Strategia di Lisbona: la situazione italiana
Alla luce dell’ultimo rapporto della Commissione sullo stato di attuazione della strategia di Lisbona, l’Italia evidenzia difficoltà superiori alla media europea e uno stato di notevole arretramento rispetto ai paesi europei più progrediti. Nonostante sia ormai evidente il mancato raggiungimento da parte dell’insieme dei paesi europei degli obiettivi fissati per il 2010, il quadro italiano è per molti aspetti allarmante. Malgrado il progressivo avvicinamento agli obiettivi indicati a livello europeo, il caso italiano rimane caratterizzato da un forte ritardo su aspetti determinanti della strategia di Lisbona, arretratezza ancor più preoccupante perché fondata su una base di partenza molto bassa dei livelli di istruzione della popolazione italiana.
Rispetto ai benchmark stabiliti a Lisbona l’unico risultato confortante riguarda l’incremento dei laureati in materie matematiche, scientifiche e tecnologiche, campo nel quale l’Italia è uno dei paesi che ha fatto registrare uno dei migliori risultati, un dato positivo che va però letto in un quadro complessivo di scarsità di laureati (solo il 19% tra i giovani tra 25 e 34 anni contro una media Ocse del 33%). Del tutto positivo, invece, il dato sulla frequenza della scuola dell’infanzia da parte dei bambini di quattro anni: l’Italia è uno dei pochi paesi europei che ha raggiunto il 100% della frequenza. Per contro, nonostante il progressivo avvicinamento agli obiettivi indicati a livello europeo, per tutti gli altri indicatori sull’avanzamento della strategia di Lisbona, l’Italia registra un forte ritardo rispetto ai traguardi da raggiungere entro il 2010.
L’obiettivo di raggiungere entro il 2010 l’85% dei ventiduenni che hanno completato l’istruzione secondaria superiore vede l’Italia al 76,3% contro una media europea del 78,1%. Anche in questi caso non si deve trascurare il miglioramento ottenuto: il tasso raggiunto dall’Italia di giovani diplomati o qualificati nella fascia di età tra 20 e 24 anni ha sensibilmente ridotto il divario con il dato medio europeo: da 7,2% del 2000 a 1,8% nel 2007.
Tuttavia rimane troppo alto il tasso di abbandono scolastico e formativo dei giovani tra 18 e 24 anni, che è ancora circa il doppio rispetto all’obiettivo del 10% fissato a Lisbona, mentre la media europea ha raggiunto il 14,9%. L’insufficiente efficacia del nostro sistema formativo è ulteriormente confermata dalla presenza di uno studente su quattro che è in ritardo di almeno un anno, come attesta l’ultimo rapporto Isfol. La difficoltà del nostro sistema formativo di realizzare alti e diffusi livelli di successo scolastico non ha solo una dimensione quantitativa, evidenziabile nei tassi di dispersione, ma è altrettanto rinvenibile negli esiti qualitativi: la percentuale di studenti quindicenni con al più il primo livello di competenze di lettura doveva essere ridotto del 20% rispetto ai valori del 2000, invece è addirittura aumentato passando in Italia dal 18,9% al 26,4%, un peggioramento molto più grave di quello pure registrato dalla media dei paesi europei passata dal 21,3% al 24,1%.
Pesante anche il dato relativo alla partecipazione alle attività di apprendimento lungo tutto il corso della vita della popolazione in età da lavoro (25-64 anni) che dovrebbe essere almeno pari al 12,5%, invece è al 6,2% contro una media europea del 9,7%. Un dato ancora più grave perché la nostra popolazione attiva ha livelli medi di istruzione molto più bassi della media europea: solo il 52% della popolazione tra 25 e 64 anni possiede un titolo di studio di secondaria superiore, venti punti percentuali in meno della media europea e quaranta rispetto ai paesi più virtuosi.
Nonostante qualche progresso, il rapporto della Commissione conferma la generale difficoltà del nostro sistema paese a costruire la società ed economia della conoscenza, una difficoltà che trova conferma nelle difficoltà competitive e nella minore crescita che penalizza da circa quindici anni l’Italia rispetto agli altri paesi sviluppati. L’Italia continua ad essere un paese che non ha ancora individuato nell’economia globalizzata un modello competitivo e di sviluppo soprattutto a causa di un capitale umano e di un sistema produttivo poveri di conoscenza.
Fabrizio Dacrema