Tra riforme mancate, inefficienze e fantasmi del passato 

Si torna in classe coi problemi di sempre? Solo apparentemente. Novità ce ne  sono, ma nessuna è positiva e alcune  sono inquietanti. C’è innanzitutto la campana a morte per uno degli obiettivi strategici  del  PNRR,  il miglioramento della qualità  e dell’attrattività della professione docente. Negli ultimi due anni sono state aggirate, rinviate  o seriamente compromesse  due riforme  decisive,  quella relativa alla formazione iniziale abilitante per la scuola secondaria ( il quarto anno post lauree triennali dedicato a didattica, scienze dell’educazione e  tirocini ) e quella per un nuovo modello di carriera  non  più centrato sulla sola anzianità.

La prima è stata messa in mora,  oltre che dall’incapacità politica dei due ministri dell’istruzione  e dell’università di venire a capo di storiche contrarietà di  parte del mondo accademico,  dalla solita pioggia  di deroghe finalizzate alla stabilizzazione agevolata dei precari “storici”. Con l’obbligo, per disporre del titolo abilitante necessario a partecipare ai concorsi, di acciuffare il prima possibile un pacchetto di crediti formativi, variamente “scontato” rispetto ai 60 previsti,  per chi negli ultimi otto anni abbia svolto insegnamenti nella classe di concorso prescelta. Ma non si tratta solo di studiare per conseguire il titolo che manca. I pacchetti bisogna comprarli a costi tutt’altro che banali  dalle università pubbliche e private che in modo discrezionale predispongono  offerte variabili, in presenza e soprattutto a distanza ( un nuovo business  per le università telematiche ).  Quanto alla seconda riforma, che doveva finalmente socchiudere la porta all’istituzione di figure e funzioni professionali stabili e qualificate utili a un miglior funzionamento delle scuole, è stata di fatto  archiviata. O meglio sostituita da modeste indennità pro tempore per incarichi  volontari ( tutor e orientatori, per il momento ) nonché dall’opzione, ancora in fieri, dei cosiddetti “insegnanti incentivati” che, impegnandosi in corsi di  formazione continua per nove anni, dovrebbero, previa verifica finale, accedere a non meglio precisati aumenti stabili di stipendio. Un pasticcio che non fa decollare, e neppure prefigura,  un nuovo modello di carriera, che incardina una, peraltro non scontata, migliore condizione retributiva sulla sola formazione teorica, che non  prepara utili antidoti alla (prima o poi) inevitabile contrazione degli organici determinata dalla perdita di più di 100.000 iscrizioni l’anno per calo demografico ( un salasso che per ora si finge di non vedere – tutto si fa o non si fa “a organici invariati” – ma per quanto ancora ? ). Ma intanto si stanno accreditando gli Enti formativi che la formazione incentivata la erogheranno  ed è stata  archiviata,  con una nuova direzione generale del ministero a ciò dedicata, anche la prevista istituzione di una Scuola Superiore per la formazione del personale scolastico. Perdere le irripetibili opportunità di innovazione contenute nel PNRR, e forse anche parte delle risorse, significa arretrare. Si sta, insomma, peggio di prima. 

Anche dal punto di vista dell’efficienza sono numerose le criticità. Come ogni settembre, in questi giorni  si sta levando alto l’allarme  per un’ulteriore moltiplicazione degli insegnanti  precari ( saranno circa 200.000, calcolano i sindacati ). Il ministro Valditara si affanna a ridimensionare  esternando meste  considerazioni sull’inevitabilità del precariato nella scuola italiana,  ma la  verità è che c’ è stata una straordinaria inefficienza nel bandire e realizzare i concorsi per l’immissione in ruolo di 70.000 insegnanti entro il 2025, prevista dal PNRR a condizione di un nuovo modello di formazione iniziale, che in verità non c’e’ ma su cui la Commissione europea sembra per ora sorvolare.  Siamo, al momento, a sole 19.000. Le altre, se e quando si riusciranno a fare nel corso del prossimo anno scolastico, andranno  senza se e senza ma a scalzare, secondo Valditara,  chi copre le postazioni vacanti, con tutto quel che significa in termini di discontinuità didattica, ed anche dei  costi di vario tipo  connessi al licenziamento   degli insegnanti  supplenti. A viale Trastevere si sussurra che, continuando con l’indecente divieto di remunerare dignitosamente il lavoro delle commissioni di concorso ( o di esonerare i componenti dal servizio ), è assai improbabile che si possa arrivare nel tempo previsto al target prefissato, col rischio fra l’altro di perdere una decina o più di miliardi. Fermo restando che svolgere in tempo e bene i concorsi pubblici è diventata, tra opposizioni sindacali, ricorsi e sentenze, una missione molto complicata, siamo di fronte a un tasso di inefficienza assolutamente straordinario. C’è da rimpiangere il piglio e i risultati della guerra alla “supplentite” del  governo Renzi, con le  98.000 immissioni in ruolo della “Buona Scuola”, e con le liste dei precari fortemente  asciugate. Non è stato però solo Valditara, si sa, a smantellare uno dopo l’altro i dispositivi e i procedimenti innovativi che l’avevano reso possibile.     

