagli spostamenti territoriali, un pensiero commosso ai precari, cui si promette una fase transitoria dedicata alla soluzione del problema, la progettazione di una improbabile gabbia territoriale per chi insegna e poco altro. Persiste intanto un diffuso allarme sulla scuola, che più di altre istituzioni sembra tenere il primato della esplosione eclatante di un aspetto drammatico della crisi di uno stato sociale, non più capace di dare prospettive coerenti ad aspirazioni e aspettative di cittadini che, “non educati” al ruolo di genitori e incapaci di chiedere e dare rispetto in un confronto civile, si affidano alle “mani”. In tutto questo mancano voci capaci di dare argomenti di riflessione e di indicare orizzonti culturali entro i quali trovare risposta ad un sistema educativo, quello italiano, che si porta dietro il retaggio di culture incapaci di interpretare il valore e la responsabilità di garantire il diritto allo studio e quindi al sapere per tutti, arroccate nella difesa di un umanesimo classicista brandito come arma contro il nuovo, molte lente e poco efficienti nel costruire un sistema di educazione per tutti e tutte per tutta la vita. Siamo il paese che, mentre il mondo cambiava, non è riuscito ad andare oltre la formula dei “capaci e meritevoli” dell’art. 34 della costituzione, che ha stabilito 10 anni di scolarità obbligatoria per tutti solo nella legge finanziaria per il 2007 (art. 1. Comma 622 legge 296/2006) e, solo nella legge 92 del 28 giugno 2012, ha normato il diritto alla formazione e istruzione permanente. Intanto da un lato rimbomba il tuono dei laudatores temporis acti,dall’altro la banalità di chiacchiericci su regole e regolette capaci di mettere ordine e sistemare il tutto, comunque , finora, niente di serio. Vale forse la pena di ricordare che la scuola in crisi è effetto, non la causa di problemi sociali e culturali più profondi, di invitare tutti a essere più seri e a ragionare in grande; intanto però bisogna svelare la superficialità delle ricette restaurative di una scuola d’antan, che , questa sì è, offensiva di chi nella scuola ogni giorno si scontra con realtà complesse e difficili. Non volendo entrare in polemica con un accademico, studioso insigne, degno di vera e sincera stima, può essere utile leggere il primo “comandamento” del suo decalogo alla luce dei ricordi di scuola di una vecchia insegnante. Così recita il primo comandamento della lettera indirizzata dal Prof Galli Della Loggia al neo ministro pubblicata di recente su un prestigioso quotidiano nazionale “Reintroduzione in ogni aula scolastica della predella, in modo che la cattedra dove siede l’insegnante sia di poche decine di centimetri sopra il livello al quale siedono gli alunni. Ciò avrebbe il significato di indicare con la limpida chiarezza del simbolo che il rapporto pedagogico — ha scritto Hannah Arendt, non propriamente una filosofa gentiliana ( SIC!), come lei sa — non può essere costruito che su una differenza strutturale e non può implicare alcuna forma di eguaglianza tra docente e allievo. La sede propria della democrazia non sono le aule scolastiche.”
La vecchia insegnante ricorda. Primi anni sessanta, allora giovane neolaureata poco più che ventenne viene inviata dal prestigioso docente di filosofia teoretica, correlatore della sua tesi di laurea, in soccorso al preside del liceo Pilo Albertelli di Roma per supplire un docente titolare, improvvisamente scomparso. Timidezza, imbarazzo, voglia di far bene ……. Entra nella prima classe e … si trova di fronte una pedana su cui troneggia la cattedra; troneggia è la parola esatta perché la pedana ha un accesso (tre comodi gradini) sul lato destro per ascendere e dominare da un’ autorevole distanza la classe. La ragazza svolge la sua lezione, poi, stando attenta a scendere da dove era salita (l’ascesa è garantita solo da quei tre gradini), scende e si avvia alla porta; seconda ora di lezione , altra classe, altra pedana altra ascesa e discesa… tutto bene. Finalmente terza ora di lezione, ormai la ragazza si sente tranquilla , la tensione è calata ed anche l’attenzione, suona la campana e… tranquilla scende laddove non ci sono i gradini, planando sui primi banchi, dove, con imbarazzo, la raccolgono due stupitissimi studenti. È stato l’anno di lavoro più intenso nella carriera della giovane docente, ma anche quello in cui ha imparato molto sul gioco autorità/ autorevolezza, sapere, saper dire e saper ascoltare, costruire relazioni di senso a partire da seri contenuti di studio …… tutta roba che , per fortuna, ha poco o niente a che vedere con l’altezza delle pedane.
Ma l’apologo non finisce qui, perché la vecchia docente non vuole barare, e ricorda qualcosa che forse non darebbe torto all’autore del decalogo. Fine anni ‘80 la docente ha lavorato molto sulla qualità del proprio “assetto” professionale, padroneggia molte tecniche e teorie adeguate ad un didattica capace di creare occasione di dialogo tra studenti, rompendo l’unidirezionalità di una comunicazione da e verso il docente (centro di quel teatro che è comunque sempre un’aula scolastica); tutto questa la porta a fare lezione muovendosi tra i banchi, provocando domande e risposte, suscitando curiosità e proficue “deviazioni”; a un certo momento uno studente assiduo, volonteroso quanto basta, la interrompe e in tono un po’ perentorio le dice :” professore’, lei già ci dice e ci fa dire cose complicate, poi non sta ferma un minuto… mi fa venire mal di testa, per favore si sieda in cattedra per un po’, così non mi distraggo!” Uno a zero per la pedana?, non credo proprio, la scuola è un posto dove si fanno esperienze serie, ricche di significati e di emozioni, la scuola chiede rispetto e attenzione e non applicazione di formulette un po’ stantie.
Vittoria Gallina