Un bilancio dei percorsi di istruzione degli adulti e … qualche necessario suggerimento
Prefazione redazionale
L’articolo e i materiali che vengono di seguito presentati fanno un interessante e utile bilancio di quanto accade oggi nella istruzione degli adulti e indica, in modo documentato, alcune necessarie proposte di trasformazione. Poiché forse questo “pezzo” del sistema d’istruzione italiano non è conosciuto da chi legge, appare utile premettere una nota, che riassume la storia di questi percorsi.
I Cpia (centri provinciali per l’istruzione degli adulti) sono istituiti con la legge finanziaria del 2007, la stessa legge che innalza l’obbligo di istruzione a 10 anni di scuola con i primi due anni di secondaria superiore , allo scopo di consolidare quanto appreso nel percorso precedente e di orientare alla uscita verso il mercato del lavoro o la prosecuzione degli studi fino al conseguimento del diploma.
La legge 92 del 2012, art. 4, comma 51, definisce il quadro delle politiche volte a sostenere e sviluppare l’apprendimento permanente definito come «qualsiasi attività intrapresa dalle persone in modo formale, non formale e informale, nelle varie fasi della vita, al fine di migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze, in una prospettiva personale, civica, sociale e occupazionale». Le politiche sono determinate «a livello nazionale con intesa in sede di Conferenza unificata»;, soggetti di queste attività sono MIUR ,Ministero del lavoro e delle politiche sociali, «sentito il Ministro dello sviluppo economico e le parti sociali, a partire dalla individuazione e dal riconoscimento del patrimonio culturale e professionale comunque accumulato dai cittadini e dai lavoratori nella loro storia personale e professionale, da documentare attraverso la piena realizzazione di una dorsale informativa unica mediante l’interoperabilità delle banche dati centrali e territoriali esistenti».
Nel 2012 in conferenza unificata (CU) Stato-Regioni viene assunta la definizione delle reti per l’apprendimento permanente e stabilito un tavolo di regia interistituzionale. L’accordo in CU sarà definito successivamente nel 2014. Il Dpr 263/2012 contiene il Regolamento recante norme generali per la ridefinizione dell’assetto organizzativo-didattico dei centri d’istruzione per gli adulti, ivi compresi i corsi serali. Successivamente i serali saranno aboliti e costituiranno il secondo livello di istruzione degli adulti.
I CPIA, dopo una prima sperimentazione, vengono avviati a regime nell’anno scolastico 2014- -2015. La Legge 107 (2015) affida all’Indire il monitoraggio annuale per consentire, dopo tre anni di funzionamento, una valutazione dei risultati e per intervenire con opportuni cambiamenti, eventualmente necessari. A oggi i risultati completi di questo monitoraggio non sono pubblicamente disponibili mentre, nello stesso tempo, molti problemi sono emersi e pongono la necessità di interventi di adeguamento.
A distanza di sei anni da quando l’istruzione degli adulti ha acquisito il riconoscimento dell’autonomia scolastica è tempo di fare un bilancio complessivo relativo allo stato dell’arte di questo ordine d’istruzione. Nel corso di questi anni abbiamo assistito a un duplice effetto. Da una parte infatti la ‘spinta propulsiva’ dell’autonomia ha senz’altro mostrato tutti i suoi effetti positivi: i Cpia hanno sviluppato un’offerta formativa spesso caratterizzata anche a livello territoriale e sono riusciti a intercettare la domanda di istruzione e formazione degli adulti, come mai era successo in passato. Grazie all’autonomia, i Centri hanno avuto un ‘luogo’ professionale definito, i Collegi Docenti del CPIA, dove elaborare l’Offerta formativa, e una Dirigenza specifica che si è occupata di organizzarla, si sono sviluppati nel territorio provinciale assegnato e sono divenuti soggetto attivo delle Reti territoriali per l’apprendimento permanente, capaci di intessere rapporti con i Centri per l’impiego, le parti sociali, gli enti del Terzo settore, gli uffici di Piano ecc.
Ma se da un lato i Cpia hanno potuto dispiegare gli effetti positivi dell’autonomia scolastica raggiunta, d’altra parte si deve rimarcare come i nodi, che non si erano voluti sciogliere quando si è elaborato il DPR 263/12, sono ormai tutti ‘venuti al pettine’ con un’evidenza tale che il decisore politico, solo se non vuole deliberatamente prenderne atto, non si trova nelle condizioni di mettere a fuoco le scelte, che dovrebbero indirizzare l’ aggiornamento di quel settore dell’apparato legislativo che struttura questo specifico ordine di scuola.
Segue dunque un’analisi del contesto e delle principali problematiche emerse con le soluzioni ‘lapalissiane’ ai problemi delineati.