Di alcune innovazioni  spacciate come riforme scrive  chiaro e bene Mario Fierli in questo numero di Education. Si tratta in particolare del cosiddetto 4+2, un “corridoio”  teso a popolare l’istruzione professionale  di livello terziario  non universitario degli ITS Academy  che riguarda al momento una parte piccolissima degli iscritti all’istruzione tecnica e che lascia impregiudicata la riforma annunciata dell’istruzione tecnica e professionale di livello secondario. C ‘è  da aggiungere  che sarebbe  proprio in un cambiamento anche ordinamentale dei percorsi secondari, sia statali che regionali, a partire dalla scuola media e dai bienni, che sta anche la chiave di uno sviluppo degli ITS adeguato alla loro importanza. Ma sono riforme  che non sono più da tempo nei radar della politica,  di sinistra e di destra.  Mentre è forse l’unica notizia davvero buona di questi mesi che la scuola, i suoi dirigenti e i suoi insegnanti, abbiano avuto il buon senso e la responsabilità, nonostante le pressioni dall’alto,  di sconsigliare agli studenti e alle famiglie di iscriversi al cosiddetto Liceo del Made in Italy, istituito per sola compiacenza alle pretese  di un’affermazione identitaria del ministro delle imprese, e proposto sfacciatamente alle famiglie nonostante l’assenza del minimo che occorre –  il titolo di uscita,  la definizione degli insegnamenti, il  curricolo  – per dare   visibilità e affidabilità a un nuovo indirizzo. Le poche centinaia di iscritti di quest’anno parlano chiaro, e ancora di più  che si sia dovuto derogare al numero minimo di alunni  per poter far partire qualche manciata di classi. Sotto il vestito niente.

Si sta del resto facendo sempre più evidente la centralità,  per il ministro Valditara, di interventi indirizzati a  a modificare il profilo culturale di tutta la scuola, dalla primaria alla secondaria di secondo grado. Sono stati preparati da una quantità di dichiarazioni sulla necessità di liberare la scuola italiana dal giogo della cosiddetta egemonia culturale e pedagogica della sinistra, fatta di ideologie globaliste, di egualitarismo e permissivismo sessantottino, di multiculturalismo, e di altre perversioni di un’istruzione ed educazione scolastica degenerata dal politically correct.  La riscrittura delle Linee guida per l’educazione civica  che, invece di lasciare alle scuole la scelta di programmare attività nell’ambito delle tre aree del testo precedente ( Costituzione, sostenibilità, cittadinanza digitale ) punta soprattutto all’educazione all’appartenenza nazional-patriottica, alla valorizzazione dell’impresa e della proprietà privata, alla centralità dei doveri in esplicita antitesi ai diritti ,  sono solo l’ antipasto di un progetto assai più ambizioso. Quello affidato a una commissione nazionale che ha per titolo “Insegnare l’Italia”di revisione profonda delle Indicazioni nazionali per il primo e per il secondo ciclo. Perfino il Consiglio superiore dell’Istruzione, solitamente piuttosto cauto nella formulazione dei suoi pareri obbligatori ma non vincolanti, ha bocciato il testo delle nuove Linee guida sull’educazione civica, perché non necessarie, concettualmente confuse o discutibili, espresse male e in contrasto con l’autonomia scolastica. Ma l’invito a una riscrittura delle parti più critiche è caduto nel vuoto, il decreto è pronto ed entra in vigore immediatamente. 

Non è così, invece, per altri temi caldi, a cui in questi due anni di governo è stata dedicata un’ossessiva attenzione. La legge per nuove regole sul voto di condotta, le sospensioni, l’introduzione nella primaria dei voti sintetici ( da ottimo a insufficiente, recentemente il ministro ha annunciato, bontà sua, che non ci sarà il “gravemente insufficiente “ ) è stata approvata in Senato ma è ancora ferma alla Camera. Sarà certo  approvata definitivamente ma è improbabile che possa entrare in vigore quest’anno visto l’impatto di alcune parti sulle promozioni e sulla maturità. A metà del guado anche altri provvedimenti, tra cui quelli relativi all’”italiano potenziato” per gli studenti con background migratorio. Si vedrà presto se le grandi risorse di cultura civile  e di intelligenza professionale che ci sono nella scuola sapranno farsi valere, ma c’è bisogno di nuove alleanze.

 

     

Fiorella Farinelli Politica e saggista,  docente esperta di  istruzione e formazione, componente dell’Osservatorio nazionale per l’Integrazione degli alunni stranieri