Vivere insieme con le diversità

Quando succedono episodi violenti che riguardano ragazzi/e talora anche giovanissimi, ci si rivolge alla scuola come istituzione che dovrebbe prendere in carico di volta in volta i problemi che gli episodi di cronaca riportano, anche se quasi mai i docenti hanno ricevuto una formazione per trattare adeguatamente i diversi aspetti che quei problemi segnalano: aggressioni, violenze, uso di sostanze, alcolismo precoce e così via.

Poca o scarsa attenzione riceve invece la questione della prevenzione, che la scuola in quanto istituzione in cui gli studenti trascorrono diverse ore della giornata può svolgere. Quando poi i problemi riguardano aspetti culturali che per le ragazze, ad esempio, si traducono in vincoli forti al loro sviluppo autonomo e alle possibilità di condurre una vita senza imposizioni autoritarie, la scuola ha certamente una forza di contrasto minore  – “alcune ragazze a sedici anni lasciano al scuola perché tornano in Macedonia a sposarsi”, ha riferito una docente – ma di certo può gettare dei semi in studenti in crescita per meglio sostenerli nel loro sviluppo identitario più equilibrato.

D’altra parte, il compito evolutivo principale che gli studenti della scuola secondaria di primo e secondo grado perseguono è proprio quello di costruzione della propria identità e il contesto scolastico, con le relazioni tra pari e con adulti, rappresenta uno specchio insostituibile nell’accompagnare e sostenere questi processi; a scuola “si raccontano” le diverse identità e talora si riescono a scoprire i propri tratti positivi proprio perché qualcuno ce li rimanda: “tu sei ….” Talora sorprendendo lo stesso destinatario che così se li riconosce.

In alcuni casi, in modo analogo, nel corso della vita, è questa la funzione dell’amico/a quando, in momenti di difficoltà, agisce da specchio e ci rimanda un’immagine che per noi si è momentaneamente annebbiata. 

Cogliere questa funzione, nelle relazioni in classe, significa far sentire gli studenti parte di una comunità, e gli aspetti più caratteristici di ciascuno, come possono essere i valori della cultura di origine, piuttosto che nutrire un sentimento di estraneità, si integrano nella costruzione di una progressiva appartenenza.

Sentirsi compresi e riconosciuti nella faticosa transizione che a partire dalla preadolescenza procede verso la costruzione identitaria, è una componente fondamentale del divenire parte della società in cui si vive e ciò riguarda in particolar modo gli studenti che hanno una diversa etnia di provenienza, anche quando sono nati in Italia. Esasperare la diversità, negare l’importanza dei valori degli altri, quando non creano nessun contrasto col vivere sociale, non è una prospettiva che da adulti responsabili conviene assumere.

Proprio sul piano della prevenzione di quei fenomeni, per i quali si consolidano invece sentimenti di estraneità, di marginalizzazione e di chiusura – sostrati comuni a molti episodi di cui le cronache riferiscono – la scuola svolge una funzione insostituibile. In tal senso tutte quelle pratiche che indicano accoglienza, riconoscimento della diversità dei valori, quando questi non entrano in conflitto con quelli fondanti della società in cui vive, sono strumenti fondamentali e necessari per avviare e consolidare i processi di appartenenza a cui tutti/e dovremmo tenere come cittadini democratici. Non si tratta quindi di chiudere per un giorno la scuola in occasione di una festività, che non siano previste in appositi accordi, messaggio comunque importante per uno studente di altre religioni che sente le proprie festività “contare”, così come contano le festività degli altri, ma di porre attenzione alla diversità come occasione per promuovere processi di appartenenza autentica, fondata sul non sentirsi estranei e non costretti ad un conformismo di maniera.

Il patto sociale che lega i cittadini di una società democratica richiede che questi si sentano a loro agio nell’adesione alle regole di funzionamento, perché si fondano sul rispetto di tutti e di ciascuno. In tal senso sono particolarmente opportune tutte le pratiche didattiche che si vanno diffondendo in cui si realizzano modalità di confronto, di scambio, di argomentazione e di negoziazione che sono regole più generalmente necessarie per convivere in una società in cui le diversità saranno sempre più numerose; vanno evitate invece, quelle modalità che, appellandosi alla “legge del più forte” in base alla consistenza numerica, contribuiscono purtroppo a creare e a mantenere condizioni di conflittualità che come fiumi carsici possono riemergere con drammatica frequenza.

 

Anna Maria Ajello già docente ordinaria di psicologia dello sviluppo e dell’educazione alla Sapienza e presidente dell’ Invalsi