Ecco le sei proposte ‘ovvie’ di cui il decisore politico dovrebbe semplicemente prendere atto, se ha a cuore l’istruzione degli adulti. Il primo nodo che è venuto immediatamente al pettine è quello di aver lasciato il secondo livello (ex serali) incardinati nelle scuole secondarie superiori, con l’effetto che questo ordine di scuola non ha in nessun modo usufruito della spinta propulsiva e dell’esuberanza che hanno contraddistinto in questi anni i Cpia. Si è creata così una frattura nell’ambito dell’offerta formativa rivolta agli adulti che nessun accordo di rete è in grado di sanare. I Cpia devono essere unitari e prevedere al loro interno i percorsi di secondo livello.
Il secondo nodo è lo sbilanciamento verso i percorsi d’istruzione ordinamentali. Si è voluto proporre agli adulti esclusivamente percorsi d’istruzione lunghi e poco flessibili, si è inventato un percorso ordinamentale senza nessuno sbocco o appetibilità, il secondo periodo del primo livello, scollegandolo dalla questione occupabilità, come se gli adulti vivessero la propria formazione in una dimensione aristocratica, dove il piacere dell’istruzione è fine a se stesso. Tutto quanto c’è di più interessante nell’offerta formativa dei Cpia, i corsi B1 ( livello di acquisizione della lingua italiana per la cittadinanza), i corsi per analfabeti, i corsi professionalizzanti, i percorsi brevi, i corsi sulle competenze di base di informatica e di lingue straniere e così via, è catalogato come ‘ampliamento dell’offerta formativa’, categoria senza nessun rapporto con l’organico e il Sidi, offerta residuale, legata a finanziamenti fortuiti, senza alcuna logica di programmazione. La proposta lapalissiana è che i percorsi d’istruzione, di educazione e di formazione sulle competenze di base abbiano all’interno dell’offerta formativa territoriale dei Cpia uguale dignità ( organici, orari, percorsi riconosciuti e riconoscibili ecc.).
Terzo nodo: i Cpia devono avere sedi proprie. Bisogna prendere atto della loro diffusione provinciale e l’organico deve essere assegnato non solo sulle sedi associate, ma queste devono riferirsi a quell’insieme di sedi aggiuntive, succursali, punti d’erogazione in una logica di rete gerarchica dell’offerta formativa che tende a governare la complessità, anche dal punto di vista sindacale.
Quarto nodo: se la Legge 92 assegna una centralità al pubblico individuando i Cpia come il soggetto a cui compete il coordinamento della Rete Territoriale per l’Apprendimento Permanente le nostre istituzioni scolastiche pubbliche possono svolgere questo ruolo solo se sono supportate da un apparato amministrativo efficiente capace di sorreggere un’offerta formativa fatta di Progetti, di finanziamenti europei, di partnership, di accordi di rete come scuole capofila di Progetti impegnativi. Da qui discende una proposta assolutamente ovvia: le segreterie dei Cpia devono avere assistenti amministrativi che lavorano sulla sede del Cpia, con il medesimo codice meccanografico e non costituite da monadi sparpagliate a chilometri di distanza, una segreteria amministrativa ridotta come il corpo di Osiride dilaniato e sparpagliato per tutto l’Egitto.
Quinto nodo: la FAD e le aule Augorà, che erano senz’altro soluzioni innovative e lungimiranti quando sono state pensate, dopo l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo appaiono come mostri preistorici, incapaci di affrontare positivamente le sfide della complessità. Quello di cui c’è bisogno è una Didattica complementare integrata nella quale si crei una proposta ad hoc per ogni nostro utente. Il Patto formativo deve definire, sulla base dei bisogni formativi e dei bisogni che discendono dalla necessità di conciliazione tra le responsabilità lavorative e familiari, in cui ogni adulto deve dividersi, un percorso formativo, un ambiente di apprendimento che sia il risultato di un mix individualizzato tra un 50% di fruizione in presenza, il 20% di fruizione in modalità asincrona e un 30 % di fruizione in modalità sincrona. Questa proposta di Didattica digitale complementare deve essere assunta dal decisore politico come strumento fondamentale di flessibilità, insieme al riconoscimento dei crediti, per personalizzare i percorsi di apprendimento.
Il valzer delle ovvietà si conclude con la constatazione che, a causa della decrescita demografica, le scuole diurne e le scuole degli adulti non sono più in competizione tra loro nell’assegnazione delle risorse e che moltissimo è dunque possibile fare in questo settore formativo, perché assistiamo a una diminuzione delle classi e delle autonomie diurne. Ci sono grandi squilibri territoriali che potrebbero facilmente essere compensati con la nascita di nuovi CPIA. Ma per far questo occorre, come dice Roberto Maragliano, «educare la società all’istruzione degli adulti», farla uscire dalla marginalità e dalla precarietà che adesso vive ed emanciparla dal luogo di ‘riserva indiana’ in cui è stata relegata. Il nostro auspicio è che l’educazione degli adulti torni a essere al servizio non solo degli immigrati, per i quali è uno strumento fondamentale di integrazione, ma di tutti i cittadini adulti italiani che ogni giorno sono alle prese con le sfide di una società sempre più complessa e con le derive dell’analfabetismo strumentale.
[LINK A PDF Testimonianze, Proposte….]
Roberto Cazzaniga Dirigente scolastico del CPIA Fabrizio de Andrè (Lecco)